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Pampogne in campagna

“Dobbiamo combatterle giornalmente, come insetti,

quelle piccole numerose preoccupazioni circa il domani,

perché esauriscono le nostre energie”
(E. Hillesum)

Un paio di sere fa, mio figlio mi chiede: “Mi dai una di quelle scatole trasparenti, coi buchi sopra e aperta sotto?” “Ehhhh? Cosa vuoi?”

Dopo una buona mezzora di domande, esempi e riformulazioni di concetti, arrivo a capire che si tratta di quei piccoli contenitori della frutta, tipo fragole, ciliegie, albicocche, bucati sul fondo. “A cosa ti serve?”, gli dico. “A catturare le pampogne”.

L’amphimallon solstitiale, volgarmente detto pampogna, è un coleottero che vola nei prati nei crepuscoli estivi. La sua particolarità è una traiettoria rasente all’erba, con repentini cambi di direzione, che spesso lo fanno sbattere contro oggetti o persone. La sua innocuità e la scarsa capacità di fuga, ne fanno una preda ambita da gatti e bambini. Anche io da piccolo mi dilettavo nella caccia nelle sere estive e sarebbe assurdo vietarlo oggi a mio figlio. Gli spiego di non uccidere gli insetti e di liberarli dopo pochi minuti. Poi gli do la scatola trasparente che chiede, stupefatto di come le tradizioni si tramandino spontaneamente tra generazioni, senza bisogno di formali passaggi di consegne. Ignoravo addirittura che conoscesse l’esistenza delle pampogne.

È convinzione popolare che le pampogne siano indice di salute ambientale della campagna, ma non so se sia vero. Di certo esiste l’espressione dialettale “Na a pampogne”, per indicare chi agisce a vuoto, senza raggiungere l’obiettivo, mancando il bersaglio. Come i gatti che s’affannano invano per colpire le pampogne svolazzanti. Per capire il concetto basta un esempio: “Nell’uscita alta, Donnarumma l’è na a pampogne: gol.”

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Sono solo di passaggio

La naturalezza di tale passaggio al limite è ovvia, e ora rimane al nostro pensiero lo spazio senza scatola, una cosa autonoma,

che tuttavia appare così irreale se dimentichiamo l’origine di tale concetto

(A.Einstein)

 

Quando ero membro dell’AIA, mi capitava spesso di fare il guardalinee nelle categorie superiori. Sul fuorigioco le direttive erano chiare: “Non c’è mai il dubbio. Ma se ci fosse il dubbio, e non ci sarà mai, non si alza la bandiera. Nel dubbio, è buono”. Pochi istanti per decidere, ma… “nel dubbio, è buono”.

Forse questo principio (“nel dubbio, è buono”) mi è rimasto troppo tempo nella testa e all’inizio, di fronte alla fatidica scritta luminescente “varco attivo”, con pochi istanti a disposizione per decidere,  mi veniva più naturale andare avanti che fermare il corso degli eventi.

Quello per me più frequente era alla fine di via Pomponazzo a Mantova. Col “Varco attivo” posso passare, oppure no? C’ho messo un po’ di tempo, ma poi ho capito che non era proprio come il fuorigioco.

L’Accademia della Crusca aveva fornito una risposta molto chiara, che va oltre il significato e che invita a riflettere sui paradossi della lingua e della burocrazia.

Il messaggio incriminato è “VARCO ATTIVO” e il suo corrispondente opposto “VARCO NON ATTIVO” (si registra anche “VARCO PASSIVO a Bergamo). Con questa dizione si è inteso sintetizzare lo stato di ciascun varco elettronico di ingresso alla Ztl, con riferimento al controllo, attivo o non attivo, della telecamera. Una dizione eccessivamente ellittica dal punto di vista linguistico che presuppone che tutti conoscano bene il funzionamento della Ztl e delle telecamere messe ai varchi: non sono infatti i varchi, cioè i ‘passaggi’ a essere attivi o non attivi (eventualmente si sarebbero potuti definire come “aperti” o “chiusi”), ma gli strumenti di controllo dei varchi stessi. L’avviso pubblico dovrebbe proprio svolgere la funzione di comunicare direttamente, senza implicare ulteriori approfondimenti da parte del cittadino. Del resto, è stata più volte rilevata l’oscurità degli avvisi pubblici italiani: manca sicuramente in Italia una tradizione di comunicazione pubblica sintetica ed efficace e spesso la difficoltà nel formulare testi simili, ha portato a introdurre formule burocratiche e termini molto specialistici (solo per fare alcuni esempi, l’incriminata, a suo tempo, obliterazione e poi il recente titolo di viaggio per indicare il ‘biglietto’).
Questa dizione varco attivo era però già stata utilizzata, prima del dicembre 2007, sicuramente a Ravenna dove troviamo traccia di proteste da parte di varie associazioni di cittadini che hanno richiesto la riformulazione dei messaggi (ad esempio la Confesercenti ha fatto notare che “forse da un punto di vista psicologico la parola attivo induce a proseguire mentre sarebbero state più appropriate espressioni negative e di divieto”).

Forse anche in seguito alle proteste dei cittadini e agli inevitabili fraintendimenti, che proprio la comunicazione pubblica avrebbe il compito di evitare, alcuni comuni hanno modificato i messaggi di segnalazione degli ingressi alla Ztl controllati elettronicamente: “accesso solo autorizzati” o “accesso libero”. Questi messaggi sono resi ancora più espliciti dalla presenza di una luce rossa o verde con lo scopo di agevolare i conducenti nella lettura della cartellonistica della Ztl informandoli, in modo immediato, se l’accesso alla zona a traffico limitato è consentito a tutti oppure ai soli autorizzati.

 

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