Archive for giugno 2008

L’ultima lezione di stile

Spesi parole buone per Donadoni, in tempi non sospetti. Non posso certo pugnalarlo ora, nel momento in cui una sgarrupata lotteria dei rigori ne ha decretato la fine nazionale e la caduta nel vasto limbo degli illustri perdenti. Concordo: non abbiamo visto bel gioco, né fantastiche invenzioni, ma appartengo alla scuola di pensiero che attribuisce agli allenatori il 10-20% dei meriti o demeriti di tutta la squadra. Questo non significa che non l’avrei sostituito. In un ambito come quello della nazionale, dove gli obiettivi sono inderogabilmente e imprescindibilmente tarati su scala temporale di due anni, è fisiologico parlare di cicli biennali. Per questo sarebbe opportuno stipulare contratti della stessa durata, rinnovabili o esauribili naturalmente, sulla base dei risultati ottenuti.
Il punto, però, è un altro. L’esonero poteva essere gestito con stile e signoria, le stesse che Donadoni ha sempre mostrato e che anche i critici più infervorati gli hanno sempre riconosciuto. Attendere l’epilogo della competizione, per esempio. Evitando, cioè, di additare nell’allenatore il capro espiatorio di tutto lo sfortunato gregge. Smorzando toni e riconoscendo l’impegno profuso, per scansare l’antipatica abitudine dello scaricabarile.
Donadoni, mestamente, si è fatto da parte senza urlare. L’ennesima lezione di stile agli strateghi dell’organizzazione. Al suo posto l’eroe di guerra, Lippi. Quello che avrebbe preso “a calci nel culo i giocatori”. Almeno l’etichetta è coerente.

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Buona forchetta – L’altra Colonna

Si tratta del clone del più celebre ristorante La Colonna, aperto dagli stessi proprietari per rispondere alle tante domande di cotoletta alla milanese. Sì, perché la specialità di questo nuovo locale (trattoria moderna che mescola il finto tradizionalismo con le nuove pareti pastello e le maglie del Verona) è ancora la cotoletta alla milanese, servita in tre misure diverse e con alcune variazioni di condimento: normale, con funghi, con pomodorini e rucola. Vale la pena andare, se si è appassionati di questo piatto; altrimenti non ci vedo motivi validi.
La porzione media è più che abbondante ed effettivamente la qualità del companatico è buona. Non so quale sia la qualità degli altri piatti. Alla lunga, però, una cena di sola cotoletta e contorno allappa parecchio. Prezzi poco contenuti, visto che per una cotoletta e contorno, accompagnata da birra media e caffè, abbiamo speso 23,50€ a testa.
Voto: 5,5

Trattoria L’altra Colonna, Via Tezone 1 – Verona

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L’indimenticabile a Bruxelles

“…del resto alla fine di un viaggio, c’è sempre un viaggio da ricominciare
(F. De Gregori -Viaggi e miraggi)

Bruxelles non è una città bellissima, ma è una città bella. Non rivendica le orde di comitive di Parigi, ma accoglie quietamente molti turisti. Non possiede il patrimonio artistico di Praga, ma la sua piazza è la più bella che io abbia visto. Non offre la vita notturna di Londra e di Amsterdam e nemmeno la movida delle città spagnole, ma qualche buona birra si può bere anche lassù. Oltre alla magnifica Grand Place, rimangono nella mente le torri gotiche della Cattedrale di San Michele e Santa Gudula, l’imponenza della Basilica del Sacro Cuore (molto meglio fuori, che dentro) e la stravaganza dell’Atomium. L’irrinunciabile, insomma.
Ma personalmente ricorderò questa breve visita per altri motivi.
– Ricorderò la salubre aria del carro bestiame che ci ha portato dall’aeroporto al centro città: tre quarti d’ora di apnea. Avevamo un’idea diversa sui benefici del maestrale, vento del nord.
– Resterà nella memoria anche il primo impatto con la città. L’interminabile mercato, la confusione della sua gente, dei suoi odori e dei suoi colori ci hanno trasportato per qualche minuto a Marrakech.
– Ricorderò con piacere il rapporto qualità/prezzo dell’albergo, che ha sorpreso anche me. Posizione centralissima, prezzo onestissmo e camere decisamente confortevoli. Colazione molto buona. Non avrei consiglio migliore per chi dovesse recarsi nella capitale belga.
– Confesso che il pensiero di una compagine tanto variegata, mi aveva tolto parecchio sonno. Non è facile assecondare esigenze, tempi e desideri di quattordici teste diverse. Tra chi sclera se esce dalla parte sbagliata della metrò e chi mangerebbe ad ogni angolo della strada, c’è di mezzo l’universo intero. Ma dicono sia andata bene.
– Come dimenticare poi la flebile voce del Cavalier Rodella, che radunava il gruppo col fioco sussurro di: “Gruppo Baù… Di qua”? Se il pastore belga aveva il suo gregge, non gli è mancato neppure il cane che rincorreva e radunava le pecore.
– Memorabile il quarto di finale tra Italia-Spagna nella bettola islamica. Vedere Toni che non tocca un pallone che sia uno, sorseggiando al contempo la brodaglia calda, spacciata per birra… non ha prezzo: solo da Sam. E poi l’ebbrezza dei rigori in camera, stipati tutti attorno ad un letto, a vedere Casillas che fa le evoluzioni dentro un mobiletto di radica.

Grazie a tutti

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Buona forchetta – Piazza Sordello 26

Gli stessi proprietari di Fragoletta e Ranari hanno aperto questo terzo locale proprio all’inizio di piazza Sordello, dietro il Duomo. I piatti sono molto simili a quelli degli altri due locali, laddove le ricette della tradizione mantovana sono affiancate da accostamenti originali. La scelta dei vini, soprattutto delle cantine mantovane, è la medesima. Cambia l’ambientazione, più minimal e moderna ed anche i prezzi lievitano leggermente, circa un euro per la medesima portata.
Tra gli antipasti, sono interessanti i leccalecca al formaggio caprino e nocciole, mentre tra i primi c’è l’imbarazzo tra i soliti: risotto mantovano, tortelli, etc… Buona la tagliata di costata d’angus al vino rosso, servita con patate al forno. Come dolce abbiamo trovato molto gradevole la crema cotta di vaniglia, al vino lambrusco e fragole.
Nei tre locali, io consiglio sempre l’imbattibile Merlot della Prendina, che pur essendo in bottiglia, è disponibile anche sfuso.
In due abbiamo preso: antipasto per entrambi, un primo lei, un secondo io, un dolce, caffè, grappa: 27€. Come prezzi e location, rimangono preferibili Fragoletta e Ranari
Voto finale: 6+

Osteria Piazza Sordello 26, P.zza Sordello 26 – Mantova

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Difesa francese

Mentre gli italiani si azzuffano per decidere se sia meglio schierare Cassano dall’inizio contro la difesa francese dei bleus, oppure se Gattuso sia veramente più efficace di Perrotta, mentre tutta l’Italia trattiene il fiato attendendo la divina provvidenza agli Europei di calcio, il Governo si appresta ad abolire la class action (cioè il potere di organizzare un’azione legale collettiva) e a rendere penalmente untouchables le più alte cariche dello Stato. Film già visto: legiferare per i (soliti) pochi, mentre i (soliti) molti sono impegnati a pensare a tutt’altro.
Mi piacerebbe che alzassimo la testa dal televisore e oltre ai colpi di testa di Toni, giudicassimo anche i colpi di mano del Cavaliere. Ma ne siamo incapaci.

Ah… la difesa francese è una tattica del gioco degli scacchi. Wikipedia definisce il suo maggior svantaggio come “la posizione passiva che viene ad assumere, spesso per un lungo tratto della partita, l’alfiere del nero, bloccato com’è dai suoi stessi pedoni“.
Sarebbe davvero bello se tutti i pedoni si accorgessero dell’alfiere nero e ne bloccassero l’azione criminale.

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Buona forchetta – Valle delle Gombe

Agriturismo caratteristico dei colli Euganei, sistemato al termine di una ripida stradina sterrata e contraddistinto da un’aria un po’ montanara. Stupendo l’enorme camino al fianco del bancone che introduce alla sala con i tavoli: l’impressione è quella di una baita di montagna.
Il menù è deciso dal proprietario che suggerisce un antipasto della casa un bis di primi ed un tris di secondi. L’antipasto si rivela gradevole, con salame, polenta, pancetta e rucola con pinoli. Poi la fantasia raggiunge il minimo storico. Esclusa la zuppa d’orzo e ortiche, le uniche portate disponibili sono le fettuccine ai piselli e i bigoli al ragout. La pasta è molto buona, ma la scarsa creatività del condimento ci lascia sbigottiti. Poi roastbeef, polpettone e porchetta affettata: davvero lo chef non si è sprecato in inventiva. Dolci deludenti, il salame al cioccolato sembra più una spugna.
Si salvano solo il vino sfuso ed i contorni, il resto delude alquanto, soprattutto per la sconcertante banalità delle proposte (era dall’asilo che non mangiavo il polpettone!)
Antipasto, bis di primi, tris di secondi, dolce, caffè, grappa: 25€
Voto finale: 5

Fattoria Valle delle Gombe, via Calti Pendice 28 – Castelnuovo di Teolo (Pd)

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Un torrente di adrenalina

Adrenalina, allo stato puro. È questa la sensazione che si prova la prima volta che si fa torrentismo. È la sensazione che domina tutte le tre ore e mezza di discesa. È l’impressione che più rimane viva nella memoria di chi l’ha provato e di chi lo racconta.

Parto da casa con l’entusiasmo solito della gita delle elementari, con l’adrenalina e l’agitazione che hanno tolto parecchio sonno alla mia notte, ma che mi tengono eccitantemente sveglio anche durante il lungo tragitto d’auto verso Tignale.

Con me ci sono i “no limits brothers” (i fratelli Bussacchetti); insieme a loro un nipote e la sorella Chiara. Ci guida Franco, cinquantenne nerboruto e mantovano, esperto di canyoning, che di adrenalina è dipendente allo stato terminale e che non perde occasione per scendere dai torrenti di mezza Italia. Il settimo è Daniele un pazzo survivor che ha tentato di attraversare da solo l’Amazzonia nei duecento chilometri di Guiana Francese, accompagnato solo da un fucile. Dicono sia tornato con la tendinite, dopo aver ammazzato un coccodrillo, mentre il suo predecessore non è tornato proprio. Leggende? Forse. Ma i compagni di viaggio non sono tra i più raccomandabili.

La vestizione con la muta e l’imbragatura alza il livello di guardia del sistema nervoso: l’adrenalina inzia ad aumentare proprio mentre il cervello proietta le azioni di adesso al pericolo del dopo. Non ci si mette solo la muta, ma si razionalizza a che cosa serve questa tuta, dove ci accompagnerà, da cosa ci proteggerà.

Chiara ha un forte mal di testa e cerca un rimedio per riuscire almeno a partire nella discesa. Il survivor suggerisce di mangiare corteccia di salice (lo giuro!) che contiene acido acetilsalicilico, mentre Franco sentenzia: “tra dieci minuti, con l’adrenalina che avrai nel sangue, non sentirai più niente”. Ci zittiamo tutti, tra un sorriso appena abbozzato e la consapevolezza di un viaggio senza possibilità di retromarce. Intanto i turisti saliti con le agenzie tornano ad uno ad uno. Una guida ci dice che la troppa acqua degli ultimi temporali rende assai insidiosa la discesa: stupido rischiare, gli istruttori non si fidano molto. Ma noi procediamo e l’adrenalina adesso trasborda, quasi non ci sentissimo parte del genere umano e come se il lungo viaggio in auto giustificasse in qualche modo anche l’annegamento.

Inizia la discesa: dapprima con la corda, poi con i primi piccoli salti. La forra, cioè la gola, è spettacolare e mozzafiato. Le asperità dell’ambiente gratificano la natura con un fascino sinistro e splendido allo stesso tempo.

Ecco il primo vero salto: è qui che l’adrenalina si sente scorrere a folate nel sangue. Quindici metri di vuoto e poi uno specchio d’acqua che da quassù sembra minuscolo e lontanissimo. Attorno solo rocce e tanta paura. Scorre il sangue, scorre più denso dell’acqua del torrente e forse più scuro del buio, che vedo mentre chiudo gli occhi. Respiro a pieni polmoni e riapro lo sguardo, proprio mentre mi accorgo di essere già in volo. La discesa non finisce più. Sembrano ore, invece in un attimo mi trovo sott’acqua. Ho vinto io e prima ancora di recuperare l’ossigeno, mi viene da ridere e da gioire. Emergo con il pollice levato ed il ghigno fiero dell’esperto corsaro.

Continuiamo, calandoci con la corda al fianco di una cascata di cinquanta metri. Giunge rumorosa in una laghetto oscurato dal sole e contornato da rupi ed alberi. Un attimo per riposare, poi il sangue vuole altra adrenalina, quella necessaria per scendere i velocissimi scivoli ciechi, che ti trasportano alla velocità della luce verso il niente, perché acqua e rocce nascondono ogni visuale. Fiducia, fede, speranza e tanta adrenalina, tanta, tanta adrenalina ancora.

Le ammaccature alle ginocchia, i colpi ai polsi ed ai gomiti, ed il freddo di un torrente di montagna proprio non si sentono. Aveva ragione Franco, è l’adrenalina che lenisce ogni dolore e che mantiene alta la guardia. Ci si sballotta tra protuberanze di pietra e qualche tronco d’albero caduto, ma non si sente niente.

È finita, il torrente che arriva tranquillo alla strada sembra restituirci ad un’altra dimensione. Pian piano arrivano il freddo, la fame, poi la stanchezza e qualche dolore. L’adrenalina ora è scappata ed al suo posto è rimasta la gioia.

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Il Divo

Film bellissimo. Se interessa l’argomento, non perdetelo. Racconta l’architettura e gli equilibri della corrente adreottiana della DC che, come un sistema solare matematicamente perfetto, gravitava attorno al fulgido pianeta del Divo Giulio. Pillole della storia italiana raccolte in un puzzle di ironia e bel cinema. Sorrentino sembra Tarantino, e non è un gioco di parole: scene al rallentatore, fotografia che da sola vale il biglietto, musiche originali e piacevolissime. Tanta ironia, ispirata dal reale sarcasmo di Andreotti, e tanta riflessione. Due ore che raccolgono tutto: il rapporto tra il bene ed il male, quello tra la purezza sacra e la malvagità profana; l’amicizia, la fedeltà, l’onore, il potere.

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Buona forchetta – Ristorante Ottone

La guida alle Osteria d’Italia 2001 avvertiva che a Bassano latitano le buone trattorie a cucina tradizionale, e nel 2008 la situazione non sembra essere molto cambiata. Fatichiamo nella ricerca del locale giusto: molti specchietti per le allodole, molte sistemazioni turistiche “mordi e fuggi”. Alla fine la scelta del ristorante Ottone è sbagliata, ma forse la meno peggio tra quelle disponibili.
Locale in stile anni venti, con l’eleganza degli specchi, degli stucchi ed il sapore antico delle scolorite pubblicià della birra Wipflinger, accanto a foto in bianco e nero.
Antipasti banali e primi troppo semplici. Ordino un piatto di mezze maniche al pomodoro, ricotta affumicata e finochietto siciliano, e mi arriva un piatto di penne al pomodoro con una spolverata di spezie della Lidl. Gli altri primi non sono sembrati migliori. Carta dei vini poco stuzzicante.
Antipasto, primo, caffè: 21,50€. Bocciato.
Voto finale: 5

Birreria Ristorante Ottone, via Matteotti 48 – Bassano del Grappa (Vi)

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Quale festa

2 Giugno, Festa della Repubblica. Di fronte alle istituzioni incapaci, all’impossibilità degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, alla classe dirigente intenta solo a perpetrare se stessa, ha davvero senso festeggiare la Repubblica?

Lo Stato italiano fu una cosa appena passabile finché rimase lo Stato dei pochi che lo avevano fatto e dei “notabili” loro diretti discendenti. Quando volle diventare – com’era giusto, logico e inevitabile – lo Stato di tutti, fu un disastro appunto perché non aveva radici, e cadde subito preda di due forze extra-nazionali, se non anti-nazionali: quelle cattoliche che avevano in corpo la Chiesa, e quelle socialiste che avevano in corpo la classe. Sui risultati dell’ultimo plebiscito, quello istituzionale del 2 giugno, tutto fu fatto per il successo del pronunciamento repubblicano, e non escludo nemmeno qualche broglio. Ma, come mi disse Re Umberto a Cascais, la Monarchia, a differenza della Repubblica che poteva contentarsi di un margine risicatissimo, avrebbe avuto bisogno di una vittoria netta che non era nelle sue reali possibilità. E questo, il galantuomo Umberto lo diceva a un monarchico, quale io ero e rimango. Convinto, com’ero e sono, che rinnegando la monarchia, gl’italiani buttavano al macero il Risorgimento, modestissima cosa, ma unico nostro patrimonio “nazionale”. E ora ne vediamo gli effetti. Con la Repubblica siamo scaduti da Cavour a Romita e ora a Bossi. Ma non c’è speranza che gl’italiani se ne rendano conto e lo riconoscano. Come al solito ritireranno fuori la fuga di Pescara e le balordaggini dell’attuale erede. Di distinguere il problema delle persone da quello delle Istituzioni, noi siamo assolutamente incapaci. Che l’Istituzione rappresentasse il filo, sia pure fragilissimo, della nostra identità e continuità storica, ci sfugge completamente perché di una identità e continuità storica nazionale non abbiamo nemmeno il sospetto.

(Indro Montanelli – Corriere della Sera, 8 giugno 1997)

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