Archive for giugno 2006

Scelta difficile, ma scelta da fare

Ogni volta che ci si appresta a votare per un referendum, mi stupisce la leggerezza con cui le istituzioni demandano scelte così difficili al popolo. Quasi mai la società civile, infatti, è in grado di prendere decisioni su materie delicate come quelle referendarie. Perché non ha piena coscienza, perché non conosce la materia, perché non sa valutare ragionevolmente le conseguenze e gli impatti. In un gioco degli opposti, gli eletti delegano gli elettori, al fine di “declinare” saggiamente (ma immoralmente) ogni responsabilità. Non nego la sacralità del principio democratico, ma denuncio piuttosto la debordante irresponsabilità della classe dirigente, pronta a disattendere in ogni occasione i compiti che il popolo stesso le ha affidato.
È dunque in questo panorama di confusione e incertezza che saremo chiamati ad esprimere un Sì od un No, per la riforma alla Carta Costituzionale. Come sempre, dietro un quesito di questa portata si celano aspetti positivi e negativi.
Non è la migliore delle riforme, ma è una riforma. Il testo è rimasto invariato per sessant’anni e anche il più scettico degli osservatori ammetterebbe che una revisione è più che opportuna. La ratio che ha ispirato i Padri Costituenti deve seguire l’evoluzione del tempo. Se i principi fondamentali e i diritti vanno conservati, l’organizzazione dello Stato deve adeguarsi alla società in movimento.
Questa tuttavia è una riforma di “una” parte politica, non è una riforma condivisa. D’altro canto i tentativi precedenti di mettere mano alle modifiche (esperimento Bicamerale) sono sempre rovinosamente falliti. L’occasione di cambiare davvero, appare ghiotta perché difficilmente riproponibile. La domanda non è tanto se “sia giusto cambiare”, quanto piuttosto se “il cambiamento sia, o non sia, buono”… Occorre pertanto chiedersi se ne vale la pena, analizzando le effettive modifiche che il disegno di legge propone.
1) La riforma delle due camere con l’istituzione del Senato Federale, e con la divisione netta delle competenze, snellirà certamente gli iter burocratici del Parlamento. Le Regioni peseranno istituzionalmente di più, entrando di diritto nell’amministrazione centrale dello Stato. Le camere saranno più dinamiche, mancherà forse quel ruolo di “decantazione” rappresentato dal vecchio bicameralismo e finalizzato ad impedire legiferazioni avventate e poco meditate. Questo è un rischio reale.
La riduzione dei parlamentari mi lascia indifferente: il problema non è il numero degli eletti (riducendolo anzi, si rischia di minare il principio di rappresentanza diffusa), quanto la loro capacità: meno parlamentari non significa più produttività.
2) La crescita dei poteri in capo al Premier, debilita (per matematica) la funzione del Parlamento. Questo lascia carta bianca al Primo Ministro: gli scioglie le mani e gli consente di realizzare programmi ambiziosi, ma gli conferisce anche la facoltà di compiere danni gravi. Anche in questo caso tuttavia è difficile valutare se l’opportunità superi il pericolo. Premierati forti si riscontrano in molte altre democrazie (Germania, Gran Bretagna) e il tanto paventato “rischio dittatura” mi sembra remoto.
3) Alle Regioni viene attribuito un potere legislativo pressoché esclusivo in materia di sanità, istruzione e polizia amministrativa. Questo migliora la sussidiarietà, dal momento che le risposte verranno fornite ad un livello più vicino rispetto alle domande poste dal cittadino, ma creerà probabilmente disparità di trattamento tra regione e regione, tradendo il principio del federalismo tout court (non sarà infatti un “mero patto tra eguali”).
4) Il Capo dello Stato vedrà ridurre i già esigui poteri che fanno capo alla sua persona. Non è un fatto positivo che il suo ruolo di “notabile garante” si riduca progressivamente.
5) Aumenteranno i membri della Corte Costituzionale eletti dal Parlamento; non cambierà pressoché nulla per le elezioni del CSM.

La riforma è corposa, forse troppo corposa per essere accettata in un colpo solo. Alcune cose sono buone, altre meno. Come detto, è un tentativo prezioso di modificare una struttura che va modificata.
Essendo la proposta di una sola parte politica, sarà efficace e accettabile solo se segnerà l’inizio di una discussione condivisa. Altrimenti sarà un mero atto di forza.
Auspico che tutti votino in coscienza e con consapevolezza. Scegliere come votare solo affidandosi alle parole dei politici o agli schieramenti dei partiti è una decisione irresponsabile e troppo semplice.

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L'azzurrino sbiadito

Sotto lo sguardo indiscreto dell’opinione pubblica internazionale, l’Italia si trova a commentare le imbarazzanti gesta del giovane De Rossi e le altrettanto imbarazzanti imprese del meno giovane Vittorio Emanuele. Poco prima che la nazionale di Lippi steccasse la seconda partita del mondiale, affossata dalle scelte tecniche del proprio allenatore e macchiata dalla nervosa prova del biondo discepolo del Pupone, l’immagine nazionale (volenti o nolenti, di questo si tratta) veniva scalfita dal sentore dei dubbi affari del principe Vittorio. I garantisti della sinistra, molto spesso garantisti “per oppurtunità”, più che per “per principio”, lo hanno già condannato. I forcaioli monarchici, generalmente più inclini alle condanne che alle assoluzioni, sono pronti a giurarne l’innocenza. Ma di fronte a questa transumanza incrociata di posizioni, triste ed emblematica, l’immagine di una nazione corrotta e scorretta rimane la cosa più grave.

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Principe e princìpi

Mezza esistenza spesa a chiedere con arroganza il permesso di rientrare in Italia. Un passato torbido, ma una volontà limpida di reintegrazione.
Il Principe Vittorio Emanuele ha sempre manifestato il desiderio, o meglio, ha sempre rivendicato la presunzione del diritto, di tornare in Italia. Ero tra quelli che ne auspicavano il rientro. Non tanto in virtù di particolari meriti o perché fosse ingiusto gravarlo di colpe non sue, quanto piuttosto per porre fine ad un passato lontano che ad ogni occasione si trascinava strascichi inutili e pesanti. Ne ho sostenuto il rientro, sottolineando che questo sarebbe dovuto avvenire con tutte le garanzie possibili relativamente ai beni di casa Savoia (tasse, etc…). Non mi è dato sapere se questo sia effettivamente avvenuto, ma ho motivo di dubitarne.
Ad ogni modo, il Principino ha sempre sbandierato la carta della rispettabilità e dei bei princìpi. Come se confinarlo oltralpe significasse rinunciare ad un uomo probo ed indefesso, con grave deficit per l’Italia intera.
Ora, se sarà provata la sua colpa, saremmo di fronte all’inconsistenza dei suoi decantati princìpi; se sarà provato il suo raggiro da parte di altri personaggi, ci troveremmo di fronte alla sua scarsa intelligenza.
Comunque vada, ho l’impressione che gli Italiani perderanno poco.

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Italie mondiali

Verdum la gazèta, tacumm a bestemà; ghe spiegum al Lippi cume l’è che ‘l g’ha de fa. Perché partì per i mundiai l’è cume partì per una guera: se perdum disumm che ‘l serumm, se vencium tucumm più tèra

(D. Van De Sfroos – L’esercito delle 12 sedie)

Lunedì l’Italia, quella dei calciatori ricchi e discussi, inizierà il suo cammino al campionato mondiale. Da qualche settimana un’altra Italia, quella della gente comune, dei bar e degli uffici, ha intrapreso un altro mondiale. Tutti a discutere di “tecnicismi azzurri”, tutti esperti del buon calcio. A ciascuno la propria idea: e ognuna è quella giusta. Insopportabili discussioni tra intenditori di razza, commenti pindarici degli specialisti di genere. Così tra speranze, eccessi, disamine attente o anatemi incrociati ci troviamo uniti nella passione o trascinati nella tendenza del folclore. Dimenticheremo gli scandali pallonari del Belpaese, sognando il successo di “quei nostri bravi ragazzi”. Per un mese, insomma, saremo tutti orgogliosamente italiani. Tutto il resto aspetterà.

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Caduti caduchi

Il Capo dello Stato, in compagnia del Presidente del Consiglio, di quello della Camera e del Ministro della Difesa, ha accolto oggi pomeriggio a Ciampino il rientro della salma dell’ennesimo soldato italiano caduto in Iraq. È giusto che le più alte cariche dello Stato mostrino la vicinanza del Paese alla famiglia della vittima. È ragionevole che il popolo italiano attribuisca gli onori di Stato ai militari deceduti in rappresentanza della nazione. Mi chiedo solo se talvolta non si dimentichi con troppa facilità che queste vittime sono ben consapevoli dei rischi che corrono. Hanno scelto innanzitutto di fare i soldati e hanno deciso successivamente di partecipare a particolari tipi di missioni. Il più delle volte non per un sano e lodevole ideale, ma per la schietta ricerca di facili danari. Non si può certo generalizzare, ma accade spesso che dietro l’ombra degli “eroi per caso”, si celi la sagoma dei “mercenari per vocazione”.

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Il diritto all'illegalità

Quando commenta la rivolta nel Centro di permanenza temporanea di Torino, il capogruppo di Rifondazione comunista alla Camera non chiede il miglioramento di queste strutture. Vuole che vengano soppresse. Per Gennaro Migliore – così ha detto alla Stampa – “l’immigrazione clandestina non può essere considerata un reato che prevede la reclusione dell’immigrato in strutture detentive controllate dalle forze dell’ordine», il clandestino deve essere trattato «come un soggetto che ha la sua storia individuale”: una definizione che gli consente, ovviamente, di violare le leggi dello Stato italiano. Occorre dunque chiudere i Centri e dare all’immigrato illegale un permesso temporaneo di soggiorno, “magari di un anno”, che gli consenta di trovare un lavoro. il deputato di Rifondazione non si chiede quali sarebbero le conseguenze di una tale liberalità. Non sa, o non vuole sapere che i mercanti de1l’emigrazione dirotterebbero verso l’italia la loro “merce” e aumenterebbero il loro giro d’affari, ignora, o preferisce ignorare, che i nostri confini mediterranei sono una frontiera di Schengen (il trattato europeo sulla libera circolazione delle persone, senza controlli di valico, tra i Paesi che lo hanno sotto- scritto) e che l’Italia ha l’obbligo di presidiarla anche nell’interesse dei suoi partner. Non se lo chiede e lo ignora perché la legge Turco-Napolitano, con cui i Centri furono istituiti, non è la sua legge, perché il trattato di Schengen non è il suo trattato, perché questa Europa non è la sua Europa e, forse, perché questo Stato non è il suo Stato. Sostiene il governo Prodi perché l’accordo con i partiti dell’Unione ha permesso di battere Berlusconi e a Rifondazione di conquistare qualche tribuna, al governo e in Parlamento, da cui predicare il suo verbo anticapitalista, antimilitarista e terzomondista. Ma si ritiene autorizzato a proclamare la necessità di una politica «alternativa» che prescinde dagli impegni internazionali del Paese, dalle sue leggi, dalle sue esigenze economico-sociali e dalle preoccupazioni della maggioranza dei suoi cittadini. Dopo avere assistito per cinque anni, sul problema dell’immigrazione, alle intemperanze e agli scatti umorali del partito di Umberto Bossi, abbiamo ora una Lega di sinistra che sogna un altro Stato e non ha alcuna intenzione di contribuire al miglioramento di quello in cui viviamo. La strada da percorrere è quella delle riforme. Occorre migliorare i Centri e ritoccare, alla luce dell’esperienza, la legge approvata dal governo Berlusconi. Occorre anche contrastare le correnti xenofobe presenti in alcuni settori della pubblica opinione. Ma non è possibile rinunciare ai controlli, incoraggiare l’immigrazione clandestina e permettere che l’afflusso delle persone nel territorio italiano venga lasciato nelle mani dei nuovi mercanti di schiavi, Ciò che sta accadendo in almeno due Paesi mediterranei (in Spagna, recentemente, il problema ha assunto dimensioni ancora più gravi) dimostra che la questione deve essere affrontata in una prospettiva e con criteri europei. Se i confini esterni dei Paesi di Schengen sono frontiere comuni, è necessario che l’Ue, o perlomeno i firmatari del trattato, abbiano una stessa politica dell’immigrazione, concludano con i Paesi della costa meridionale del Mediterraneo accordi collettivi e adottino, in materia di asilo, gli stessi principi. Sappiamo che non sarà facile, per Romano Prodi, governare una coalizione composta da molte anime, Ma un chiarimento oggi, su un problema ditale importanza, è molto meglio di una lunga serie di incertezze e di ambiguità.

(Sergio Romano – Corriere della Sera, 05 Giugno 2006)

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