Archive for ottobre 2016

Insolito trekking

L’Appennino è una montagna a dimensione umana: abitabile e abitato da così lungo tempo da essere, il lavorio dell’uomo nei secoli, parte sostanziale del paesaggio. Tanto geografia che storia. È nella civiltà dell’abitare, nella coltura che ne ha determinato la cultura, nel racconto, in tutto ciò che colgono i sensi, che risuona la presenza di chi ci ha preceduto

(L.G. Ferretti)

Camminare sull’Appennino è innanzitutto silenzio, meditazione, ascesi mistica. Forse è per questo che questi luoghi sono attraversati dal Cammino Lungo di Sant’Antonio, che collega La Verna a Padova. La “vena del gesso” è un ambiente unico, fatto di ripide pareti rocciose, lunghi crinali, boschi e colline di creta. Qua è là qualche rudere ricorda che nel passato l’uomo ha avuto l’ardire di abitare questi luoghi aspri.

Le nostre giornate di trekking sono partite da Borgo Tossignano, nella valle del Santerno, in due fantastici percorsi ad anello. L’itinerario della “vena del gesso” parte dalla frazione di Tossignano e percorre la dorsale del gesso, tra boschi, doline e cristalli di gesso.

Il giro del Rio Mescola parte invece proprio da Borgo Tossignano e percorre tutto il crinale, sopra vertiginosi calanchi e lungo pittoresche dorsali erbose. Non è raro incontrare grossi pastori maremmani, che guidano da soli le greggi di pecore e mettono in guardia l’avventore da manovre avventate.

Da queste parti si mangia bene. Un indirizzo: il ristorante Fita, proprio a Borgo Tossignano.

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Dio salvi la Reggina

Gli inglesi, quando tre di loro si ritrovano assieme, la prima cosa che fanno è formare un club, e la seconda stabilire le regole per impedire a un quarto di farne parte

(A. Caprarica)

 

Pare che da qualche tempo, in Gran Bretagna, per un italiano che volesse iscrivere il proprio figlio a scuola sia fatto obbligo d’indicare l’effettiva nazionalità. Non basta lo stato d’appartenenza, ma occorre dichiarare l’effettiva zona italiana di provenienza. Bisogna scegliere tra le seguenti bizzarre opzioni: “Italian (Any Others), Italian (Napoletan), Italian (Sicilian)”. Proprio così: devi dichiarare esattamente da dove vieni, o meglio, se sei terrone oppure no.

Perfida Albione, non l’avessero mai fatto. Tacciati di razzismo post Brexit anche dal più acerrimo dei leghisti. Regole dell’altro mondo. Norme “da extracomunitari” dice qualcuno e, letteralmente parlando, non ha tutti i torti.

Le invettive sul pregiudizio si sprecano, gli appelli all’integrazione razziale impazzano.

Nella foga della critica e del rimprovero si tralascia il fatto che da tempo le scuole britanniche richiedano ai neo iscritti di indicare se sono “britannici bianchi, scozzesi, irlandesi, gallesi, bianchi europei o di altre nazionalità”. Dicono che l’informazione serva per verificare statisticamente eventuali rifiuti o mancate ammissioni proprio in funzione della provenienza geografica o della razza.

Non sappiamo se sia vero. Di certo, la richiesta di specificare il “tipo” d’italiano d’appartenenza integra e incrementa un questionario già di per sé predisposto alla categorizzazione.

La cosa che mi sconvolge è invece che abbiano raggruppato gli italiani solo in tre macro insiemi. Riduttivo per tutti. Ma il dramma che ci sta dietro non è tanto il razzismo degli inglesi, quanto piuttosto la loro ignoranza.

O forse, come diceva la Loren è giusto distinguere: “Non sono italiana, sono napoletana. È un’altra cosa”.

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