Archive for giugno 2007

Genesi di una mostra

Conobbi don Daniele in prima media. Rimase nella nostra parrocchia fino a quando io e i miei amici ci addentrammo nella buia selva delle scuole superiori. Anni strani. Bambini che diventavano adolescenti, adolescenti che volevano già essere adulti. Caratteri da formare, alla continua ricerca di esempi da seguire ed immagini da contestare. Cercavamo persone con le quali confrontare schiettamente le nostre passioni ed i nostri sogni, menti aperte in grado di ascoltare i nostri disagi ed i piccoli grandi problemi che l’adolescenza porta inevitabilmente con sé.
A tredici anni riconoscevo in don Daniele l’autorità perfetta, la guida sicura e giusta. Vedevo l’uomo che sapeva motivare le mie scelte, valorizzare le mie doti, parlare alla mia anima. Il sacerdote giusto al momento giusto. Poi un po’ di delusione, quando lo vidi precocemente lasciare la nostra comunità per raggiungere la missione in Etiopia. “Pazienza”, dissi. “Certo che tra tutti i sacerdoti che ci sono, proprio lui dovevate mandare fin laggiù?
Anni dopo, di fronte alle nuove e diverse pieghe della vita, capii che don Daniele fu molto più di tutto questo. Gli bastarono pochi anni per tracciare il solco del mio carattere. “I frutti”, come diceva lui, “li avrei raccolti dopo”. La sua morte, repentina all’età di 43 anni, mi sconvolse la vita. In un continuo flash back, rividi tutte le nostre conversazioni, trovando molte risposte ai miei nuovi problemi, quelli che lui non aveva neppure fatto in tempo a conoscere. Ripensai che quando ancora ero bambino, lui mi aveva già preparato ad affrontare il mondo degli adulti. Aveva eretto fondamenta che un giorno sarebbero state la base di una costruzione più grande. Ringraziai Dio per questo, per l’immenso dono di quell’uomo grande, che la Provvidenza mi aveva concesso di conoscere. Mi arrabbiai con lo stesso Dio, colpevole di averlo allontanato da Volta e di averlo poi preso definitivamente con sé. Troppo presto.
A dieci anni dalla sua morte, l’allestimento di una mostra.
Non vuole (almeno nelle mie intenzioni) essere un modo per ricordarLo, ma per ricordarCi. Chi ha avuto la grazia di condividere un percorso con don Daniele, non ha bisogno di espedienti per ricordarsi di lui. La sua grandezza, celebrata ovunque ed indimenticabile per definizione, rimane un’immagine indelebile: patrimonio comune e personale allo stesso tempo, che nessuno ci toglierà mai. Noi abbiamo invece la necessità di rivederci, di riviverci, di ricordarci come eravamo quando vivevamo alla sua ombra. Rivedere noi stessi al fianco di don Daniele ci aiuterà a capire molto e di più della nostra vita.

Ringrazio per questa mostra Gianluca, che seppur latitante sul piano pratico, ha avuto il merito di coinvolgere la mia curiosità, sollecitando come sempre le giuste molle delle mie motivazioni.
Ringrazio il Paio, che ha fatto la maggior parte del lavoro, catalogando e perfezionando le immagini reperite qua è là nei ricordi privati delle persone. Tutto questo, come sempre, a discapito di attività economicamente più redditizie.
Ringrazio Andrea Mazzi, che anche all’ultimo minuto ci ha dato il prezioso e fondamentale supporto tecnico per realizzare meravigliosi pannelli per l’esposizione. Fare le ore piccole insieme nel suo laboratorio, ha dato un sapore speciale a tutto il lavoro.

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Priebke, la giustizia e il suo contrappasso

Se Erich Priebke può salire liberamente su uno scooter ed attraversare il centro di Roma contromano alle sette del mattino, è probabile che sia anche in grado di affrontare le pene e gli stenti del durissimo carcere italiano. L’autorità giudiziaria, invece, impietosita dal suo stato indigente, gli aveva concesso illo tempore il benefit degli arresti domiciliari. Non doma, ed in balia di un impetuoso turbine di pietà, gli aveva concordato anche il permesso di lavoro in uno studio legale. Mi pare coerente: ammazzi centinaia di italiani? Bene, allora puoi restare in Italia ed occuparti di giustizia. In pratica come se un pedofilo scontasse gli arresti domiciliari facendo l’insegnante d’asilo.
Il furor di popolo ha gridato allo scandalo, vergognosamente indignato di fronte alla compiacenza mostrata al vecchio gerarca. Ancora una volta il marcio buonismo della giustizia italiana si è ritrovato indecentemente imbarazzato e smascherato alla prima occasione. Consentire a Priebke la libera professione equivale a riconoscerlo meritevole di una ricompensa e soprattutto ritenerlo in grado di ricoprire una pubblica utilità. Anziché condannarlo ad espiare le sue colpe ed a pagare per quanto ha combinato, gli chiediamo di contribuire alla crescita della nostra società.
Una giustizia che ha fallito due volte: la prima quando non ha saputo imporre una pena adeguata all’autore di simili crimini contro l’umanità, la seconda quando ha beffato la società italiana “riqualificando” l’uomo-Priebke.
La contraddizione del sistema si rende ancor più evidente quando il provvedimento di permesso al lavoro viene rettificato solo in seguito alle proteste popolari. Chissà… se l’opinione pubblica non fosse insorta, forse avremmo potuto trovarci un cittadino italiano costretto a rispondere in giudizio alle accuse di un legale-gerarca tedesco. A volte la legge del contrappasso può essere spietata.

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La questione immorale

Dice bene Marco Travaglio quando afferma che se non fosse per il precedente illustre di Berlusconi, il guazzabuglio DS-Unipol-Coop Rosse basterebbe da solo per chiedere le dimissioni dei celebri interessati e mandare a casa un governo. Tuttavia il conflitto d’interesse del Cavaliere, mastodontico e perpetrato nel tempo, oscura la gravità dell’”illecito rosso”, facendolo apparire esile, risibile e quasi giustificabile.
Evidentemente solo la nostra Banana Republic può permettersi un arco parlamentare completamente in conflitto d’interessi, senza soluzione di continuità né geografica (da destra a sinistra), né temporale (si resiste ad libitum. Dimissione? Chi è costei?).
Aitanti manager con amicizie importanti e dubbie, segretari di partito dal telefono intasato, guardie di Finanza alla caccia degli uni e in fuga dagli altri. Che panorama è questo?
Si è parlato da più parti di una rinnovata “questione morale”, facendo riferimento ai limiti etici e deontologici che la politica dei nostri giorni quotidianamente infrange e valica. Ormai… repetita stufant. Ed ancora una volta, innanzi alle accuse dell’opinione pubblica unita nel decretare il proprio disappunto, e davanti all’oggettività del proprio illecito, la classe politica si ritrova concorde nel fornire risposte errate. Di fronte alla divulgazione delle intercettazioni compromettenti, quelle di oggi come quelle di ieri, la politica non si sforza di interrogarsi e di auto-rigenerarsi, ma si limita ad imbavagliare i giornalisti.
Questa non è incapacità, né cecità. Al contrario, si tratta di pianificazione ed attenta lungimiranza. Si tratta di un piano strategico per sopravvivere, per mantenere lo status quo: cambiare significa mettere in crisi posizioni e privilegi. Perché mai dovrebbero farlo?

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Lo spirito olimpico dell’assessore allo sport

Io stesso ho consumato le pagine di questo blog per scagliarmi contro i malcostumi e gli scandali della politica italiana. Ho riscontrato consensi diffusi, perché sulle disoneste impudicizie dei governanti, tutti concordiamo e facciamo fronte comune. Sferriamo accuse verbali alla Roma ladrona, nella convinzione o nell’illusione che i piccoli comuni rimangano isole tutto sommato felici ed estranee. Ma se l’oggetto dell’attacco diventa l’amministratore locale e non più il politico nazionale? Se ci ritroviamo un assessore imputato in un processo? Se tutto questo accade davvero, cosa possiamo dire al riguardo?
La Gazzetta di Mantova dell’8 giugno riporta la notizia di un processo che vede imputato per ricettazione uno dei nostri assessori. Nessuna condanna, per ora solo accuse ed imputazioni.
Accetto il principio del garantismo, io che garantista non sono, ed accordo il beneficio del dubbio, non traendo alcun giudizio affrettato. Lascio anche perdere l’etica dell’eleggibilità (che sembra essere diventata una prerogativa esclusiva degli dei, e non degli uomini, e che imporrebbe a chi ha le mani sporche di non candidarsi al pubblico servizio), ma non posso non pensare che il minimo in questione siano le dimissioni dalla carica ricoperta. Chi può chiederle, le chieda; chi può darle, le dia. Si faccia appello al principio della moralità, ammesso e non concesso che ne sia mai esistita una. Purtroppo ho l’impressione che non sarà così.

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Leader maximo in offerta Speciale

Il Governo ha allungato le dita nella pasta delle nomine di alti comandanti in modo dubbio, si è fatto sorprendere con le mani sporche e, ad un anno di distanza, non è riuscito a scrollarsi di dosso le polemiche (anche le più strumentali) che l’opposizione ha prontamente sollevato. Storia di ordinaria politica, di diatribe normali e pressoché quotidiane.
Lo stesso Governo non ha saputo soffocare le accuse, offrendo al generale Speciale il contentino di un nuovo ruolo, per insabbiare, tacere, dimenticare. Invece… l’effetto opposto: ovvero clamori, urla e fuochi d’artificio. Ma anche questo rientra nella normalità dello sciagurato teatrino bi-partizan delle accuse e delle difese, volto ad intontire l’opinione pubblica, ad anestetizzarla di fronte al dolore delle non-riforme.
Capita così che si debba arrivare ancora una volta al voto di fiducia. Il minestrone di maggioranza, diviso tra dibattiti e polemiche, è nuovamente costretto a litigare e votare questioni fini a se stesse. L’opposizione cavalca l’onda, dimenandosi compiaciuta nello stagno di una palude senza fine.
Cui prodest, a chi giova?
Siamo entrati in un vicolo cieco senza vie di fuga. Ogni occasione è propizia per la polemica e per l’immobilismo. Tutto sembra finalizzato al non-fine.
È triste (c’ho pensato molto, ma non ho trovato aggettivi più appropriati) sapere che l’empasse imboccata non ha soluzione. Il Governo è bollito, senza prospettiva alcuna. Auspicare nuove elezioni è irragionevole: la banda bassotti è pronta a risalire per completare il colpo.
Gli intellettuali vedono come unica possibilità quella dell’avvento di un leader nuovo ed illuminato, un leader maximo capace di rivoluzionare le consuetudini e sterzare la rotta. D’accordo.
Il problema è che l’orizzonte non sembra indicare alcun uomo nuovo, tantomeno illuminato. A meno che, dopo i gol di ieri sera, non si pensi a Quagliarella…

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Il nodo del neoleghismo

Tutti i nodi che si vengono a formare, che si complicano e che non si sciolgono, capita che prima o poi vengano al pettine. È solo una questione di tempo.
È questa la chiave di lettura dell’emergente neoleghismo che sta attraversando il Nord. Le amministrative hanno premiato i candidati del Carroccio oltre ogni previsione. Le vecchie battaglie, monopolio di Bossi e Calderoli, sembrano avere permeato buona parte del settentrione. La sicurezza che i cittadini hanno richiesto prima a Berlusconi e poi a Prodi non sembra aver ricevuto risposte soddisfacenti. Le imprese che chiedono meno tasse e più flessibilità per concorrere con l’Europa lamentano ogni giorno la loro insoddisfazione.
La celebre questione settentrionale nel tempo si è affrancata dalle posizioni secessioniste di separazione dal Sud, brandendo sempre più convintamene il desiderio di sopravvivere agli attacchi economici e sociali provenienti dall’esterno. Se all’inizio “i pochi” volevano l’indipendenza dal rimorchio del meridione, oggi “i molti” vogliono preservare il proprio benessere e la propria sicurezza. Non solo leghisti dunque, ma un malessere più diffuso e più consistente.
In questo nodo si incaglia il pettine del Governo. Prodi ha perso l’occasione di mostrare alla metà dell’Italia che non l’ha votato di poter badare anche ai loro interessi. Ha avuto l’occasione di fare ciò che Berlusconi non ha fatto ed è rimasto inoperoso, impegnandosi in questioni marginali ed irrisorie.
Se avesse aiutato le imprese e favorito la sicurezza, o se almeno avesse mostrato di affrontare il problema, oggi sarebbe più forte. Avvicinare il Nord era fondamentale per restare in piedi sull’asse ballerina dei pochi voti conquistati. Di fatto si è dimenticato di mezza Italia. La stessa mezza Italia che ora rischia di scivolare nel turbine senza ritorno dell’egoismo neoleghista. Un nodo che rischia di diventare un problematico cappio per tutti.

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