Archive for gennaio 2010

Dall’homo faber al conclave

Il mio lavoro ormai è costituito al cinquanta-sessanta per cento da riunioni. Riunioni per decidere, riunioni per decidere come decidere, riunioni per decidere come decidere chi deve decidere. E così via.

Venerdì ho trascorso la giornata lavorativa tra un conclave e l’altro. Poi di corsa a casa, per una riunione in Comune alle 18 ed una del P.G.T. alle 20.30. Sabato mattina, l’adunata con la redazione di Voltapagina. Ora, è opinione diffusa che l’assidua partecipazione ai tavoli delle decisioni sia direttamente proporzionale all’importanza dell’individuo nella società: più riunioni fai, più importante sei.

No. Personalmente continuo a sostenere la nobiltà e la centralità dell’homo faber, colui che fa e soprattutto colui che crea. Lavori manuali, ma non solo. Si può lavorare solo con la mente e creare opere eccezionali. E più uno crea, più è importante.

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Ma qual Avatar?

Andate a vedervi il film italiano “La prima cosa bella”. Due ore che scivolano veloci, con una storia tutto sommato ordinaria, ma asciutta e carica di passioni. Il solito Virzì, con qualche sbavatura cronologica (non tutti gli attori sono azzeccati), ma con tantissima carica emotiva. Anche un’ottima fotografia. E poi una colonna sonora da Oscar: su tutte, la canzone Eternità dei Camaleonti. Spesso le cose semplici sono le migliori.

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Beato Craxi

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia
”.

(Vangelo di Matteo 5,3-11)

Mi sono riletto le beatitudini e non ho trovato alcun cavillo legale pensato dal solerte evangelista, in grado di giustificare la beatificazione di Craxi. In un attacco di Alzheimerpoliticallycorrect, anche Napolitano ha cercato la via del revisionismo e dell’assoluzione postuma. Demenza senile? Non credo. Se si tratti di un buonismo diffuso o di una misera cecità è difficile dirlo.

Craxi grande statista, ovvio. Uno che trascorre metà della sua vita in politica, nel bene o nel male è sempre un grande statista. È questo un merito? Può darsi, anche se io credo di no. Il fatto poi che abbia pagato più di altri le pecche della malapolitica, non significa affatto che sia innocente e che vada assolto. Per uniformare colpe e punizioni, andrebbero puniti gli altri, non riabilitato lui.

Beati gli ultimi, se i primi sono onesti”. Forse è questo il grande equivoco che ha dato origine alla beatificazione in corso.

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Quel che rimane di ciò che se ne va

“C’è il vestito da sera che mettevi per me,
delle scarpe di tela consumate dal sole,
tra le cose che hai dimenticato qui.

C’è un giornale che ho letto, le candele di cera,
tra le cose che non hai portato via;
il mio primo biglietto, quella tua canottiera,
tra le cose che mi fanno compagnia.

E’ incredibile pensare a come a volte si nascondono,
poi saltano fuori quando non le cerchi più;
sono come le persone, come noi, sono fatte come siamo fatti noi.

E il vento trasporta memorie, sconfitte vestite da grandi vittorie.
E il vento riporta alla luce certi segni sulla pelle che non cambieranno mai,
sulle deboli persone come noi, sulle povere persone come noi”.

(E. Ruggeri – Oggetti smarriti)

Un weekend di grande manovre, quello appena passato. La necessità di sgombrare buona parte della mia casa, mi ha spinto a fare i conti con una miriade di cianfrusaglie polverose. Un vecchio granaio, dove per generazioni la mia famiglia ha posato le cose che non servivano più, ma che non si volevano buttare (“non si sa mai, se un domani…”). Vecchie armi del tempo, diligentemente deposte di fronte all’incedere impietoso delle epoche. Specchio di una cultura fondata sul risparmio e sul rispetto, del denaro prima, e delle cose poi. Non si gettava nulla, perché ogni oggetto acquistato era frutto del sacrificio e del sudore dei nostri avi.

So per esperienza che apprestandomi allo sgombro avrei osservato attentamente ogni oggetto, soppensandolo e chiedendo informazioni sulla sua storia, ripulendolo e fantasticando, ripensandolo nell’uso moderno ed inventandone un nuovo utilizzo. Così facendo avrei inevitabilmente disatteso il compito primo: svuotare l’ampia soffitta. Con la morte nel cuore dunque, ho iniziato col darmi due regole basilari. La prima: chiudere gli occhi e gettare tutto. La seconda: di fronte a dubbi o rimorsi, impormi che tutto scorre e che è giusto guardare avanti, non solo indietro. Considerazioni razionali, per superare le difficoltà, mica ci credo davvero…

E così ho fatto, di fronte a tutto. Vecchi mobili mischiati a materassi di paglia, ma anche tante scarpe, doviziosamente riposte nelle relative scatole demodé, e vestitini da bambino del dopoguerra. Molti libri, appartenuti agli zii che studiavano, ma anche tanti quaderni delle elementari e giochi di legno. In uno scatolone, le macchinine e i soldatini della mia infanzia, la pista delle auto e quelle lattine, nascoste dalla mamma per boicottare una collezione ormai traboccante.

Il rifugio della fanciullezza, dove scappavo per trovare pace e poesia ora è un grande spazio vuoto. Il ricettacolo dei miei piccoli sogni, dove fantasticavo frugando tra le cianfrusaglie e trovando ogni volta qualche chincaglieria nuova, ora è un anonima soffitta con le travi a vista. Il pathos suscitato dalle scritte sui muri, realizzate dai militari nascosti durante il primo conflitto mondiale, oggi è un ricordo svanito.

Perché tutto scorre… ma quanto è difficile rinunciarci.

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L'identità di Ferrara

Ferrara, recita wikipedia, è una città dell’Emilia-Romagna, situata nella bassa pianura emiliana, sulle sponde del Po di Volano. Ferrara gode di un importante periodo aureo quando nel basso Medioevo e nel Rinascimento sotto il governo della famiglia degli Este viene trasformata in un centro artistico di grande importanza non solo italiano ma anche europeo.

Ma Ferrara, recitano le cronache sportive degli ultimi tempi, è anche un giovane e sfortunato allenatore, che non gode affatto di un periodo aureo e che è bel lungi dal trovare fama in Italia e in Europa.

Ferrara, la città, suscita ammirazione di primo acchito, fascino in seconda istanza. Ferrara, l’allenatore, accende anzitutto genuina simpatia, ma poi stimola alla cristiana compassione e quasi all’imbarazzo, quando lo si vede combattere tra le insidiose forche di un pianeta calcio troppo grande per lui. Scarso, forse, e certamente poco fortunato.

Nessun augurio per lui (con quello che guadagna, vorrei averli io i suoi problemi), ma solo la speranza di capire se si tratta di una marionetta, di un cialtrone o semplicemente di uno sciagurato innocente.

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Dalla Manifestazione alla fiera

Epifania significa Manifestazione.

Ieri, trovandomi a Roma, ho percorso quei solchi di piazza Navona che tagliano le folle di gente e che raggiungono il massimo della celebrità proprio nella data del 6 gennaio.

Tra le fontane del Bernini e l’arte di Borromini, la meravigliosa piazza ospita sfacciatamente centinaia di bancarelle. Dalle frittelle fritte dei pakistani ai peluche made in china. Dalle caramelle multicolor ai trionfi della plastica.

Non ho visto alcuna tipicità del luogo, non c’erano prodotti enogastromici esclusivi e neppure l’artigianato locale. Solo chincaglierie dozzinali e tanta asiaticità.

Né più né meno delle bancarelle del Te per Sant’Anselmo o di quelle di Santa Lucia a Verona, intendiamoci. Fossi un sindaco, emanerei un’ordinanza che vincola la qualità dei prodotti esposti e che restringe le tipologie di merce in mostra, facendo riferimento alle peculiarità del territorio.

Così l’Epifania da Manifestazione è diventata una fiera.

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Se il buongiorno si vede dal panino

Annuntio vobis gaudium magnum (o “gaudium magnandi”, nel senso di gioia del mangiare). Non c’è bisogno di chiarire all’intelligenza dei lettori di questo blog, che il gaudio è in realtà un angosciato eufemismo.

Ieri, spinto dalle necessità e trascinato da un’orda di barbari colleghi, sono tornato al McDonald. Mancavo esattamente da dieci anni, da quando nel lontano 2000 alcuni amici mi trascinarono a trascorrere la fine di un inconcludente sabato notte tra hamburger, patatine alla colza e pane al poliuretano espanso.

Tu quoque Silvio… ebbene sì! Mi vergogno di me stesso e dalla mia forza volontà che non ha saputo imporsi e ribellarsi.

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