Archive for maggio 2020

La bomboniera tra le colline

Non lo può certo sapere
questa foglia dell’ulivo
il nome di quel vento
che la vuole far cadere.
Ma io so sarà lo stesso
che soffierà il mio cuore
in quel luogo dietro i luoghi
dove non basterà il mare

(D. Van De Sfroos, Dove non basta il mare)

In una delle solite scorribande tra le colline moreniche, ho scoperto l’ennesimo e sorprendente luogo sconosciuto. Una di quelle scenografie create centinaia d’anni fa, poco fuori dall’uscio di casa, rimaste per me inesplorate ed ignote fino ad oggi. Con grande sorpresa, sto scoprendo che nei dintorni ci sono molti luoghi ignoti o semplicemente dimenticati, che meritano almeno l’onore di una visita. Parlo di piccole borgate, di edicole votive, di pievi, di carrarecce panoramiche.

A qualche chilometro da casa, sulla cima di una collina chiamata Monte Oliveto e di fianco ad un maestoso palazzo, c’è una piccola pieve denominata Oratorio San Giuseppe. Le prime notizie risalgono al 1713. Un’edilizia semplice: un piccolo portico a colonne, un tabernacolo in marmo rosso di Verona, una tela della Sacra Famiglia. Una piccola bomboniera tra i silenzi dei bagolari secolari, che sorprende piacevolmente l’ignaro viandante.

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Collezione di serie A

 

Ho una vasta collezione di conchiglie, che tengo sparse per le spiagge di tutto il mondo
(S. Wright)

Ciascuno di noi, almeno una volta da bambino, ha sognato di giocare realmente in serie A. I primi calci nel campetto sterrato delle elementari, le prime partite in tv, le prime divise ufficiali negli esordienti… Il bello di essere piccoli è che non ci si vergogna di sognare l’insognabile e dunque appare più che lecito fantasticare sul magico e affascinante mondo del pallone.

Poi si cresce e si concretizza, capendo velocemente che i sogni sono un’illusione, mentre la realtà è ben altro affare. All’improvviso la serie A non è più un sogno: diventa un mondo lontano e impossibile, seppur contornato da un alone mitico e da una seduzione metafisica.

Ma tornando al sogno di giocare in serie A, una delle mie suggestioni più ricorrenti è sempre stata quella di collezionare le maglie degli avversari. Non fantasticavo di esordire a San Siro, di segnare contro la Juve o di vincere lo scudetto. Piuttosto, mi ha sempre intrigato quel nobile gesto di galateo agonistico, quel segnale di deposizione delle armi, quel cenno di pace fatta: lo scambio della maglia. Ho sempre fantasticato su una collezione di magliette di tutte le squadre e di tutti gli avversari più blasonati.

L’altro giorno ho scoperto sui social la strepitosa collezione di maglie di Spalletti. Non solo eroi del calcio mondiale, ma anche e soprattutto umili gregari. Campioni del calcio accanto a comparse anonime. Se ha un senso arrivare a quei livelli, per me è proprio su quello scaffale.

Collezione

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Civetteria

E c’era quel pianto di morte…

chiù…

(G. Pascoli, L’assiuolo)

 

Da qualche notte, nei pressi di casa mia si sente l’insistente squittio di una civetta. Nei momenti che precedono il sonno, sentire la cadenza ritmata del suo verso mi riconduce ad una dimensione quasi ancestrale. Mi porta immediatamente al ricordo di mio nonno, che la reputava severamente annunciatrice di morte. Nella tradizione o superstizione contadina, la civetta è considerata infatti ambasciatrice di sventura: sentirne il verso nei pressi della propria abitazione equivale al presagio di un imminente lutto in famiglia.

Una reputazione che arriva da lontano e che affonda le proprie origini centinaia di anni fa. Con il Cristianesimo si diffusero le prime veglie notturne per i defunti. Durante le veglie, le luci delle candele o delle lanterne attiravano gli insetti notturni e con essi i rispettivi rapaci a caccia di cibo. L’associazione tra il defunto e lo squittio di gufi e civette fu automatica: laddove cantava una civetta doveva per forza esserci un morto, una sventura.

Una nomea che è resistita più o meno fino ai giorni nostri.

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