Archive for agosto 2014

Consuetudini in culla

Ci sono domande alle quali è meglio non rispondere nell’interesse di chi le fa”.
(R. Gervaso, Il grillo parlante)

Quando nasce un bambino ci sono una serie di commenti e di domande standard che risucchiano ogni genitore di buona volontà. Vi elenco i cinque punti principali del protocollo d’intervista, a cui ogni buon padre di famiglia è costretto a sottoporsi.

  1. Il commento più falso e più diffuso fatto in presenza dei genitori è “Che bello che è”. Cordialità, contegno senso del decoro, sensibilità… Non so quale sia il vero motivo, ma non ho mai sentito dire ad un genitore che suo figlio è “bruttino” e neppure che è “così così”. Eppure è impossibile che tutti i bambini del mondo siano belli, lo sanno anche i genitori stessi. Meglio passare per maleducati o per ipocriti?
  2. Appena nasce un bambino, mentre ancora non si distinguono la testa dalla rotula, l’ombelico dall’occhio, il naso dall’alluce, i più arditi azzardano le somiglianze sparando nel mezzo: “Ha gli occhi tuoi e la bocca di lei”, oppure “La parte sopra del viso è di lei, quella sotto tua”. La frase è buttata lì, nella declinazione più generica possibile, in modo che il senno di poi non possa smentire drasticamente nessuno. Ma io li segno tutti.
  3. Sempre nell’ambito dell’esame fisico corporeo, l’altro commento da mercato delle vacche è “Che lungo che è”. È la proprietà transitiva degli attributi: essendo il bimbo pressoché orizzontale, l’altezza si tramuta in lunghezza.
  4. Altra affermazione generica e approssimativa, spendibile con (quasi) tutti i bambini è “A vederlo così sembrerebbe buono”. Uno lo dice per avere sempre ragione: se effettivamente è buono, me ne so accorto subito; se invece non è buono, è l’apparenza che inganna quindi non ho sbagliato giudizio. Assolto.
  5. La migliore di tutte però è la frase riferita alla moglie “Ma gala ‘l lat?” (“Ma ha il latte?”). È l’assillo assoluto delle anziane, il tarlo tantrico delle nonne più attempate e delle balie dismesse. E se rispondi di no sei irrimediabilmente relegato al cerchio degli eretici.

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Ferrata Favogna, per ringiovanire

La vecchiaia è un alibi

(L. Scutenaire, Mes inscriptions)

La ferrata Favogna si trova in Val d’Adige, poco dopo Mezzocorona. Ottima da fare in giornata, magari evitando i momenti più torridi dell’estate.

Bellissimo l’incipit verticale della via che a metà si perde in un lungo e noioso sentiero boschivo. La via ferrata poi riprende e nel complesso raggiunge gli 800 mt di dislivello; l’uscita è in un bellissimo e vasto bosco di larici, buono per ambientarci qualche romanzo fantasy. Il giro è di circa quattro ore e l’unica vera pecca è che l’arrivo del sentiero non coincide con il punto di partenza, quindi occorre lasciare l’auto ad indebita distanza.

Alla fine della ferrata si trovano due discreti approdi gastronomici: il rifugio Plattenhof e il Kirche. Noi abbiamo provato le fettuccine ai funghi e lo stinco della prima meta. Non eccelsi, ma sempre meglio di una rustichella a Paganella Ovest.

Prima di riprendere l’auto, mentre mi bevo il meritato birroccio della staffa, una signora ottantenne attacca bottone e mi chiede informazioni sul percorso appena compiuto.

E la ferrata? È difficile?”, mi domanda.

No, signora, non è difficile, è solo un po’ lunga.”

Eh… io non l’ho ancora fatta, quindi non so come sia.

Non si preoccupi signora, ha ancora tempo.

Alla partenza

Alla partenza

All'opera

All’opera

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Parcheggio? No, Grazie

“Sagra. Festività religiosa di solito celebrata abbandonandosi alla ghiottoneria e alla ubriachezza.
Tali celebrazioni sono spesso dedicate a un sant’uomo che si è distinto per una rigida astinenza”.

(A. Bierce, Dizionario del diavolo)

Nel 1425 Gian Francesco Gonzaga dichiarò il piazzale antistante la Chiesa delle Grazie “luogo di libero mercato di merci”. Da quel giorno, ogni Ferragosto, la frazione Grazie ospita la celebre fiera dedicata alla Madonna e l’annuale concorso artistico dei Madonnari.

Per il mantovano medio è tradizione ancora oggi raggiungere il Santuario in pellegrinaggio, magari partendo a piedi dalla città. Oltre all’ammirazione dei capolavori dei Madonnari, alla preghiera alla Madonna e alla venerazione delle bancarelle, il Ferragosto mantovano celebra anche l’antico rito del panino col cotechino, pietanza tipica dell’estate mediterranea.

Da qualche tempo però, il vero pellegrinaggio lo compiono gli automobilisti, che lasciano l’auto in mezzo ad un campo di patate e sotto il sole rovente… per la modica cifra di cinque euro (lo stesso prezzo del panino col cotechino peraltro). Tranquilli, è un pellegrinaggio e la Madonna perdonerà ogni loro imprecazione.

 park5

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Repetita iuvant

Scusate se insisto sull’annoso argomento, ma ci sono stati degli interessanti aggiornamenti.

Gli impetuosi temporali estivi non hanno sedato il patriottismo goitese, che anzi, con invidiabile solerzia, ha rilanciato la promozione del proprio orgoglio nativo. Dopo le delizie culinarie locali, servite nelle feste passate, è arrivato anche il suggello della Festa dei Calamari (del Mincio?).

Imperdibile per chi ama le tradizioni mantovane.

Kalamaro

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