Archive for dicembre 2006

Appelli alla pace nel trionfo della violenza

Si sciupano, in questo finale d’anno, gli auguri mielosi per un 2007 di bontà e di pace. Ma questo augurio, che i capi di stato, o i politici in genere, brandiscono nel vano tentativo di apparire originali, stride pesantemente con l’esecuzione capitale di Saddam Hussein avvenuta oggi.
Non è facile comprendere come il Presidente degli Stati Uniti possa auto-proclamarsi “esportatore di democrazia” e contemporaneamente sostenere la pena capitale. Non si capisce neppure come i vertici della Comunità Europea possano convincersi che il loro onere sia solamente quello di promuovere disinteressati appelli. Come se tacciare di abominio l’arretratezza culturale della giustizia irachena fosse sufficiente a salvare una vita. D’altro canto il Tribunale dell’Aja, preposto dalle Nazioni Uniti per giudicare i crimini contro l’umanità, ha perso l’occasione di dimostrare la sua efficienza e il suo ruolo sopra le parti: il processo di Saddam è stato tolto alla sua giurisdizione (ma allora a che cosa serve?) e affidato alla autorità giudiziaria irachena.
C’è di più. L’esecuzione di Hussein mi ha restituito un’amara sensazione di déjà-vu. La crudezza nelle riprese dei suoi ultimi momenti, le immagini dure del tiranno ucciso, la repentina profanazione del suo corpo, e i festeggiamenti incessanti che hanno coinvolto le principali città, mi hanno riportato alla mente Piazzale Loreto. Come se il popolo non si accontentasse di abbattere il tiranno, di condannarlo e di fargli espiare la pena. In preda alla sua ferocia, sembra piuttosto volere altra violenza: vuole uccidere, calpestare, deridere e profanare perché solo in questo modo si sente riscattato. Non era pace quella di Saddam, ma non può esserlo neppure questa. Buon 2007.

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Viva Saddam, Saddam viva!

Può sembrare anacronistico chiedere la sospensione della pena inflitta a Saddam Hussein e forse lo è davvero. Dopo essersi accaniti contro il tiranno, dopo avergli mosso guerra, dopo aver sostenuto le accuse atte ad incriminarlo e averne caldeggiato una condanna severa, avallare chi chiede di sospendere la sua pena se non è contraddittorio è quantomeno dissonante. Ma difendere la salvezza della sua vita è comunque un atto dovuto, non negoziabile.
La comunità internazionale, di cui gli stati occidentali fanno parte attiva ed integrante, si fonda sul principio universale e condiviso dei diritti umani. Pretendere di democratizzare, di esportare il diritto ed imporre prototipi di sistemi politici senza accettare il comune denominatore del diritto umano non è ammissibile. La superiorità presunta della comunità occidentale, la sua presunta autorità ad ingerire negli affari particolari dei singoli stati, scaturisce esclusivamente da questo principio. Io, ONU, ti impongo di indire regolari elezioni o di smobilitare i tuoi arsenali bellici in virtù della forza che la comunità internazionale mi ha affidato: e questa assegnazione di poteri deriva dal fatto che io, ONU, mi sono impegnata a difendere un principio condiviso da tutti: quello dei diritti umani, appunto. Sostenere la pena di morte, che in via di principio non può essere difesa a posteriori per alcuni e non per altri, significa derogare a questi principi e derogare a questi principi significa rinunciare ad avere autorità. In sostanza: se non reputo fondamentali i diritti umani, in virtù di quale autorità posso permettermi di interferire negli affari interni delle nazioni non democratiche? È per questo semplice e basilare motivo che chi sostiene l’ONU, la sua attività e le sue agenzie, e chi sostiene la necessità di democratizzare i territori in via di sviluppo non può allo stesso tempo sostenere la pena di morte per (in questo caso) Saddam.
Dice bene Pannella dunque, che più spesso dovrebbe impegnarsi su questi temi anziché rincorrere droghe libere o pacs, quando urla: “Viva Saddam, Saddam viva!

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Opus day 2006, ancora un successo ed un significato nuovo

Era impossibile pensare che gli animi potessero rimanere sereni e spensierati come nelle undici edizioni precedenti. Quello che è accaduto tre mesi fa ha sconvolto le nostre vite, lasciando un alone indelebile attorno ad un vuoto per sempre incolmabile. Sono certo che ognuno, in cuor suo, abbia esaminato la reale possibilità di lasciar perdere tutto. Abbiamo invece deciso di continuare la tradizione del consueto pranzo “Opus day” di Santo Stefano, nella convinzione della sua necessità ed imprescindibilità.
Occorreva continuare per due motivi. Dapprima dobbiamo convincerci che quanto è successo non può fermare le nostre vite. Le tragedie, nostro malgrado, ci condizionano, ma non possiamo smettere di vivere. Dobbiamo andare avanti, con spirito diverso e più ricco, per dare un senso a quanto di atroce e crudele ci è accaduto. In secundis è doveroso continuare a testimoniare quello che il Lele tanto amava ed adorava. In occasioni come queste egli dava il meglio di sé, ammaliandoci con la sua simpatia, affascinandoci con il suo talento culinario, abbracciandoci con le sue ali amiche.
La messa in memoria del Lele, celebrata la mattina stessa, mi ha ricordato che lui era lì, a guardarci dall’alto col suo calice colmo e col solito ghigno dubbioso. Ho percepito la sua vicinanza fisica per tutto il giorno.
Ringrazio voi, ragazzi, perché mi fate sentire bene. Sapere che ci tenete a questo raduno annuale è per me la più bella delle gioie. Accantonare i problemi e le difficoltà personali per poter esserci, non è da tutti. Lavorare responsabilmente in gruppo per raggiungere un risultato è una qualità che appartiene solo ai migliori. Ritrovarvi, parlarvi e percepire questa atmosfera da “circolo di sangue” mi inorgoglisce ed allo stesso tempo mi disarma. Apro il cuore e poso ogni corazza perché sono tra grandi amici.

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Hic sunt leones

Hic sunt leones era il modo che i Romani utilizzavano per definire i confini meridionali del Sacro Impero. L’epigrafe “Qui ci sono i leoni” indicava che il desertico e selvaggio territorio dell’Africa era inesplorato e pericoloso: il mondo terminava lì, andare oltre era un’incognita assoluta. Un territorio sconosciuto agli uomini, dimenticato dagli dei e sconsigliabile ad entrambe le categorie.
L’ultima luminaria pubblica che si incontra salendo da via 1848 è collocata alla fine di piazza Italia, laddove inizia la pericolosa discesa di via Solferino. Le luci che improvvisamente si fermano hanno lo stesso sapore dell’iscrizione Romana: qua finisce l’Impero, termina il mondo civile… non andate oltre.
Se via Solferino è il naturale pseudo-cardo che si snoda dal centro del paese, perché non illuminarla? Perché decorare tutto il centro e abbandonare la principale direttrice d’uscita che porta a Mantova? Forse perché a Sassello pochi commercianti hanno sovvenzionato i ridicoli agghindamenti natalizi?
Al posto dell’ultima striscia di pendenti luminosi, una insegna lampeggiante con scritto “Hic sunt coiones, buone feste” sarebbe stata più appropriata.

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Fiat lux

Capisco benissimo che il periodo natalizio trascini con sé una certa propensione a tutto ciò che contempla una qualsiasi idea di luce. È assodato, e per questo ben comprensibile, che durante le festività la mente delle persone sia attratta da qualsiasi oggetto luccicante, luminoso, lucente… Siano insegne, luminarie pubbliche, luci al neon o semplici candele poco importa: associamo il segnale luminoso all’idea di Natale e di festa e attraverso questa percezione ci compiacciamo e ci commuoviamo. Automatico.
Come detto, comprendo benissimo tutta questa predisposizione. Però non si può continuare a tollerare il trionfo del cattivo gusto che impera indisturbato tra le strade di ogni paese, tra le case di ogni via, sulle finestre e sugli alberi di molte abitazioni. Cespugli senza foglie addobbati con squallide palle luminose, pini perfetti agghindati in un delirio scintillante senza forma e senza senso, file di luci ingarbugliate a casaccio su balconi imbarazzanti, porte di casa più simili ad ingressi di night di quarta categoria… La morale pubblica ed il comune senso del pudore dove sono finiti? Fosse per me imporrei multe pecuniarie ingenti, paragonabili alle sanzioni amministrative di chi inquina o disturba la quiete pubblica. Possibile che a Natale tutti si facciano prendere da questa fobia insensata e sentano l’incontrollabile istinto di illuminare l’illuminabile, in qualsiasi modo ed a qualsiasi costo?
E ho parlato solo della chincaglieria luminosa. Se comincio coi babbi natale appesi sulle grondaie…

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Il Centrosinistra e il vallo dei diritti civili

Avrà dei seri problemi Romano Prodi ad affrontare le delicate questioni della tutela dei pacs e dell’eutanasia, argomento, quest’ultimo, rientrato in voga grazie alla vicenda Welby.
Le contraddizioni intestine della sua maggioranza verranno al pettine e non potranno essere superate. L’ala sinistra, che va da Rifondazione ai Verdi, ha già iniziato a sbandierare l’esistenza di un programma elettorale condiviso, in virtù del quale verrebbe legittimato un intervento in materia. Nulla di specifico, perché il programma che raggruppava l’Unione della campagna elettorale contemplava l’intento di agire, ma poco diceva riguardo agli interventi precisi da intraprendere. È comunque un patto, al quale ogni sottoscrivente si è volontariamente legato. La frangia Radicale, dal canto suo, pare aver accettato l’alleanza in funzione quasi unicamente di questa possibilità: l’obiettivo delle riforme liberali in materia di diritti civili è da sempre il cavallo di battaglia ed il fine ultimo della triade Bonino-Pannella-Capezzone. Scettica ed intransigente appare invece la componente cattolico-centrista della coalizione. Al di là dei motivi più che comprensibili dell’ostilità alle riforme, gioca un ruolo chiave la tempestiva, chiara ed intransigente presa di posizione del Vaticano. Non c’è infatti alcuno spazio per cincischiare, temporeggiare o barcamenarsi nell’incertezza: Razinger ha dettato le regole per i buoni cattolici; ipotizzare comportamenti diversi da parte di Margherita e Udeur diventa piuttosto pindarico.
Essendo le questioni di natura “morale”, è impensabile un cambio di rotta da parte di uno dei due schieramenti: un partito può cambiare idea sulla politica economica, su sanità o lavori pubblici, ma è inverosimile che pieghi la schiena sui diritti civili. Dovrebbe inevitabilmente mettere in discussione la propria ideologia e questo in Italia non avviene mai, perlomeno non apertamente e dichiaratamente.
Cosa accadrà dunque? Certamente per questo non cadrà il Governo. Accadrà che le questioni verranno affrontate blandamente, cercando di accontentare un poco gli uni senza scontentare troppo gli altri. Non accadrà nulla di epocale o trascendentale, nulla di vagamente “zapatereggiante”. Insomma nessun epilogo alla spagnola, ma come sempre tutto all’italiana.

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Casini in vista

Tutto il Casini fatto per averti,
per questo amore che era un frutto acerbo,
adesso che ti voglio bene io ti perdo

(E. De Crescenzo – Ancora)

Diciamolo chiaramente: lo strappo di Casini non segna tanto la decisione di brandire una nuova strategia d’opposizione, come il diretto interessato ripete ad libitum, quanto piuttosto la messa in discussione di un preciso schema gestionale, quello del Centrodestra, e della sua leadership. Una messa in discussione, quest’ultima, che ha origini antiche e che oggi si istituzionalizza. Nel senso che dopo aver covato il germe di folliniana memoria, trova ora l’ufficialità nell’affrancamento sancito da Casini.
Colgo con piacere e curiosità questa scelta. Mettere in discussione Berlusconi, significa chiaramente rinunciare ad un preciso cliché. Il modello padronale della gestione centralizzata, che il leader di Forza Italia ha imposto con successo in questi anni. Il modello del carisma illuminato (o finanziato), che ha permesso al Cavaliere di coagulare intorno a sé persone e partiti, quindi numeri, in nome della sua autorevolezza o del suo potere. Ho già avuto modo di parlare di questo argomento (tra gli altri, La strategia del Cavaliere), inutile ripetersi.
Oggi questo leader, acclamato ed impalmato dal suo popolo meno di una settimana fa, viene messo in discussione da un alleato. Poca cosa. A meno che non si tratti dell’inizio della fine.
La vicenda sibillina di Casini non svela alcun epilogo. Parlare contemporaneamente di “Grande Centro” e di “Imprescindibilità del bipolarismo” aiuta poco chi desidera chiarezza. È vero, sarebbe difficile pensare ad un centrodestra senza Berlusconi, ovvero senza il leader plebiscitario della coalizione, senza il capo del primo partito italiano, senza il collante naturale della CdL. Ma ipotizzare un polo alternativo alla sinistra e libero dalle catene degli interessi berlusconiani è un’idea davvero suggestiva.

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Scaramella avvelenata

Se non fosse per la drammaticità della loro verità, l’avvelenamento di Scaramella e tutta la vicenda del polonio sarebbero davvero suggestivi e piacevolmente avvincenti.
Il susseguirsi di notizie, incalzanti per ritmo e gravità, affascinanti per ambientazione e mistero, sembra nascere dalla fucina di un giallista. L’intensità della trama e la vastità della ragnatela ricordano più i romanzi di John Le Carrè che i fatti di cronaca. Mi è parso improvvisamente di retrocedere agli anni bui e misteriosi della Guerra Fredda, alle partite a scacchi delle spie, agli insabbiamenti dei servizi segreti ed agli intrighi internazionali meravigliosamente celebrati dai registi più famosi.
Ed invece è tutto vero, come se paradossalmente la realtà avesse superato la più seducente delle finzioni.

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Il limite di Santoro

Purtroppo ieri ho avuto modo di seguire solo pochi istanti della trasmissione Annozero. Dico “purtroppo” perché il livello giornalistico e dialettico del format di Rai Due è davvero molto elevato, quindi gradevole. Santoro, e con lui la scia dei suoi collaboratori, è un ottimo giornalista e conduttore. Acuto, attento, brillante. Fazioso, certo, ma mai banale.
È proprio la faziosità che ne impedisce il decollo definitivo nella schiera dei miti. Mezz’ora di trasmissione dedicata alla sentenza della Cassazione che ha interdetto Cesare Previti dai pubblici uffici e al fatto che il provvedimento debba essere ratificato dal Parlamento. Mezz’ora ad interrogarsi sulla correttezza morale di questa normativa, in uso da sempre, supportando il dibattito con un servizio dell’incessante pedinamento dell’esponente forzista da parte della truppe televisiva.
La colpevolezza di Previti è certamente manifesta, dunque indifendibile, e l’importanza di far conoscere anche queste oscure scappatoie, che i meandri parlamentari riservano agli “onorevoli”, è sacrosanta. Ma l’attualità incombente è un’altra.
Il vignettista chiude la trasmissione proponendo una dozzina di bozze sulla convalescenza di Berlusconi. Null’altro. Una volta la satira mirava ai potenti, a quelli che stavano al comando. In fondo la forza della satira è proprio quella di essere super partes, di colpire i forti, chiunque essi siano. Da noi, in uno stato con la guida a sinistra, questo non avviene. Possibile che lo spettro del cavaliere faccia così paura? Non c’è proprio altro di cui parlare o di cui ridere? Non voglio censurare nulla, per carità, vorrei solo allargare il grandangolo.

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