Archive for novembre 2006

Il Grande Bordello

Dalle colonne della Gazzetta di Mantova il sindaco di Volta annunzia la volontà della sua Giunta di installare alcune telecamere nelle zone nevralgiche del nostro comune. D’altro canto i furti massivi dei giorni scorsi sembrerebbero supportare l’avvento del Grande Fratello.
Parlandone stamani con Gianluca, sono sempre più convinto che si tratti invece di una mossa sbagliata.
Il provvedimento segue i furti di via Roma della scorsa settimana per una pura casualità. Si evince pertanto che l’intenzione delle Giunta prescinde dagli ultimi accadimenti, peraltro appartenuti ad una via diversa dalle zone di collocamento prospettato. Ma al di là dell’ubicazione, le telecamere non risolvono il nocciolo del problema. Forse verrà limitato qualche atto vandalico (ma quale atto vandalico poi? Una scritta sul muro o il danneggiamento di una fioriera?), però non possiamo credere che diminuiranno i furti. I ladri forse si inibiranno in tutto il resto del paese che non sia la piazza centrale o i giardini pubblici? In ogni caso il prezzo da pagare sarebbe troppo alto: dovremmo offrire il dazio della circoscrizione della libertà individuale. Barcolla il ragionamento “se uno non ha nulla da nascondere, non prova nessun fastidio davanti alla telecamera”. È vero, il cittadino rispettoso non cambierà il suo comportamento, ma non è necessario delinquere per sentirsi a disagio. Muoversi o parlare con persone sapendo di essere osservati, ci condizionerebbe. E soprattutto, dove si potrà arrivare? Questo è la vera domanda da porre. L’idea di avere telecamere ovunque è tutt’altro che paradossale. Appare invece come un naturale epilogo, di quella che può sembrare una scelta indolore. Iniziare a pensare al Grande Fratello significa prendere una rotta chiara e definita. Difficile ipotizzare che si possa tornare indietro: la mano (o l’occhio) dell’istituzione non potrà che essere sempre più presente ed invasiva. Se questo è il metodo di risoluzione… ad estremi mali, estremi rimedi. Avrei capito la proposta di intensificare le ronde delle forze dell’ordine, ma spiare tutti e comunque è ben’altra cosa.
Ai favorevoli chiedo se questa mossa non abbia piuttosto il sapore amaro della demagogia. La ratio del provvedimento appare disarmante nella sua banalità ed equivoca nella sua semplicità: di fronte ad un problema, ad una società preoccupata per l’incalzare degli episodi criminali, occorre dare l’impressione di fare qualcosa; allora disponiamo le telecamere, facendo credere che si tratti di una tutela delle istituzioni al cittadino; in questo modo il cittadino penserà che non si potranno più commettere crimini; lo stesso cittadino plauderà le istituzioni, indipendentemente dall’effettivo risultato raggiunto. Ma è un ragionamento capzioso, scollegato nei rapporti di causa – effetto.

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Tra Repubblica delle Banane e taciti consensi

Il giallo delle schede bianche denunciato da Deaglio racchiude non poche perplessità.
Chiarisco dapprima i fatti. Attraverso un’accurata indagine giornalistica, nei giorni scorsi emerge un piano artificioso per modificare l’esito elettorale delle ultime votazioni politiche. Nel tragitto telematico che compiono i dati delle urne per giungere dalle Prefetture al Viminale, una manomissione ai sistemi informatici avrebbe modificato una considerevole quantità di schede bianche in preferenze pro Forza Italia. Chi lavoricchia nel settore informatico sa che l’intervento per pilotare un flusso di dati da una parte piuttosto che dall’altra è alquanto banale. Il problema sono gli accessi ed i controlli, ma modificare in questo modo un software è di per se abbastanza semplice. Questo tentativo di pilotare le votazione spiegherebbe, col senno di poi, la divergenza di dati tra le proiezioni, che davano l’Unione saldamente in testa, e l’esito finale che ha visto la vittoria del Centrosinistra per una manciata di preferenze. Sempre a detta di chi ha condotto l’indagine, anche le schede bianche avrebbero raggiunto percentuali irrisorie e pressoché identiche su tutto il territorio. Un’esiguità ed un’uniformità mai viste prima. Il trionfo di Forza Italia sarebbe stato impedito dall’ex Ministro Pisanu, che colto da un estremo ritorno di coscienza, avrebbe interrotto il folle saccheggio di voti. Ma qualcosa non mi torna.
1- Perché se Forza Italia poteva addirittura gestire con propri uomini la trasmissione dei dati telematici, avrebbe messo in atto la più stupida delle strategie: accaparrarsi sommariamente quasi tutte le schede bianche, destando sospetti in ogni dove? Non era meglio studiare una strategia più raffinata e meno rude, come sottrarre qualche voto agli avversari, oppure far crescere proporzionalmente anche gli altri partiti della CdL?
2- Perché perpetrando una truffa di queste proporzioni, Forza Italia è riuscita a perdere? Vi pare che una ruberia di queste dimensioni si improvvisi qualche giorno prima, sperando solo nella collaborazione del Ministro degli Interni? Vista l’entità della posta, mi sarei aspettato un piano più articolato.
3- Perché se un manipolo di giornalisti è arrivato a scoprire queste cose, la maggioranza di governo (dotata di poteri ben più forti e di strumenti ben più efficaci) non ha saputo scovare da sola l’arcano? E perché tuttora sembra quasi disinteressata alla questione? Se io avessi il sospetto di un broglio compiuto dal mio avversario e avessi ogni potere per indagare, la prima cosa che farei sarebbe screditarlo (per sempre) agli occhi di tutti. Lapalissiano.
4- Come è possibile che indagini di questo tipo partano sempre e solo dai giornalisti? La magistratura, nella migliore delle ipotesi, si interessa delle questioni solo dopo il clamore dei giornali. Perché da sola non ci arriva o perché qualcuno la blocca?
5- Perché non si inizia subito a controllare i verbali? Non è necessario ricontare le schede, come tutti paventano. La manomissione sarebbe avvenuta a valle, nella trasmissione ultima dei dati dalle periferie a Roma. Basterebbe controllare se i dati collimano con le somme contenute nei verbali dei seggi, o anche solo verificare i consuntivi che ogni comune effettua alla chiusura dei seggi stessi. Sarebbe un’attività piuttosto semplice e relativamente breve. Al contempo farebbe chiarezza, in un senso o nell’altro, ponendo fine a questa inutile coltre di incertezza.
6- Perché Deaglio & Co hanno realizzato un dvd, che nella giornata di uscita non si trovava in edicola? Passi la volontà di fare dei soldi con questa storia, ma creare un’aspettativa simile e manipolare l’appetibilità del prodotto non è eccessivo?
Ci affidiamo all’esito delle indagini, non per speranza, ma perché non possiamo fare altro. Tutti i politici invocano chiarezza, ma nessuno rema nella direzione giusta. La minoranza getta acqua sul fuoco, la maggioranza non sembra toccata dal problema (questa è la cosa che meno capisco). Potremmo scoprire che qualche giornalista ha preso in giro tutti quanti e si è fatto una montagna di soldi. Oppure che siamo davvero nella Repubblica di Bananas, dove anche le più basilari regole democratiche hanno perso la loro certezza e la loro essenza. Esportare la democrazia all’Est, dibattere sulla necessità di elezioni regolari in paesi usciti dalle dittature, mandare uomini a presidiare i seggi iracheni… e poi trovarsi in casa brogli simili (e connivenze simili) sarebbe davvero surreale.

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Infierisco!

Domenica ho seguito per cinque minuti quella trasmissione inguardabile di Piccinini che mostra i gol della giornata, alla fine delle partite. Tanto mi è bastato per ingegnarmi a fare altro.
Con la Roma che supera per 7 a 0 il Catania, tiene banco la questione “giusto o sbagliato infierire sull’avversario?”. L’interrogativo riguardava l’etica della vittoria, ovvero se fosse corretto perseverare a colpire un avversario oggettivamente esanime, palesemente sconfitto.
Credevo che la “regola prima” dello sport fosse quella dell’impegno. Lottare sempre e comunque ed adoperarsi per dare il massimo, prescindendo dal risultato, mi sembrava un dogma intoccabile. Docenti, allenatori e amici più grandi mi hanno sempre insegnato questo. Ora scopro da quattro giornalisti da fiera che “se sei più forte non devi infierire”. Che “vincere va bene, ma stravincere umilia”.
Nei panni del povero Catania mi sarei sentito davvero umiliato se gli avversari avessero rinunciato allo spirito agonistico, spegnendo il gioco e la tenzone.

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Quei fantasmi che lasciano la traccia

E la candela la sta mai ferma e la se möev cuma la memoria,
anca el ragn sö la balaüstra ricama ‘l quadru de la sua storia.
La ragnatela di me pensee la ciapa tütt quèll che rüva scià
ma tanti voolt la g’ha troppi böcc e l’è tuta de rammendà.

La finestra la sbàtt i all, ma la sa che po’ mea na via
e anca i stèll g’hann la facia lüstra, cuma i öcc de la nustalgìa.
In questa stanza senza nissöen, vardi luntàn e se vedi in facia,
in questa stanza de un òltru teemp, i me fantasmi i lassen la tracia
”.

E la candela non sta mai ferma, si agita come la memoria,
anche il ragno sulla balaustra ricama il quadro della sua storia.
La ragnatela dei miei pensieri raccoglie tutto quello che passa di qua
ma spesso ha troppi buchi ed è tutta da rammendare.

La finestra sbatte le ali, ma sa che non può andarsene
e anche le stelle hanno la faccia che brilla, come gli occhi pieni di nostalgia.
In questa stanza senza nessuno, guardo lontano e mi vedo in faccia,
in questa stanza di un altro tempo i miei fantasmi han lasciato la traccia.

(D. Van De Sfroos – Pulenta e galena fregia)

Oggi, rimettendo un po’ in ordine l’outlook, sono casualmente incappato nell’ultima mail del Lele, quella in cui mi comunicava la data e l’ora della sua laurea. L’ho riconosciuta subito. Non scorderò mai, per tutta la vita, quell’oggetto un po’ ironico, un po’ serioso, che riassume in modo esemplare la sua persona: “È la mia volta”.
Beh… non ce l’ho fatta, non sono riuscito ad aprirla, non ho trovato il coraggio di rileggerla.
Mi chiedo da dove vengono questi fantasmi che continuamente ritornano, e che lasciano indelebili aloni d’assenza. Mi chiedo fino a quando i ricordi del passato consumeranno gli istanti del presente.

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La pochezza dei nuovi satiri

La querelle sulla satira pontificia inizia ad annoiare. Credo che la questione non meriti un dibattito approfondito. Dividersi in guelfi e ghibellini ha davvero poco senso.
Personalmente difendo a spada tratta la libertà di satira, ultimo baluardo della libertà d’opinione. Quando viene imbrigliata anche la satira, viene meno il modo più faceto per esprimere la libertà del pensiero. È dunque chiaro che quest’ultima perde la propria sovranità.
La stizza della Santa Sede pare motivata da un certo cattivo gusto, o pseudo esagerazione, di un’ironia che dovrebbe invece rientrare nei limiti del buongusto e del decoro per potersi chiamare a buon diritto “satira”. Il limite con il bacchettismo congenito è davvero sottile.
Il dato fondamentale, che supera i due schieramenti, mi pare invece essere un altro. I tre personaggi, citati dalla cupola di Padre George, a me non fanno affatto ridere. Fiorello, fantastico showman dalle manifeste doti vocali (lo dico con profonda ammirazione), sinceramente ha un po’ stancato. Si ritiri per qualche tempo e faccia vita privata, lui che può permetterselo. Crozza, abile comico di rottura, capace di impepare trasmissioni insapore con i suoi interventi, oggi appare davvero alla deriva. Da solo non regge e i suoi monologhi sono francamente imbarazzanti. La stessa imitazione di Razinger… è penosa. La Littizzetto, probabilmente la più funambolica dei tre, inizia a mostrare segni di cedimento. Non riesce a rinunciare al doppio senso o alla battuta a sfondo sessuale. Nessun moralismo, per carità. Ma se si finisce sempre lì, vuol dire che la fantasia non è poi così feconda. E per chi vuole fare satira, la fantasia è tutto.
Mi piacerebbe che si parlasse di questo, della qualità o della pochezza dei satiri nostrani. Dividersi tra il diavolo e l’acqua santa… cui prodest?

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(E)lezioni americane

Ai cittadini statunitensi si possono rimproverare molti difetti. La mancanza di una cultura, generata innanzitutto da una mancanza di storia e il superomismo congenito sono tra i più biasimabili. I politici americani altro non sono che l’espressione e la rappresentazione di questi cittadini e di questi difetti.
Dalle elezioni di mid term, tuttavia, possiamo imparare qualcosa. Il dato rilevante è ovviamente la bocciatura della politica di Bush. Questo indica che è possibile dare il voto all’operato di una legislatura, anche prima che essa si sia conclusa. Le elezioni dei giorni scorsi hanno proprio la funzione politica di trasmettere a chi sta governando un giudizio sul suo operato. A pensarci bene, è più utile concorrere alla correzione di una linea politica in divenire, che bocciarla alla fine, quando ormai ciò che è stato è stato. Questo espediente è un formidabile strumento democratico. A noi manca.
In secondo luogo a stupire la mentalità italiana (non quella europea) sono state le dimissioni imposte a Rumsfeld. Depennare dalla lista degli scranni il regista della guerra in Iraq, senza peraltro che costui sia incappato in particolari scandali od errori, significa dare un segnale importante di pubblica ammenda e di volontà di cambiare. Per un’Italia che conserva la poltrona e la carica anche al più corrotto dei funzionari pubblici, e che ospita in Parlamento una folla di inquisiti, questa è un’eccellente lezione morale. Non si tratta del solito rimpasto alla volemosebbene, ma di una vera e propria ammissione di colpa.
Infine, dal momento che la coesistenza di Congresso e Presidente schierati su posizioni opposte è la norma che regola la politica statunitense, e non l’eccezione, l’Italia dovrebbe imparare che le opposizioni politiche sono una risorsa del sistema, non un suo limite. Cariche e ruoli politicamente divisi ed opposti, consentono un controllo reciproco, un veto all’avventatezza di certe decisioni, una garanzia di equilibrio. Per la nostra classe politica invece, ogni potenziale voto in meno in Parlamento costituisce un ostacolo al buon governo. Da qui trasformismo e ribaltoni, adatti per ogni tavola e buoni in ogni stagione.

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Agricola, agricolae

…ci saranno sempre i tuoi campi, sebbene la nuda pietra e la palude con il giunco limaccioso ricoprano i pascoli interi. Le pecore sgravate e sofferenti non si spingeranno verso pascoli sconosciuti, né saranno colpite da mali contagiosi del gregge vicino. Qua vivrai il fresco delle ombre, tra acque amiche e sorgenti divine; da un lato la siepe, succhiata nei fiori di salice da api iblee, di frequente con dolce sussurro ti recherà il sonno; dall’altro, il potatore lancerà al cielo il canto, mentre non smetteranno di tubare le colombe a te graziose, né finirà di gemere la tortora sopra l’alto olmo.
Mi piacerebbe continuare ad immaginare il mondo agricolo come lo descrive Virgilio nelle sue Bucoliche. Purtroppo questa immagine viene scalfita, ogni anno, dalla Giornata del ringraziamento. Giornata dell’orgoglio agricolo voltese, giornata nella quale tutto il mondo contadino del nostro paese si ferma e si alza in piedi, per ringraziare gli dei e per mostrare alla cittadinanza intera l’importanza del suo lavoro. La comunità si prostra di fronte alla processione dei trattori, il paese si raccoglie attorno all’altare, agghindato con i prodotti della terra per sentirsi più vicino al cielo. Una messa fra le macchine agricole, condita da panegirici retorici sull’impegno agreste, improbabili apologie del contadino e sacre benedizioni di John Deere. Per un giorno non sembra esistere altro: solo i contadini, col loro bagaglio di saggezza, umiltà e rettitudine. Preghiamo per loro, perché riescano sempre a darci il pane quotidiano, perché abbiano la vicinanza ed il sostegno della società, perché continuino a costituire per noi un esempio da seguire. Dimentichiamo per un giorno la ricchezza della loro categoria e compiangiamo la loro fatica. E gli altri? Quelli che si alzano tutti i giorni alle cinque per imboccare un’autostrada che li porti al lavoro chissà dove? Quelli che campano con uno stipendio da fame o che non campano affatto perché uno stipendio non ce l’hanno? Quelli che rischiano la vita nei cantieri e quelli che si ammazzano di lavoro per dare da mangiare ai figli con qualche straordinario? Quelli che vengono umiliati dai capiufficio o dalla monotonia di un lavoro manuale sempre uguale? Per tutti costoro, e per tutti gli altri, Dio non c’è? Oppure sono loro che non hanno bisogno di Dio? Quelli che non piangono mai (né che piova troppo, né che piova troppo poco), e che non ricevono alcun contributo a fondo perduto, non meritano forse la stessa attenzione? La storia e la tradizione rurale del nostro territorio sono fuori discussione, ed anzi è giusto non dimenticare mai da dove veniamo. Celebrare la cultura contadina è doveroso. Tenere vivi il folklore e la tradizione significa salvaguardare la specificità, significa capire la storia e spiegare il presente. Ma tutto il resto sconfina nel patetico e nell’ipocrita. Scomodare Dio perché interceda sui poveri agricoltori, mentre in fondo alla piazza si tratta l’acquisto di una vacca a suon di bestemmie è una contraddizione di termini. Confortare e sostenere la categoria in presunta difficoltà, mentre piovono aiuti comunitari e si ristrutturano fienili che diventano ville diventa offensivo per la gente comune.

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Torsello, l’ennesimo errore di metodo

Liberato il fotoreporter Torsello. Per la classe dirigente, per i giornali, e dunque anche per l’opinione pubblica, non è stato pagato alcun riscatto. Piuttosto è stato effettuato un ottimo lavoro da parte dell’intelligence, dei servizi segreti.
La liberazione di un connazionale, avvenuta in circostanze più misteriose del rapimento stesso, lascia più di una perplessità. Non è stato pagato alcun riscatto, ma non sono nemmeno stati arrestati i colpevoli. Non si è dovuto scendere a patti con i rapitori, ma come mai costoro, privati del bottino, sembrano essersi vaporosamente dissolti? Se si è arrivati a trovare la preda, perché mai non si sono raggiunti i predatori?
È evidente che se ogni ostaggio viene liberato (guarda caso tutti gli italiani, dalle due Simone a Torsello) e nessun rapitore arrestato, è perché un riscatto in grado di accontentare entrambe le controparti è stato pagato.
Il fatto è che credevo, a torto, che questa consecutio temporum appartenesse al modo di fare politica estera del branco Berlusconi. Mi accorgo invece che l’avvicendamento di governo non ha affatto cambiato l’approccio a questo tipo di problemi. L’etica del potere impedisce di scendere a patti con i rapitori, pagando un prezzo. È ovvio: questo innescherebbe, come peraltro è avvenuto, un escalation continua.
Non credo sia concepibile che un governo preferisca quietare l’opinione pubblica affidandosi a dei tamponi. Questo non solo non risolve i problemi, ma nel tempo ne acuisce la frequenza.

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Correggere o non correggere, questo è il dilemma

Da un recente dibattito epistolare (ormai divenuto rigorosamente e tristemente solo elettronico) col mio alter ego Gianluca, mi sono ritrovato ancora una volta assalito e assillato dall’annoso dubbio che lega la mia vita alla fotografia.
L’avvento del digitale ha rimpiazzato metodo e qualità con praticità e quantità. È innegabile. Resistono poche eccezioni. Ma le eccezioni, si sa, non fanno altro che confermare la regola. Personalmente cerco di dare sempre nuova linfa alla vena creativa, ma è lampante che anziché studiare per minuti la giusta inquadratura o la migliore messa fuoco, appaia più semplice moltiplicare gli scatti: si procede per tentativi; quello che poi non va, si butta. Dunque anche il buon risultato è sempre più simile ad un effetto “statisticamente possibile”, più che ad un’esecuzione unica e perfetta.
Questo sistema comodo e dinamico, che di fatto ha cambiato l’approccio alla fotografia, contempla anche il ritocco delle immagini, la correzione dei colori, la miglioria di effetti come la luce o il contrasto. Ora, può dirsi eticamente e deontologicamente corretto intervenire post su quanto si è immortalato ante? La fotografia non è forse l’arte di immortalare, di cogliere l’attimo irripetibile, di fermare il tempo in un’immagine? Intervenire sul risultato di un click, non è dunque una mistificazione della realtà? Certamente sì.
Ma allora il fine del bello, cioè arrivare a creare un’immagine piacevole (che è anche il fine della fotografia stessa), che ruolo ha? Se il fine è il bello, non posso giungere a giustificare il mezzo che uso per conseguirlo? Anche se il mezzo è costituito dall’artificio di un computer?
È a questo punto che subentra la nozione di “giusta misura”. L’espressione indica che potrei accettare di intervenire post, ma solo nel caso di un’ingerenza minimale. Se cambio luce o colori, cambio quello che da fotografo ho visto e “fermato”. Ma se mi limito a tagliare i bordi dell’immagine, non muta quello che ho realmente visto al momento dello scatto. Se un pittore sceglie la dimensione della tela e decide dove posizionare il soggetto, al centro o al margine, un fotografo potrà pur scegliere la misura della sua foto e ritagliarla affinché il soggetto acquisti centralità o marginalità, potrà pur eliminare con la forbice i dettagli inutili o i particolari fuorvianti. Oppure no? In fin dei conti lo spartiacque è sempre l’intervento a valle: il pittore agisce mentre dipinge; il fotografo, qualunque sia la sua interferenza, interviene in un momento successivo, per cambiare un “dipinto” già eseguito.
Non è facile dirimere la controversia.

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