Archive for agosto 2007

Il salto per l’asta

Questa sarà una notte insonne. La più bianca di tutto l’anno. Una di quelle notti che prevedi già ad occhi sbarrati, senza possibilità di preventiva revisione, o di recupero almeno parziale. Cambiarne il destino sarebbe come chiedere alla pioggia di non cadere o ai terremoti di non far tremare la terra.
Nulla a che fare con l’insonnia alla vigilia di una vacanza o con la digestione post pizza di Carmelo. La notte che precede l’asta del fantacalcio è per sua stessa natura notte di dubbi e di interrogazioni. Banali, retorici, filosofici. La strategia messa a punto viene messa in discussione per almeno un paio d’ore, senza peraltro raggiungere un’alternativa soddisfacente. Ci si alza almeno tre volte per controllare se i documenti stampati siano esaurienti ed abbastanza “criptati”. “Il pupillo segreto vale davvero la candela?”, “Il portiere?… cazzo il portiere me lo fregano di certo, cosa faccio?”
Le domande incalzano e l’ansia cresce, facendo dimenticare il sonno ormai perso. Poi verso mattina mi chiedo “chi me lo fare”; allora mi insulto e guardo l’orologio alla luce dell’alba ormai prossima. Non ho dormito, senza motivo.
Ma siamo bambini. Ed i bambini, si sa, di notte dormono poco.

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La debacle dell’Umby

Si è gridato ancora una volta allo scandalo ed al vilipendio, ma l’ultima provocazione di Umberto Bossi non può stupire nessuno. Se da vent’anni a questa parte non ci siamo ancora abituati alle folkloristiche maschere dei teatranti celtici, il problema non è loro, ma nostro. Ampolle miracolose e gesto dell’ombrello… ed oggi ci indigniamo per l’appello a boicottare il lotto unito al pavento di imbracciare il fucile? Fanno male i Fassini di turno ad enfatizzare la sparata leghista, poiché alimentandone il fuoco ne ingigantiscono inevitabilmente il tiro.
È ormai scientificamente provato che la pochezza di idee, e l’ignoranza del popolino verde vestito, vengono celate dietro la simbologia magica ed i toni rustici di una classe dirigente tutto sommato ignorante e ormai anche poco fantasiosa.
Mi chiedo piuttosto quanto giovi a questi navigati guru del marketing, l’immagine attuale del dux Umberto. Caduto e decaduto. La parola incerta, ed i movimenti insicuri di un’icona sofferente, suscitano piuttosto umana pietà e caritatevole compassione. Ben lungi dunque dai dorati e lontani anni del celodurismo, l’arianesimo celtico rischia oggi di autoelidersi da solo nella spietata evoluzione della specie.

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Svalutation

È facile accodarsi all’accusa di Adriano Celentano, quando interviene nel tg di prima serata per denunciare il deturpamento delle coste liguri. Obbrobri edilizi, concessioni troppo generose e controlli altrettanto blandi. È un po’ il male dell’Italia, non solo della Liguria, quello dei furbi che badano all’interesse particolare e dei compiacenti che li assecondano nella filosofia del “lasciar fare”.
Come spesso gli accade però, è l’atteggiamento che non convince. La giaculatoria sotto i riflettori della Rai, in pieno stile molleggiato, è buona per arringare le folle e per fare del populismo e della demagogia, non certo per risolvere responsabilmente i problemi. Lo showman pecca, pecca nella tendenza ad abusare della sua autorevolezza, raggiunta grazie all’appeal con l’opinione pubblica, lanciando sentenze ed accuse generiche, mal supportate da dati e prove concrete. Accadde la stessa cosa nei primi anni in cui Beppe Grillo iniziava a denunciare i malcostumi del Belpaese, quando la sua autorevole voce di comico acclamato lo spingeva a criticare tutto il criticabile, riscuotendo il facile plauso di chi urla contro soprusi e potenti. Poi Grillo, da uomo intelligente e attento, iniziò a fare delle denunce una vera professione, sostituendo mirate ed ordinate accuse alle generiche apostrofi del tempo che fu. Precisione insomma, sostenuta da dati e valori, nomi e cognomi. Quella precisione e quella completezza che lasciano poco spazio al dubbio e al sospetto. Serietà, potrei dire.
Ma nel Paese dove i motociclisti comunicano a reti unificate con la nazione, si può forse chiedere ad un cantante di essere più serio?

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Se Cesare supera la misura

Prima che dai principii val forse meglio partire dall’esperienza. Se sto alla mia, so di non violare privacy ricordando quanto ho visto praticare sovente da parroci, da religiosi, da suore. E non soltanto in Italia ma, ad esempio in Francia e in Spagna, da economi di istituti e da rettori di santuari. E ho qualche ragione per credere che la prassi non valga solo per i Paesi latini.

Spesso, cioè, ho constatato che – dovendo regolare conti con muratori, artigiani, fornitori vari – uomini (e donne) di Chiesa non si comportano diversamente dal cittadino comune. Dunque, per quanto possibile, praticano un principio di “legittima difesa”, ricorrendo a sistemi che non sottopongano tutto l’importo a tutta la tassazione prevista. Non, intendiamoci, con metodi truffaldini, da professionisti dell’evasione, ma limitandosi alla forma più semplice: il pagamento in contanti di parte di quanto dovuto o una fatturazione inferiore al reale.

Ora: la vita spirituale di ciascuno è inviolabile, ma oso pensare che nessuno di quegli amministratori ecclesiali aggiunga le elusioni fiscali alla lista dei peccati di cui accusarsi nelle periodiche confessioni. Una supposizione, la mia, che si fonda anche sul fatto che nessun confessore mi ha mai chiesto conto del comportamento quanto a tasse, imposte, tributi.

Malcostume clericale, mancanza di senso civico in preti e suore che non solo non predicano dal pulpito l’obbligo morale di pagare le tasse sino all’ultimo cent (come depreca il “cattolico adulto” Prodi) ma cercano essi stessi di sfuggire almeno un poco alla pressione fiscale? Ma no.. semplicemente, come si diceva, un istinto di «legittima difesa». Non a caso l’aggettivo usato dal cardinal Bertone riferendosi alle imposte meritevoli di essere pagate è “giuste”. Così come di “giusti tributi” parla il Nuovo Catechismo cattolico e di “giustizia” nel carico fiscale parlano tutti i trattati di morale.

In effetti, è scontato ricordare che norma basilare del cristiano è il “dare a Cesare quel che è di Cesare”; e il Segretario di Stato non poteva non citarlo. Ma, per usare giustappunto il latino della Chiesa, est modus in rebus: che fare se Cesare supera, e di molto, il modus, cioè la misura? L’Ancien Régime dava poco ma chiedeva anche poco, la tassazione era per lo più irrisoria se confrontata a quanto sarebbe poi avvenuto. È, nella teoria, con i dottrinari illuministi e poi, nella pratica, con giacobini e girondini rivoluzionari, che lo Stato si fa “etico”, si fa “sociale”, si fa “totalitario”, assume per sé tutti i diritti e tutti i poteri, affermando che farà fronte a tutti i doveri e a tutte le necessità. Nascono e si sviluppano sino all’ipertrofia le burocrazie, si creano smisurati eserciti permanenti, si confiscano i beni con cui la Chiesa e i corpi sociali intermedi facevano fronte alte esigenze sociali, basandosi non sul torchio dell’esattore ma sulla volontarietà dell’elemosina. Cesare, insomma, pretende sempre di più, sino a casi come quello italiano dove ogni anno, sino a fine luglio, il cittadino lavora per uno Stato di fantasia inesauribile quanto a tasse e balzelli diretti e indiretti e bontà sua – lascia al suddito il reddito di cinque mesi su dodici del suo lavoro. Siamo in chiaro contrasto, dunque, con la “giustizia” chiesta dalla Chiesa, i cui moralisti – quelli moderni, non quelli antichi che si accontentavano delle “decime” giudicano, in maggioranza, equa una tassazione che, nei casi più severi, non superi un terzo del reddito. Non sorprende, dunque, che anche in gente di Chiesa scatti un istinto di autodifesa, un bisogno di equità davanti a uno Stato che sembra configurarsi non come un padre ma come un padrone e un predone.

Dopo avere detto che è “dovere del cittadino pagare le tasse” ma “secondo leggi giuste” (e tali spesso non sono, secondo il giudizio comune), il cardinal Bertone ha aggiunto che lo Stato ha il dovere “di destinare i proventi di esse ad opere giuste e all’aiuto ai più poveri e ai più deboli”. E qui c’è tutto lo spazio per un’ironia amara, tutti sapendo in quali “opere” siano dissipate somme enormi prelevate dai redditi di chi lavora. Tutti sanno, ad esempio, che stando alle impietose statistiche, buona parte delle “istituzioni sociali” statali hanno sì un fine assistenziale: ma, in massima parte, a favore delle burocrazie che le gestiscono. Tutti sanno – o almeno intuiscono – che sprechi, ruberie, privilegi, demagogie, incurie inghiottono tanta parte non del “tesoretto” casuale ma dell’immenso, sempre rinnovato “tesoro” fiscale.

Giustizia, dunque, nel prelievo ed impiego virtuoso di esso: queste le basi della prospettiva cattolica a proposito di tributi. Basi che sono ben lontane dall’essere rispettate. Per cui non sembra ingiustificato il commento di Rocco Buttiglione: “Non pagare le tasse è una colpa. Indurre i cittadini nella tentazione di non pagare, pretendendo tributi esosi ed ingiustificabili, è colpa ancora più grave”.

(Vittorio Messori, Corriere della sera, 20 agosto 2007)

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Boicottare l’oro cinese

Può apparire dissennata la proposta del vice presidente del Parlamento Europeo, l’inglese McMillan-Scott, il quale ha provocatoriamente proposto al suo primo ministro Gordon Brown di boicottare i giochi olimpici del 2008 che si svolgeranno in Cina, negando alla rappresentativa britannica la partecipazione alle gare. Occorre dare un segnale forte contro i crimini perpetrati nella Repubblica Cinese e la mancata adesione alle olimpiadi, oltre a costituire uno straordinario catalizzatore di attenzione internazionale, fungerebbe da forte deterrente per l’efferata politica cinese, costretta (forse) a mettere una mano sulla coscienza per non perdere il vantaggioso treno olimpico. La posizione inglese, dicevo, potrebbe risultare scriteriata poiché mescererebbe una pericolosa vena politica ai principi dello sport, che per loro natura dovrebbero conservare distanza ed indipendenza. Dare un seguito al monito di Scott significherebbe politicizzare lo spirito olimpico, usando il ricatto sportivo come arma impropria di politica internazionale.
Questa posizione di “non ingerenza” negli affari interni dei singoli stati, motivata col sostegno alla separazione tra sport e politica, è largamente condivisa dai media internazionali e dall’opinione pubblica.
Si dimentica, tuttavia, come tra le altre cose ha sottolineato anche Amnesty International, che quando si parla di “diritti umani” significa affrontare tematiche che pre-esistono alla politica. La difesa dei diritti primari dell’uomo non è questione politica, ma logica di basilare sopravvivenza non soggetta ad ideologie né schieramenti di sorta. Spostandosi dietro questo punto di vista, l’irragionevolezza della posizione inglese si mitiga ed anzi diviene saggia.
Principi democratici inesistenti, diritti fondamentali negati, persecuzioni alle opinioni dissenzienti, controllo forzato delle nascite, mattanza di bambini. Questo, e molto altro ancora, è la Cina odierna. La scelta di affidare l’organizzazione dei giochi del 2008 alla potenza asiatica, è stata decretata dal comitato olimpico in cambio della promessa cinese di una maggiore tutela dei diritti umani per il proprio popolo. Promessa inevitabilmente disattesa e sapientemente elusa.
Ecco allora che la rinuncia estesa alla partecipazione olimpica da parte di tutti i paesi democraticamente evoluti (si pensi ad esempio al forfait di tutta la Comunità Europea) potrebbe diventare l’unica occasione per imporre alla Cina un brusco cambio di rotta e per riscattare le sofferenza di milioni di cinesi. Non per una faziosa imposizione ideologica, ma per una tutela di diritti universalmente condivisi.

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Ciao

Quelli che vogliono Mario
(E. Jannacci – Quelli che…)

Chissà se sei davvero nel posto che penso. Chissà se ti concedono un tempo per pensare ai tuoi cari. O se tu stesso puoi prendertelo e dedicarti per qualche istante al loro ricordo, come loro fanno con te. Chissà se da quel posto puoi vedere, parlare e continuare ad amare tua moglie. Sarebbe bello scoprire che riesci a pensare ai tuoi figli, alla tua famiglia, al paese che tanto amavi.
Fosti uomo buono, dall’indole grande e dall’animo generoso.
Da piccolo mi divertivo a giocare con te, ad ascoltare le tue parole, a seguire i tuoi gesti. Poi nei miei anni più belli mi lasciasti da solo, il tuo lungo viaggio mi abbandonò con i ricordi e le tante preghiere.
Vorrei dirti che proprio quando non avevo neppure l’età per imparare, tu riuscisti ad insegnarmi tanto.
Ciao nonno.

(esattamente vent’anni fa, moriva mio nonno Mario)

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Né partito né democratico

Il dizionario Treccani alla voce “partito” recita: associazione volontaria di cittadini con una propria struttura organizzativa, costituita sulla base di una comune ideologia politico-sociale e avente come obiettivo la realizzazione di un determinato programma, attraverso la partecipazione alla direzione del potere.
Stando a questa definizione, risulta abbastanza facile confutare la natura partitica del costituendo Partito Democratico. L’imminente soggetto politico che riscalda la vecchia minestra dell’Ulivo, senza peraltro aggiungere ingredienti ulteriori né mutare l’identità dei commensali, è privo infatti di quell’attributo essenziale di unità programmatica ed ideologica che distingue (o dovrebbe distinguere) i partiti dalle più blande associazioni degli stessi. Cattolici e comunisti potranno anche correre insieme alle elezioni, ma non possono identificarsi appieno sotto il medesimo gonfalone. Un conto è camminare fianco a fianco per arginare le furie dell’avversario politico e contrastarne i diabolici disegni, ben altra cosa è fondersi in un’unica anima capace d’interpretare sentimenti comuni e comuni strategie. D’altro canto le esperienze delle ultime stagioni hanno già mostrato che a sinistra ci si può aggregare fin che si vuole, ma che per governare bene è necessaria l’unicità di intenti e vedute.
La bagarre per la corsa alle candidature del PD rende anche discutibile la scelta dell’attributo democratico. Le esclusioni di Di Pietro e Pannella, entrambi schierati nello sconfinato spazio del centro-sinistra, a tutto rispondono fuorché ai criteri di democrazia. In un vero partito democratico infatti, chiunque può aspirare alla leadership, dal momento che la scelta della guida è demandata in toto alla sovrana volontà dell’assemblea dei cittadini. La bocciatura dei due cavalli sani suona piuttosto come l’eliminazione di possibili ostacoli alla galoppata del candidato prescelto. Togliere a Veltroni i possibili veri concorrenti (non si penserà che Rosy Bindi sia una vera candidata alla leadership??), significa di fatto consegnargli il timone del partito ancora prima delle elezioni primarie. Anche in questo caso la commedia delle precedenti primarie uliviste, che investirono Prodi di ogni potere, depone a favore di questa tesi. La scelta del candidato operata nella stanza dei bottoni viene mascherata da plebiscito popolare.
Ho sempre sostenuto il bipolarismo, ma nella situazione italiana è davvero dura rimanere coerenti con le proprie idee. Da un lato la continuità del cavaliere nero e del suo entourage preposto a consolidare il potere del padre padrone. Dall’altro gli eterni incompiuti, capaci solo di riunirsi, chiacchierare e fondersi insieme l’un con l’altro. Ulivo, Unione, Partito Democratico… come se cambiare la salsa di una pasta scotta potesse appagare la grossa fame della società italiana.

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