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La zucca al posto del crocifisso

Qualche settimana fa l’episodio di Adel Smith, rappresentante di una comunità islamica in Italia, che è ricorso al tribunale de L’Aquila per far togliere il crocifisso dalla scuola in cui studiano i figli, sostenendo l’ipotesi di una discriminazione “istituzionalizzata” verso le religioni diverse da quella cristiana. Dopo l’evento, arriva la sentenza del tribunale che dà ragione al signor Smith. Il preside, la scuola, il paese e l’Italia intera si svegliano, polemizzano e ognuno dice la sua… Tutto si blocca, ordinanza sospesa.

Nell’opinione pubblica arroventata per il dibattito scaturito dalle accuse di Smith, e per la pronuncia del tribunale, si individuano immediatamente due distinte linee di pensiero. Due correnti opposte, antitetiche.
La prima fa riferimento ai valori della laicità dello Stato, dell’uguaglianza religiosa e della libertà di credo. Libera Chiesa, certo. Ma in libero Stato. Forte del sostegno dei principi costituzionali (gli art.3, 7, 8 e 19 ad esempio) ritiene che il crocifisso nelle scuole “sostenga” in qualche modo la religione cristiano cattolica, a discapito ovviamente delle altre confessioni. Se lo stato è laico, dunque separato dalla Chiesa, perché ne mostra i simboli e ne sostiene la diffusione? Perché “legalizza” l’ora di religione all’interno dell’ordinamento scolastico? Se si premette la pari uguaglianza delle religioni, perché mai avvantaggiarne una soltanto? Sempre secondo questa corrente di opinione pubblica, rimuovere il crocifisso equivale semplicemente ad un principio di mera giustizia: poiché la sua esposizione diventa una sorta di discriminante nei confronti delle altre religioni, di cui evidentemente non si espongono i simboli, per evitare discriminazioni è giusto non esporre neppure il crocifisso. Ed è proprio questa ratio che deve aver spinto il giudice ad agire come nei fatti sopra citati. Credo non ci siano dubbi.
La seconda parte di opinione pubblica lamenta l’attacco frontale e sfrontato del signor Adel alla religione Cattolica. Lamenta l’attacco legalizzato dell’Islam nei confronti del Cristianesimo. L’inizio della guerra di religione. L’assalto, con l’espediente dell’imboscata, alla Sacra (s-a-c-r-a) Romana Chiesa da parte degli infedeli: insomma, una crociata al contrario. L’Islam oggi ci toglie i simboli del nostro credo, domani ci imporrà i suoi.
Dunque la storia si ripete: dopo quasi mille anni ritornano i Guelfi e ritornano i Ghibellini.

Personalmente credo che entrambe le correnti siano in fallo. Cercherò di argomentare arricchendo il materiale della contesa con altri accadimenti. Per condurre un dibattito più completo, o almeno per farsi un’opinione più integra, è opportuno prendere atto di altri fatti, quelli magari meno roboanti e meno superficiali.
E allora si scopre che una legge del 1924, ma ancora in vigore, sancisce che “Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula l’ immagine del crocifisso”. Che I Patti Lateranensi del 1929, che regolano i rapporti fra Chiesa e Italia, non toccano la questione. Nemmeno la revisione del Concordato del 1985 entra nel merito. Consiglio di Stato e Cassazione nel ’98 aggiungono che il crocifisso “ …a parte il significato per i credenti, rappresenta un simbolo della cultura cristiana come essenza universale, indipendente da una specifica confessione. Per questo la sua esposizione non contrasta con la libertà religiosa… nella sua esposizione non è ravvisabile una violazione della libertà religiosa”. La legge può certamente essere discussa, anche cambiata. Ma serve un intervento del Parlamento. Tuttavia fin quando questo non avviene, credo debba essere rispettata.
Si scopre che il povero Mr. Smith, come dire l’equivalente anglo del “signor Rossi”, in realtà non è affatto il signor nessuno e nemmeno il signor qualunque. E’ il fondatore del Partito dei Musulmani d’ Italia, che prepara l’esordio elettorale per la primavera 2004, alle amministrative di Pordenone, ovvero nella “terra occupata dalle truppe americane”, come dicono i suoi iscritti. Gli esperti parlano di un potenziale 5% di voti (basta molto meno per arrivare in Parlamento).
Si copre anche che mentre Forza Nuova lo insegue col manganello, inseguendo al contempo un passato italiano da dimenticare, lui va sulla prima pagina di Le Monde, scrive libri (ben 19!) e si fa intervistare. Chiama il Papa “extracomunitario” (definizione corretta, ma quantomeno ambigua), lo invita pubblicamente a convertirsi all’Islam e definisce il crocifisso come “il cadavere di un uomo nudo affisso su un pezzo di legno usato dai Romani per punire i peggiori criminali dell’epoca”, aggiungendo che: “non è sempre così piacevole vedere un cadavere in miniatura”.
Si scopre che tra i precetti dell’Islam c’è quello di sottomettere il diritto decretato dal potere politico alla volontà di Dio. “Nella cultura musulmana diffusa il diritto appare legittimato sempre e solo da Dio. Per il musulmano il diritto non sarà mai una costruzione autonoma”. Dunque: prima Dio, poi la legge degli uomini. E c’è anche il precetto di tendere a totalizzare culturalmente ogni realtà civile. L’islamico deve tendere a “islamizzare” la società in cui vive. Insomma per gli altri, per i non- musulmani: tolleranza zero.

Credo dunque che la prima sentenza del tribunale de L’Aquila sia tutt’altro che “giusta”.
– Giuridicamente non giusta: perché non garantisce i diritti costituzionali contro il sopruso della consuetudine di mettere i crocifissi nelle scuole, ma estende ad arbitrio l’interpretazione dei diritti costituzionali, dimenticando quanto previsto in materia dalle altre fonti giuridiche già citate. In nome del vago (appositamente vago) principio costituzionale, non si possono derogare e contrastare a proprio piacimento le altre norme giuridiche.
– Moralmente non giusta: perché non aiuta una minoranza soggiogata a far valere i propri diritti, ma serve ad una minoranza organizzata e con progetti precisi a strumentalizzare lo status di vittima, al fine di perpetrare obiettivi più importanti e a più lungo termine.
– Culturalmente non giusta: perché il crocifisso non è più solo un simbolo religioso, ma anche, se non soprattutto, il simbolo della civiltà giudaico-cristiana. E’ sbagliato, poiché impossibile, confrontare due culture e decretarne “la migliore”, ma è possibile farlo tra civiltà . Quella giudaico-cristiana che piaccia o no, ha prodotto più libertà , più giustizia, più benessere di ogni altra. E allora, se in omaggio ad una malintesa apertura culturale ed etica, rinunciamo ad affermare i nostri valori, anche attraverso i simboli che li rappresentano, l’ integrazione degli immigrati di altra civiltà diventa più difficile e la frammentazione della nostra società democratico-liberale rischia di trasformarsi in un fattore di conflitto e quindi di instabilità . Rinunciare ai simboli della nostra cultura (non della nostra religione) non significa integrare, ma dimenticare ciò che siamo stati e siamo.
Scrive il moderato politologo Panebianco (ancora lui, nooooooooooooo!), non la Fallaci: “A differenza della Francia (ma anche della cattolicissima Spagna), l’Italia non disporrà di alcuna arma, nei prossimi anni, per impedire la trasformazione della scuola pubblica in un bazar multireligioso, in cui l’Islam organizzato, soprattutto, entrerà in forze pretendendo visibilità , spazi, la sua parte di “bottino”. Allora sì che ci saranno seri problemi per la laicità dello Stato. Proprio perché forti e rappresentative, queste organizzazioni islamiste rifuggono dall’avventurismo, praticano l’entrismo, vogliono continuare a conquistare posizioni dentro la società italiana. Per diventare, entro non molti anni, anche in virtù del differenziale demografico, potenti e intoccabili lobbies.
Non è certo quello l’Islam liberale, amico dell’Occidente, che noi dovremmo incoraggiare. La pessima gestione della vicenda della scuola di Ofena da parte di una classe dirigente superficiale e malata di demagogia contribuisce a preparare un futuro di guai per questo nostro Paese”.

Insomma, rinunciamo ai simboli della nostra cultura e civiltà e rinunciamo a noi stessi… Contemporaneamente accettiamo (o meglio facciamo nostri, è ben diverso!) aspetti culturali a noi sconosciuti fino all’altro ieri, in nome di una “apertura” al nuovo e al diverso, in nome di una globalization che stavolta ci piace. La festa di Halloween ne è l’esempio più macroscopico e catastrofico. Non l’abbiamo accettata, l’abbiamo adottata e reinventata. Ascoltiamo con attenzione i media che ci bombardano, cerchiamo con spirito curioso i negozi che impongono gli acquisti a tema mentre la mondanità ci intorta con feste ed eventi diffusi e irrinunciabili, per non perdere la magica notte. I nostri figli che proprio a scuola (alle volte il caso, eh?) disegnano le zucche, si vestono da streghe e vampiri, festeggiano quello che abbiamo detto loro di festeggiare. E contemporaneamente non sanno nemmeno cosa ricorda il 2 novembre.
Avanti così! Con la zucca al posto del crocifisso.

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