Archive for aprile 2011

Calma e sangue freddo

Scèndra, scìla e fümm, abracadabra e incensi cul prufümm,.
Sciguèta imbalsamada e un basilisco disegnà sura una spada.
Abraxas Xabaras e vèss o mea vèss…

(Cenere, cera e fumo, abracadabra e incensi col profumo.
Civetta imbalsamata e un balisisco disegnato su una spada.
Abraxas Xabaras ed essere o non essere…)
 
D. Van De Sfroos – Il libro del mago

 

Qualcuno deve spiegarmi qual è il significato della reliquia nel 2011. Il dizionario Garzanti la definisce come “corpo o parte del corpo o oggetto che sia appartenuto a un santo o a un beato e del quale la chiesa abbia autorizzato il culto pubblico”. Oggi la Sala stampa vaticana ha reso noto che ”la reliquia che verrà esposta alla venerazione dei fedeli in occasione della Beatificazione del Papa Giovanni Paolo II è una piccola ampolla di sangue, inserita nel prezioso reliquiario fatto preparare appositamente dall’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice”.

Mi risulta che di fatto la Chiesa sostenga l’iconoclastia, cioè che non ammetta la venerazione delle immagini. Riserva tuttavia un trattamento diverso per le reliquie dei santi e dei beati. Di queste è infatti ammesso il culto, perché l’efficacia del miracolo o della grazia richiesta non sarebbe riposta nella reliquia stessa, ma nella preghiera che la reliquia aiuta ad esprimere. Un cavillo giuri-spirituale piuttosto criptico e astruso.

A me sa di strumentale, di contradditorio. E mi ha fatto pensare al libro “I pilastri della terra”, alla curiosa vicenda del cranio di Sant’Adolfo, ben custodito per attirare fedeli da ogni parte del regno.

Uomini e donne di molta fede, lo dico senza polemica e con molta curiosità: spiegatemi con calma qual è il senso di venerare un’ampolla di sangue.

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A PARER MIO – Se Risorgimento è solo l’altro nome del Vialone

Qualche mese fa è apparsa sui giornali la notizia della cancellazione del decreto, che sanciva l’annessione della provincia di Mantova allo stato italiano. Il 16 dicembre 2010 infatti, nel marasma di eliminare tutte le leggi inutili, il Ministro per la Semplificazione normativa ha depennato anche il Regio Decreto del 1866, con cui Mantova e “le province della Venezia” entravano a fare parte del Regno d’Italia. Una svista grave, passata velocemente in cavalleria tra timide battute e dominante indifferenza. Anche se la Costituzione mette al sicuro l’italianità di Mantova, sancendo che la Repubblica è “una e indivisibile“, la cittadinanza non si è affatto indignata per questo errore grossolano, limitandosi a scuotere le spalle e a passare oltre.

Non molto lontano da noi, alcuni comuni hanno scelto di non festeggiare il 17 marzo: le amministrazioni locali hanno decretato che i dipendenti comunali dovevano lavorare e che proprio non c’erano soldi per cerimonie pubbliche e manifestazioni.

La retorica della passione nazionale insomma, l’enfasi del tricolore e delle celebrazioni per festeggiare ampollosamente l’Unità, i lunghi monologhi sul Risorgimento, sembrano sentimenti e necessità solamente dettati dai media, figli unici del grande circo della comunicazione. Sono  solo i giornali e le tv a parlare di patriottismo e di senso dello stato. Sono sempre i mezzi d’informazione e di divulgazione a propinarci le canzoni e gli inni all’Italia, lei lezioni di storia e gli appelli all’unità. Ma la gente comune?

L’impressione è che i cittadini non percepiscano in maniera così forte questo amor patrio, che non avvertano appieno l’importanza di festeggiare il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Che si sentano davvero italiani solo per le vittorie della nazionale e per i successi della Ferrari, che pensino al Risorgimento solo come all’altro nome del Vialone.

Forse perché i loro problemi quotidiani sono altri e più gravi. Forse perché nelle difficoltà di tutti i giorni, non c’è molto tempo per pensare alla storia d’Italia.

O forse, più semplicemente, dopo centocinquant’anni sono ancora attuali le parole di Cavour, che vedendo fatta l’Italia si chiedeva quando sarebbero stati fatti gli italiani.

(Editoriale pubblicato su Voltapagina n. 37)

Particolare del Comune

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Bando alle Ciancy

Se fosse vero, come sembra essere vero, che il cosiddetto Ciancimino Junior ha falsificato il pizzino del padre, per aumentare la potenza della macchina del fumo, allora verrebbe meno tutta la credibilità del personaggio. Vale la regola che chi lucra una volta, lucra per sempre.

Se fosse vero che il pizzino è stato manomesso, allora qualcuno dovrebbe chiederci scusa. Chi ce l’ha propinato come il “testimone scomodo”, come la “voce della coscienza”, come l’”arcangelo dell’annunciazione”, forse dovrebbe dare delle spiegazioni.

Sarò in controtendenza (d’altronde questo blog non ha colore), ma l’investitura e l’apologia fatte e perpetrate da Santoro e Travaglio, meritano delle spiegazioni. Nella migliore delle ipotesi si sono fidati ciecamente di un mascalzone. Una colpa grave anche per il migliore dei giornalisti.

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XIII° Consiglio (14 aprile 2011)

È stata votata all’unanimità la convenzione per i “nuovi affacci sul Mincio”, nell’ambito del Consorzio del Parco Regionale del Mincio. Volta aderisce, insieme a Goito e Marmirolo, ad un bando della regione Lombardia e l’intera operazione è gestita dal Parco. L’obiettivo è quello di finanziare il tratto di ciclabile che da via Teofilo Folengo arriva in piazza Cantarana: 135.000 euro (di cui 100.000 finanziati dal bando). Lo stesso bando riguarda anche i finanziamenti per la Casa del Giardiniere, il cui restauro è stato più volte sbandierato nelle campagne elettorali. Qualora uno dei tre comuni non approvasse, o si ritirasse dalla convenzione, l’accesso al bando decadrebbe anche per gli altri due comuni.

L’Amministrazione ha dato il via al PRIC, cioè al Piano Regolatore dell’Illuminazione Comunale. Si tratta di uno studio che ha monitorato e censito tutta la rete d’illuminazione del territorio. È un documento obbligatorio per legge, ed integrativo del famoso PGT. Tra i dati interessanti, quello della spesa annua a carico del Comune, che per l’illuminazione pubblica spende circa 140.000 euro e quello delle emissioni annue di anidride carbonica: 500.000 kg! Il documento definisce anche un piano d’intervento per la messa a norma dei punti luci non conformi, per il miglioramento dell’efficienza, per la riduzione del consumo energetico e delle emissioni di anidride carbonica, per l’introduzione parziale di impiantistiche a led. Detto piano costerebbe all’incirca 2.700.000 euro, una cifra inaffrontabile per Volta Mantovana. L’idea è quella di affidare, tramite gara, tutta l’operazione ad un gestore esterno. Il gestore si occuperebbe dei lavori e della manutenzione, mentre il comune pagherebbe un canone annuo pari all’attuale esborso per le spese d’illuminazione (i famosi 140.000 euro). Banalizzo e semplifico: al termine del periodo, ammortizzabile comunque in parecchi anni, il Comune avrebbe sborsato gli stessi soldi che spende oggi, ma si ritroverebbe con gli impianti normativamente regolari e tecnologicamente più avanzati. Il voto è stato unanime.

È stato poi emendato il regolamento del trasporto scolastico, al fine di garantire che il pagamento delle rate non possa avvenire dopo l’inizio del servizio. Capitava infatti che alcuni utenti utilizzassero il pulmino sino alla scadenza della rata e poi non versassero il contributo. Inoltre non ci saranno esenzioni sul servizio di trasporto, per i bambini degli ultimi anni che abitano a meno di 200mt dal percorso del pedibus. Un genitore può decidere di mandare il figlio in pulmino, ma se abita vicino all’itinerario pedibus non avrà deroghe sul costo. Ciò dovrebbe incentivare la fruizione del servizio a piedi. Beggi ha obiettato che il pedibus non è sicuro e che non è giusto forzarne l’utilizzo sino a questo punto. La modifica al regolamento ha ricevuto comunque il voto unanime.

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Livello sette

”Sette cavalieri, sette giacche rosse,
sette cani neri, come pensieri;
e le loro donne, hanno sette gonne,
sette gli stallieri, amati ieri;
suona cupo il corno, manca un dito al giorno”

(R. Vecchioni – Sette meno uno)

La catastrofe di Fukushima ha raggiunto il livello 7. Come direbbe Cirri, “oltre c’è solo l’Armageddon”.

Non sapremo mai come stanno realmente le cose, ma assimilando quello che ufficialmente ci raccontano… siamo ai livelli di Chernobil. Intanto dovrebbero spiegarci come si passa da livello 5 a livello 7, senza passare dal 6 (interrogativo che mi ponevo spesso già al ginnasio, alla fine dei trimestri riguardando lo score del greco scritto).

Nonostante tutto, riusciamo ancora a sbattercene allegramemte le scatole perché alla fin fine il Giappone si trova dall’altra parte del mondo.

Sarebbe bello che con un referendun imminente, il Parlamento dibattesse appieno sull’argomento “nucleare”. Vorrei che mi spiegassero chiaramente i pro e contro, che si andasse al di là dei preconfezionati: “no, non serve perché hai visto in Giappone cos’hanno combinato?” o “le centrali moderne non sono mica come quelle di quarant’anni fa”.

Vorrei che scorressimo le settimane e le prime dei giornali parlando del nucleare alle porte e non del processo breve.

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Equivoco in cucina

Una signora ha telefonato a mia madre per sapere come si cucinano i “ciucarì”.

Si tratta di una pianta perenne (Silene vulgaris) che cresce spontaneamente nei prati e della quale sono apprezzati soprattutto gli impieghi culinari: risotti, insalate, frittate. I suoi fiori hanno la forma di palloncino ed è suggestiva, benchè poco attendibile, l’idea che il nome derivi da Sileno, leggendario amico di Bacco dalla proverbiale pancia tonda. Più probabile l’origine dal greco “sialon” (saliva), per la vischiosità delle sue secrezioni.

Ad ogni modo… la signora ha detto che avendo ricevuto in regalo molti “ciocarì” (non “ciucarì”), voleva un consiglio sul modus cucinandi. Mia madre è partita in quarta a spiegare come si prepara un dolce a base di riso soffiato e cacao.

Aveva capito “ciocorì”. Per la gioia di tutti i palati, l’equivoco è stato presto chiarito. Ma quanto è bella questa lingua?

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Da dà da’

Qualcuno mi ha chiesto più volte di curare una rubrica di grammatica su questo blog. Non ne ho le competenze e neppure l’autorità, anche se spesso gli strafalcioni della vita quotidiana risvegliano fortemente la tentazione di bacchettare e di intervenire con la matita rossa e blu.

La settimana scorsa ho preso il treno per Milano. All’interno delle vetture scorre un’invadente scritta luminosa: “Trenitalia vi da’ il benvenuto”. Ormai siamo abituati e non ce ne accorgiamo: da’, con l’apostrofo, invece del corretto dà, con l’accento. Quisquiglie? Non tanto.

L’utilizzo dell’apice in luogo dell’accento nasce con l’informatica, all’epoca del primo codice ASCII del 1963. Tra i 128 caratteri decodificabili a quel tempo da ogni computer, non erano compresi i segni diacritici (cioè gli accenti, le dieresi, etc.). Un carattere “estraneo” ai 128 standardizzati poteva non essere riconosciuto da tutti i computer: da qui la necessità di utilizzare l’apostrofo al posto dell’accento.

Oggi siamo nel 2011 e non c’è computer che non riconosca la “à” accentata. Ma l’aggravante è che la confusione tra apostrofo e accento, che nasce come detto dai limiti del linguaggio informatico, ha ormai permeato tutti gli strati della comunicazione. Non è difficile imbattersi in appunti annotati scorrettamente o in avvisi balordamente scritti a mano. L’Accademia della Crusca sentenzia: “Bisognerebbe ricordarsi che questo peculiare costume linguistico ha una ragione di esistere solo in un suo contesto specifico (quello informatico, n.d.r.): se “esportato” da tale contesto, non diventa altro che una marca di pressappochismo”.

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1° d’aprile

“Non spiace di morire a chi vive tre bei mesi d’Aprile”

(Proverbio popolare)

 

Primo aprile. Ogni anno il primo aprile mi sveglio con due pensieri fissi: il terrore di subire uno scherzo, il desiderio di fare almeno uno scherzo.

Non posso raccontare pubblicamente e minuziosamente gli scherzi più belli fatti negli anni passati, perché non sarebbe prudente, ma molti conoscono “quello delle galline” e “quello dell’acqua”.

Quest’anno, ho visto che in una mail tra colleghi si metteva in vendita il motore perfettamente funzionante di una vespa 150, al prezzo di 150€. Ho risposto che mettevo in vendita il telaio di una vespa 150 priva di motore, a 100€. Ho allegato anche le foto di una vespa perfetta, completa di ruote, carrozzeria brillante e documenti validi (il valore minimo poteva essere di 5000€). Un affarone!

Hanno abboccato in due e uno era il proprietario del motore. Poca cosa, ma anche quest’anno il mio dovere l’ho fatto.

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