Quel che rimane di ciò che se ne va


“C’è il vestito da sera che mettevi per me,
delle scarpe di tela consumate dal sole,
tra le cose che hai dimenticato qui.

C’è un giornale che ho letto, le candele di cera,
tra le cose che non hai portato via;
il mio primo biglietto, quella tua canottiera,
tra le cose che mi fanno compagnia.

E’ incredibile pensare a come a volte si nascondono,
poi saltano fuori quando non le cerchi più;
sono come le persone, come noi, sono fatte come siamo fatti noi.

E il vento trasporta memorie, sconfitte vestite da grandi vittorie.
E il vento riporta alla luce certi segni sulla pelle che non cambieranno mai,
sulle deboli persone come noi, sulle povere persone come noi”.

(E. Ruggeri – Oggetti smarriti)

Un weekend di grande manovre, quello appena passato. La necessità di sgombrare buona parte della mia casa, mi ha spinto a fare i conti con una miriade di cianfrusaglie polverose. Un vecchio granaio, dove per generazioni la mia famiglia ha posato le cose che non servivano più, ma che non si volevano buttare (“non si sa mai, se un domani…”). Vecchie armi del tempo, diligentemente deposte di fronte all’incedere impietoso delle epoche. Specchio di una cultura fondata sul risparmio e sul rispetto, del denaro prima, e delle cose poi. Non si gettava nulla, perché ogni oggetto acquistato era frutto del sacrificio e del sudore dei nostri avi.

So per esperienza che apprestandomi allo sgombro avrei osservato attentamente ogni oggetto, soppensandolo e chiedendo informazioni sulla sua storia, ripulendolo e fantasticando, ripensandolo nell’uso moderno ed inventandone un nuovo utilizzo. Così facendo avrei inevitabilmente disatteso il compito primo: svuotare l’ampia soffitta. Con la morte nel cuore dunque, ho iniziato col darmi due regole basilari. La prima: chiudere gli occhi e gettare tutto. La seconda: di fronte a dubbi o rimorsi, impormi che tutto scorre e che è giusto guardare avanti, non solo indietro. Considerazioni razionali, per superare le difficoltà, mica ci credo davvero…

E così ho fatto, di fronte a tutto. Vecchi mobili mischiati a materassi di paglia, ma anche tante scarpe, doviziosamente riposte nelle relative scatole demodé, e vestitini da bambino del dopoguerra. Molti libri, appartenuti agli zii che studiavano, ma anche tanti quaderni delle elementari e giochi di legno. In uno scatolone, le macchinine e i soldatini della mia infanzia, la pista delle auto e quelle lattine, nascoste dalla mamma per boicottare una collezione ormai traboccante.

Il rifugio della fanciullezza, dove scappavo per trovare pace e poesia ora è un grande spazio vuoto. Il ricettacolo dei miei piccoli sogni, dove fantasticavo frugando tra le cianfrusaglie e trovando ogni volta qualche chincaglieria nuova, ora è un anonima soffitta con le travi a vista. Il pathos suscitato dalle scritte sui muri, realizzate dai militari nascosti durante il primo conflitto mondiale, oggi è un ricordo svanito.

Perché tutto scorre… ma quanto è difficile rinunciarci.

  1. #1 by M.P. at 19 gennaio 2010

    ma proprio a tutto tutto bisogna rinunciare? sicuro?

  2. #2 by Silvio Baù at 19 gennaio 2010

    Sicuro proprio no. C’è sempre l’eccezione dietro la regola.

  3. #3 by Antonio Lonardo at 19 gennaio 2010

    no dai, non ci dredo che hai buttato tutto, io non ci sarei riuscio….

(non verrà pubblicata)

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