Archive for gennaio 2008

Indiana Jones, tra politically correct e voli pindarici

La querelle sulla necessità di una nuova legge elettorale, o sul bisogno di elezioni immediate, è l’ultimo fuoco del traballante spettacolo pirotecnico in scena al Parlamento. Al di là di tutte le considerazioni profonde sollevate in queste ore, la questione, se ridotta ai minimi termini, è semplicissima. Berlusconi e la CdL vogliono il voto immediato per cavalcare l’onda d’impopolarità del Centrosinistra: prima si vota e migliore sarà il risultato. In quest’ottica ogni giorno che passa rischia di annebbiare la pole position del Cavaliere. Di contro il Centrosinistra deve temporeggiare: ogni istante che passa è un istante guadagnato alla riconquista di quell’appeal, perso nel fresco naufragio dell’esperienza governativa. Tutto il resto, le spiegazioni, i principi, le giustificazioni, costituisce solo un colorito corollario.
È in questa fenditura che s’inserisce il mandato esplorativo conferito oggi a Marini. Un atto doveroso ed inevitabile quello di Napolitano. Ineccepibile. Le sue motivazioni all’investitura del Presidente del Senato sono sacrosante, inappuntabili. La scelta del Capo dello Stato di tentare la via di un Governo di scopo (come si chiama oggi) è politicamente corretta, poiché è doveroso tentare di giocare qualsiasi carta, anche la più disperata. Coagulare una maggioranza di voti, finalizzata alla redazione di una legge elettorale è quanto di più auspicabile esista. L’augurio è che si possa davvero condividere un metodo che sbaragli il porcellum e restituisca agli italiani preferenze e governabilità. L’esploratore Marini ha un compito arduo, ma assolutamente ragionevole e condivisibile.
Le obiezioni del Centrodestra, tuttavia, sono inconfutabili: se non si è riusciti in due anni a fare una legge elettorale con un Governo pienamente investito, come si può sperare di riuscirci in pochi mesi, con un pugno di parlamentari e un’opposizione apertamente contraria? Folle.
L’esploratore, insomma, rischia di tentare inutilmente il volo verso mete impossibili. Però tentare a volte è l’unica via d’uscita.

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Se cresce l’Erba

Meglio l’erba del vicino, che il vicino di Erba”, canzonava un adagio, neanche troppo vecchio. La dice lunga su quanto sia entrata nella vita degli italiani quella drammatica vicenda d’assassinio. Media che cavalcano l’onda emotiva e propinano, per questa e per altri terribili omicidi, supposte seriali ad ogni ora del giorno. Non se ne può più, e la fila è lunga: va dal plastico di Cogne ai video su YouTube di Sollecito. Anche oggi, code di astanti assetati al Palazzo di Giustizia di Como, per la prima udienza di Olindo & Rosa (sembra il titolo di una fiction comica). Tutto uno show, in cui l’importante è partecipare e poter rivendicare a buon diritto: “Io c’ero”. Presenziare al Grande Fratello, oppure davanti alle mille telecamere di un processo per omicidio… cosa cambia?
Troppo facile e retorico scagliare il dardo contro il solito italiano medio, povero d’intelletto e avido d’inerzia, sempre più simile ad uno scarrafone lobotomizzato, che ad un essere pensante.
Partecipi pure il nostro curioso spettatore, segua le gesta degli attoruccoli di quartiere alla tv (pubblica e privata, ovviamente), sulle riviste patinate dedicate, oppure sui quotidiani-monnezza. Faccia quel che vuole, insomma. Affaracci suoi.
L’unica paura è che tutto questo caos e carosello ci distolga inavvertitamente dai veri problemi. Come italiani ne abbiamo tanti, occhio a non dimenticarcene.

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Buona forchetta – La Pace

Il locale è quello di un bar aperto da poco. Una sala luminosa, dai toni caldi, sembra più adatta ad un veloce pranzo di lavoro che ad una cena meditata e tranquilla.
Scelta di piatti appena sufficiente, ma qualità degli stessi niente affatto elevata. Del nostro tris di primi segnalo a malapena gli gnocchi alla fonduta di formaggio e porcini. Aberranti le crespelle. La mia tagliata era perfettamente insapore. Pare sia andata meglio a chi ha scelto lo stracotto d’asino con polenta.
Assente la carta dei vini. Sia il bianco che il rosso sfusi non sono potabili. Vi capitasse, chiedete senz’altro una bottiglia (qualsiasi).
In undici, con tris di primi per tutti, otto secondi, sei dolci, acqua, vino (due litri sfusi, più due bottiglie di Valpolicella Classico), amari e caffè abbiamo speso 25€.
Voto finale: 4,5
Fortunatamente la simpatia dei commensali ha sollevato la serata. L’evento della cena sociale di Lega ha rispettato le ormai grandi aspettative.

Trattoria La Pace, via Romagnoli, 52 – San Massimo (Vr)

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La strettoia di Ceppaloni

Il governo pericolante, in continuo bilico e costante agonia, non è una novità. Il porcellum dell’ultimo voto gli ha consegnato un mandato a breve scadenza: quasi ad orologeria. Le contraddizioni interne della combriccola di maggioranza hanno aggiunto un’instabilità ulteriore. Che fosse per un veto di Rifondazione, per il voltagabbana di qualche senatore transumante o per la mozione di qualche partituccio del centro… poco sarebbe cambiato. La caduta ai primi veri passi, insomma, era nella fisiologia delle cose, prima ancora che negli annunci delle cassandre.
L’imminente voto al Senato segnerà con ogni probabilità la fine della sventurata avventura di Prodi. Una fine che si compie, se possibile, nel peggiori dei modi.
Innanzitutto, la retromarcia dell’ingombrante Mastella ha un sapore triste ed amaro. Nella politica della Casta corrotta e privilegiata, il massimo tutore della Giustizia, che non dovrebbe dare neppure l’occasione del dubbio, si ritrova accusato da quella magistratura che in altre circostanze aveva sempre difeso. Il Nostro risponde dapprima lanciando fumo, poi lanciandosi alla fuga. Non affida la sua difesa alle braccia della Giustizia, che presiede, ma tenta di screditarla, scappando poi come la più braccata delle vittime. Vedendo che il quadrato eretto dai compagni di casta questa volta non regge, si vendica scendendo pesantemente dal carrozzone. E domani quello stesso carrozzone non riuscirà a passare dalla strettoia di Ceppaloni.
In secondo luogo, la caduta del Governo avviene nel momento più sconveniente per il paese, perché quanto accadrà nelle prossime settimane sarà catastrofico. Alle cose “non fatte”, ai mesi di stasi, s’aggiungerà un periodo di completo blocco. Nessun governo tecnico e nessun governo istituzionale potranno restituire agli italiani una legge elettorale decente. Mesi a discutere sui dettagli che ogni modello importato (tedesco, francese, spagnolo, etc…) evidentemente comporta, e poi ci ritroveremo alle urne con la nefandezza del porcellum, delle sue liste bloccate et similia. Ci ritroveremo di nuovo Berlusconi, in un quadro generale pressoché immutato. Da Ceppaloni non solo non si passerà, ma si tornerà rovinosamente indietro.

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Ritorno a Praga

Me la ricordavo così bella. Anche se l’avevo vista negli anni in cui la giovinezza idiota sovrasta il buonsenso, quando nelle vacanze estive ci spingevamo in ogni angolo d’Europa, senza preparazione alcuna e senza guide, armati solo del nostro esuberante coraggio e della nostra fisiologica stupidità.
Praga in estate tracima di turisti assetati di luoghi da visitare, di angoli da scoprire, di scorci da fotografare. In inverno è più vivibile, benché sempre assaltata dalle orde di visitatori e dalle comitive made in Japan.
Il cuore di Praga è la piazza della Città Vecchia, magnifica ed affascinante, dalla quale partono e s’aggarbugliano tantissimi vicoletti acciottolati. L’ascesa alla torre dell’orologio ci ha regalato un ampio panorama sulla città, anche se il sole faceva spesso i capricci. La cosa più piacevole è certamente perdersi tra i negozietti e le birrerie storiche, vagare senza metà, con l’unico obiettivo di respirare l’atmosfera nordica e fondersi soavemente con essa.
Il quartiere ebraico di Josefov mi ha un po’ deluso. È decisamente suggestivo e singolare il cimitero, ubicato al centro del quartiere dove migliaia di lapidi di sovrappongono all’infinito, ma sono di scarso interesse le innumerevoli sinagoghe intrise di testi ed oggetti della cultura ebraica dei secoli scorsi. Il biglietto, che consente la visita a tutti i luoghi “sacri” non è affatto giustificato.
Dal maestoso ponte Carlo si ha una scenografica vista del castello e degli incantevoli edifici che lo affiancano. Saliti dalla scalinata vecchia (Staré zàmecké schody) abbiamo visitato la cattedrale di San Vito con la tomba di San Venceslao, la torre delle polveri, la basilica di San Giorgio ed il Vicolo d’oro, nel quale piccolissime casette sgargianti (in una vi abitò Kafka) restituiscono una fedele immagine della Praga che fu. Sempre dall’alto del quartiere del castello, piazza Hradcany, fiancheggiata dal Palazzo Schwarzenberg, permette un’ammirevole vista sulla Città Vecchia. Da qui si può discendere al quartiere di Malà Strana attraverso la storica Nerudova.
Dopo aver percorso anche le vie della Città Nuova (tra tutte, piazza Venceslao), ci siamo spinti fino alla rocca di Vysehrad, nella zona sud. Un bellissimo parco e poco più… forse non vale la pena perderci un paio d’ore come abbiamo fatto noi.
Tra le innumerevoli birrerie che offrivano ottimo vitto e birre squisite, segnalo la celebre U Fleku (nella Città Nuova), tipicamente da turisti, con fisarmonica e tavolate di giapponesi, ma davvero imperdibile. La birra scura Flekovské che producono ed offrono è davvero fantastica. Nella Città Vecchia c’è l’imbarazzo della scelta e la Tigre d’oro (via Husova 17, senza indirizzo non si trova perché è imboscatissima) è decisamente la migliore. Il presidente ceco ci portò Bill Clinton per fargli assaporare la Praga più vera: non ci sono turisti, ma solo vecchi praghesi affezionati, quasi unicamente uomini. Non entrateci per bere un tè o una birra piccola: non esistono.
Noi abbiamo soggiornato all’hotel Waldstein, che essendo a pochi passi dal ponte Carlo, ci ha permesso di muoverci sempre a piedi. Una camera ampia, da quattro posti ha reso confortevole e comodo tutto il soggiorno. Ottima e abbondante la colazione e tutto il servizio. Unica pecca il letto troppo imbarcato: inadatto a chi soffre di mal di schiena.
Freddo, ma non troppo. Speravo nel fascino nordico della neve, invece solo nuvolaglie e qualche raggio di sole qua e là. Per fortuna pochissima pioggia, quasi nulla.
SkyEurope promossa a pieni voti: venti minuti d’anticipo sia in andata che al ritorno.

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Buona forchetta – Al Fogolar

“Buona forchetta” è una nuova sezione del blog che conterrà commenti e descrizioni su ristoranti, trattorie, agriturismo, osterie. Da un’idea di Rodeo, ho deciso di utilizzare il blog anche per contenere questo genere di informazioni. Filtrabili con una sezione dedicata (a destra della pagina potete vedere la categoria “Buona forchetta”) gli articoli descrivono e consigliano le esperienze culinarie del sottoscritto. I vostri comments potranno completare il quadro, rendendolo più ricco e attendibile.
Non ho certo la pretesa di confezionare una guida o di imporre consigli. Come sempre, la ragione fondante è “che mi piace farlo”. Tutto il resto viene , se viene, dopo. Si comincia con la trattoria Al Fogolar.

Piacevole l’impatto all’ingresso con l’antico lavabo in marmo sovrastato da libri sul vino e bottiglie ricercate. L’ambiente è accogliente ed elegante. La prima sala, quella del focolare, è forse la più caratteristica delle tre. Ottimo il servizio, anche se il sommelier in maglietta della salute (probabile retaggio di un impegno ai fornelli) stona alquanto con le caratteristiche del locale. Cucina da 7,5, con ampia scelta, quantità di cibo tutt’altro che scarse e piatti interessanti. Tra i primi consiglio vivamente le tagliatelle maialino e tartufo. Non ho digerito la tagliata al trito siciliano (notte insonne a causa del pesantissimo olio utilizzato), ma non posso dire che non fosse buona. Non ho visto la carta dei vini, ma se volete risparmiare un po’, il vino della casa (Valpolicella della cantina Tommasi) è ottimo. In cinque, prendendo tutti antipasto, primo, secondo di carne, contorni, dolce, caffè e grappa, acqua e vino, abbiamo speso 32€ a testa.
Voto finale: 8
Trattoria Al Fogolar, via Mazzini 151 – Quaderni di Villafranca (Vr)

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Il «call center spazzatura». E la Corte dei conti condannò il governatore

Sapete quanta diossina hanno liberato ieri, nel cielo (ex) azzurro di Napoli, i 65 cassonetti di pattume bruciati nelle rivolte di piazza? Poco meno di 9 mila microgrammi. Pari a quanta ne butta fuori l’inceneritore di Marghera in 546 giorni a pieno ritmo. E quante polveri nocive si sono levate, da quei cassonetti? Quante ne espelle il termovalorizzatore di Brescia in 441 giorni. Lo dicono i dati dell’Istituto superiore di sanità basati su numeri del governo svedese. Dati ripresi anche da un ambientalista al di sopra d’ogni sospetto quale il presidente onorario di Legambiente Ermete Realacci.
Certo, lo sa benissimo anche lui che l’ideale sarebbe fare a meno degli inceneritori grazie a una virtuosa riduzione dei consumi, a una raccolta differenziata capillare, al recupero di tutto ciò che è riciclabile, all’uso di nuove tecnologie come quel «dissociatore molecolare» che Alfonso Pecoraro Scanio descrive con l’entusiasmo che Giovanni da Pian del Carpine metteva nel descrivere la residenza del Gran Khan Guyuk. Quello è il punto di arrivo. Ma intanto? Cosa fare, della esondazione di «munnezza» che sta allagando Napoli e le sue disperate periferie? Come rimuovere il bubbone di oggi così da poter approntare le cure di domani? Cosa fare di quelle 95 mila tonnellate di spazzatura che traboccano sulle strade e delle 7 milioni di fetide «ecoballe» («testate» all’inceneritore di Terni, lo hanno bloccato per mesi rivelandosi gonfie di sostanze radioattive) oggi accatastate in oscene piramidi così ingombranti da avere paralizzato l’attività perfino dell’impianto Cdr di Caivano? Il piano Bertolaso Sempre lì si torna: al piano di Guido Bertolaso. Che aveva proposto di guadagnare un anno di tempo scaricando tutto ciò che si poteva nella grande cava dismessa di argilla di Serre, in provincia di Salerno, e usare quel tempo per concludere i lavori al termovalorizzatore di Acerra e insieme avviare sul serio la raccolta differenziata così da permettere ai nuovi impianti di bruciare «ecoballe» vere.
Progetto saltato per l’ennesima ribellione di piazza e sostituito, con la benedizione dello stesso Pecoraro, con la sventurata creazione a pochi chilometri di una discarica nuova, ottenuta a costi esorbitanti abbattendo centinaia di querce secolari. Misteri ambientalisti. E adesso? C’è chi dice che non c’è scampo, piaccia o non piaccia, alla riapertura della orrenda cloaca di Pianura. Chi non vede alternative a caricare decine di treni per la Germania o la Romania. Chi suggerisce, come Walter Ganapini, già protagonista di quel «miracolo» che vide Milano risolvere l’annoso problema delle discariche e passare in quattro settimane dal 3 al 33% di raccolta differenziata, di tamponare l’emergenza usando siti dello stato soggetti a servitù militari. Ciò che è certo, è che quelle cataste di spazzatura stanno causando non solo a Napoli ma a tutto il Paese un danno di immagine inaccettabile. Che si aggiunge al danno fatale: l’inquinamento della terra, delle falde, dei pascoli che non solo, come ha ricordato Roberto Saviano, ha fatto impennare del 24% i malati di tumore nelle aree a rischio. Ma ha fatto abbattere migliaia di pecore, mucche, bufale perché il loro latte, come denuncia Realacci, «doveva essere trattato come un liquido tossico da smaltire».
Lo scaricabarile
Cosa sarà deciso? Soprattutto: chi prenderà queste decisioni? E sarà disposto a raccogliere davvero la sfida dichiarando guerra frontale alla camorra? Boh… Lo scaricabarile di questi giorni tra Antonio Bassolino e il governo, Rosa Russo Iervolino e Alfonso Pecoraro Scanio, assolutamente convinti che la colpa non sia affatto loro (o perlomeno vada spartita con tutti) e che dunque ogni richiesta di dimissioni sia pretestuosa, la dice lunga. Tutti colpevoli? Nessun colpevole. La Corte dei conti però, almeno in un caso, è convinta che un colpevole ci sia. E lo ha individuato nel governatore campano. Fu lui, infatti, nel ruolo di Commissario, a dare vita alla Pan (Protezione, ambiente e natura: sic) creata nel 2002, con un capitale di 255 mila euro poi trasferito gratuitamente alla Provincia di Napoli e all’Arpac (l’agenzia regionale di protezione ambientale), per dare un servizio informativo sull’emergenza ambientale ma rivelatasi un carrozzone clientelare. Venti mila dipendenti Non l’unico carrozzone, sia chiaro. Come ha scritto sul Corriere del Mezzogiorno Simona Brandolini, con la scusa dell’emergenza i dipendenti dei 18 consorzi di bacino sono via via aumentati fino a diventare ventimila: «Uno ogni 300 abitanti. La Lombardia produce più immondizia della Campania ma per ogni netturbino lombardo risultano esserci 25 netturbini campani ».
Di più: «Quelli che devono raccogliere la “sfraucimma” (cioè il materiale di risulta dei cantieri) sono allergici alla polvere, quelli che devono selezionare il cartone non possono sollevare più di due chili causa un mal di schiena ben certificato». Per non dire di quanti hanno denunciato il Commissariato perché «non lavorando, si sono giocati lo stipendio a tressette». Tornando al Pan, la sentenza della Corte dei conti dice che assunse senza motivo 100 lavoratori socialmente utili. In realtà, stando al bilancio della società, al 31 dicembre 2006 gli Lsu erano 180. Su un totale di 208 lavoratori. Che facevano? In 34, come abbiamo raccontato, «lavoravano » a un call center dove ricevevano mediamente una telefonata a testa alla settimana. Gli altri seguivano non meglio precisati progetti degli enti locali, in particolare della Provincia di Napoli, il cui presidente è quel Riccardo Di Palma che del commissariato per l’emergenza (dettaglio stigmatizzato della commissione parlamentare presieduta da Paolo Russo, anche per i 400 mila euro di compensi) era consulente.Risultati? L’anno scorso ha incassato 4,3 milioni di euro di fondi pubblici (insufficienti perfino a pagare gli stipendi: 5,6 milioni) chiudendo con un buco di 1,2. L’anno prima, nel 2005, ne aveva persi il doppio: 2,3. Un disastro tale che due mesi fa, quando stava per arrivare la sentenza di primo grado (in appello si vedrà: auguri) la società è stata cancellata. Meglio, è stata fusa in un’altra, l’Arpac multiservizi, controllata dall’Arpac, l’Agenzia regionale di protezione ambientale. Troppo tardi, però, per evitare la stangata dei giudici contabili. Che chiedono a Bassolino di risarcire 3,2 milioni di euro.

(Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella – Corriere della Sera, 6 gennaio 2008)

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Io voto yankee

I cosiddetti presunti “esportatori di democrazia”, stavolta andrebbero davvero seguiti ed imitati. Si contano sulle dita di una mano le lezioni che dovremmo imparare dagli americani perché un popolo senza storia ha poco da insegnare, ma in questo caso un pensierino al riguardo dovremmo farlo. Forse i media italiani sono riusciti a creare un po’ di confusione, ma il sistema elettorale delle primarie statunitensi è quanto di più vicino all’idea di democrazia rappresentativa che possa esserci. Le elezioni primarie di questi giorni danno inizio ad un lungo processo che terminerà con l’elezione del presidente degli Stati Uniti. Sono il primo passo di un lungo ed articolato cammino. Ogni stato ha un proprio sistema elettorale, in base al quale gli elettori scelgono i propri candidati: chiunque può proporsi, sarà il voto a fare la selezione. Laddove il sistema è “chiuso”, potranno votare solo gli elettori iscritti al partito;  se invece il sistema è “aperto”, tutti sono ammessi alla consultazione, indipendentemente dalla militanza politica. L’aspetto fondamentale è che chiunque è ammesso alla candidatura, non esistono candidati “preconfezionati” dai partiti né nomination decise dalla classe politica (vedi primarie PD). I partiti, in sostanza, subiscono le candidature scelte dall’elettorato, come deve giustamente essere, non viceversa. I candidati, nominati dal popolo, concorreranno all’elezione finale di novembre per aggiudicarsi (ancora una volta a suon di preferenze) la poltrona della Presidenza. Altro che Casta di Untouchables.

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Aborti guelfi e aborti ghibellini

Non ci avevo mai pensato. L’estensione delle riflessioni valide per la pena di morte all’ambito dell’aborto apre un grossa voragine di dibattito. È riduttivo, per quanto mi riguarda, limitare le posizioni all’ennesimo scontro tra laici e cattolici.
Famiglia Cristiana perora ciecamente l’appello di Ferrara (“L’impegno contro la pena di morte non è diverso da quello contro l’aborto e l’eutanasia, perché è impegno a favore della vita. Per i cattolici non è una novità”), mentre la sinistra massimalista mette in guardia dal pericolo del totalitarismo ecclesiastico. Per una volta mi piacerebbe superare questi schemi condizionanti e arrivare a discuterne costruttivamente. Sull’aborto ho sempre faticato a prendere posizioni nette e radicali. Oggi più di prima.

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