Archive for maggio 2008

Dieci ipotesi sull’esonero del Mancio

 

Non poteva terminare la stagione, senza una gag comica in casa Inter. Rubo l’idea a Carlo Genta che sul Sole24ore di oggi ha pubblicato alcuni motivi del licenziamento di Mancini. L’idea è sua, i contenuti miei.

1. Mancini è stato esonerato per una mera legge delle probabilità: avendo vinto tre scudetti di fila, è più probabile che un asteroide cada sulla Madunina, piuttosto che l’Inter faccia un poker. Quindi Oriali, telefonando a Moratti, avrebbe detto: “meglio cambiare, n’è!”
2. Mancini è stato esonerato per un complotto internazionale: l’acquisto invernale del talentuoso Maniche era la carta decisiva per mettere finalmente le mani sulla Champion’s. Ma il fortissimo centrocampista, portoghese di nascita e di lingua, non decifrava affatto i pizzini dell’allenatore marchigiano. Col lusitano José Mário dos Santos Mourinho Félix andiamo sul sicuro.
3. Mancini è stato esonerato perché all’Inter non sopportano gli italiani. Vicino l’accordo tra Materazzi e la Paganese.
4. Mancini è stato esonerato perché si era spaccato lo spogliatoio. La moglie di Maicon vedeva nel bel Roberto l’immagine romantica del liceale dagli occhi languidi e dalla criniera fluente. Facile capire le incomprensioni createsi sotto la doccia, tra il fragile tecnico ed il portentoso difensore.
5. Mancini è stato esonerato perché aveva rubato lo shampoo a Crespo.
6. Mancini è stato esonerato perché nella dependance di Appiano Gentile serviva il quarto per la briscola con Hodgson, Cuper e Simoni.
7. Mancini è stato esonerato perché alcune foto equivoche, scattate nel privé del night Copacabana, avrebbero ritratto Ronaldo alle prese con una lunga chioma liscia. E Luxuria quel giorno aveva la permanente.
8. Mancini è stato esonerato perché dopo il caro petrolio, aveva offerto a Bedi Moratti un passaggio sulla sua nuova Ligier elettrica. Un affronto che la famiglia Moratti non ha saputo reggere.
9. Mancini è stato esonerato perché dopo l’annuncio di Tremonti sulla detassazione degli straordinari, Formigoni ha calcolato che senza i versamenti del Mancio, sarebbe andata in crisi la spesa pubblica della Lombardia.
10. Mancini è stato esonerato per uno scherzo fatto a Moratti, e finito male. Al ristorante El Tabarin di Milano, il presidentissimo, dopo aver ordinato un brodino coi maltagliati, si lamentava dell’alto ingaggio da 4,5 milioni del suo tecnico. Galliani, con la forchetta ricolma di risotto al tartufo, lo canzonava dichiarando che solo per Tassotti ne spende 7 di milioni. Ecco che tra un bollito indigesto e qualche calice di Ferrarelle, Moratti meditava collerico. E serviva, con la mela cotta finale, un triennale da 9 milioni a stagione a Mourinho. Prosit!

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La panacea sbagliata

Il reato di clandestinità di imminente introduzione non può essere il rimedio a tutti i mali.
Il principio, secondo cui penalizzando questo status si elimineranno i problemi della sicurezza, scricchiola nelle premesse.
Al di là dei dogmi etici che vedono nella teoria dell’accoglienza un caposaldo di civiltà, se si presuppone l’equivalenza, di per sé errata, del “meno clandestini, meno insicurezza”, allora sarebbe più efficace chiudere le frontiere agli irregolari prima, non incarcerarli dopo. Ma è fallace anche l’assioma secondo cui chi delinque è necessariamente un clandestino. In genere delinque chi non ha o non vuole un lavoro stabile e sufficiente, non tanto chi è clandestino tout court. Più che perseguire il clandestino, sarebbe più coerente, più semplice e più comprensibile perseguire chi commette i crimini.
I principi cardine, per avviare un approccio risolutivo al problema, sono essenzialmente due e da essi non si può prescindere. Vecchi, certo, ma sempre disattesi, dunque sempre attuali.
Il primo riguarda la ferrea penalizzazione di chi sfrutta i clandestini. Il grande bisogno di manovalanza e la forte domanda di lavoro, generano lavoro nero. Perché chi ha bisogno di manodopera a basso costo e chi è disposto a raccogliere qualsiasi proposta lavorativa si incontrano nell’unico punto di contatto: l’illegalità. Se si penalizzassero gli impresari banditeschi e si favorisse la regolarizzazione di chi lavora, raggiungeremmo contemporaneamente tre risultati. Verrebbero tutelati i diritti basilari dei lavoratori; imprenditore e salariato pagherebbero entrambi le giuste tasse nel bene della pubblica collettività; gli irregolari, cioè senza lavoro e senza casa, sarebbero di meno. E meno gente a spasso, significa oggettivamente meno criminalità.
Il secondo principio irrinunciabile risiede nella certezza della pena. Se chi commette crimini rimane impunito, giocoforza continuerà a delinquere e legittimerà gli altri a fare altrettanto. Oltre a ciò, per quanto impopolare, non è indecoroso pensare ad investire ulteriormente nell’edilizia carceraria. È inutile stipare ad libitum i condannati in centri di permanenza temporanea o fare gli indulti perché le carceri sono piene.
In questa opera di sburocratizzazione e potenziamento della “macchina giustizia” vanno investiti i danari.

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Game over

È capitato solo a Toto Cutugno a Sanremo ed il metro di paragone conserva in se stesso ogni imbarazzante squallore. Secondo, per la seconda volta consecutiva. Doppia sconfitta al fotofinish nel fantacalcio; l’anno prima un terzo posto. Nella giornata che festeggia lo scudetto dell’Inter, mi trovo anche a dover contemplare un fantacampionato gettato a meretrici per mezzo punto. Presiedo una Lega che mi ha dato grandi soddisfazioni, ma per ora appendo le pagelle al chiodo. Come i bambini capricciosi, che sconfitti sul campetto polveroso, raccolgono il pallone e se ne scappano gementi e piangenti a casa. “Orsù dunque…” col cazzo! 

Come i finti sportivi, ridondanti di belle parole e di ammirevoli propositi solo quando vincono loro. Sì, sì, proprio così. Sportività? What does it mean? 

Forse il caldo dell’estate asciugherà le ferite ed il mite vento di luglio sederà la raggelante sconfitta, riportando la bonaccia del buonsenso. Forse. Ma per ora l’anima si rifiuta, si ribella, si arriccia. Ed il corpo la segue in un silente muso duro.

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Buona forchetta – Agriturismo Petacchi

 

Antiche chincaglierie d’ogni sorta inzuppano le due stanze dell’agriturismo, rendendo l’ambiente più simile alla casa di una famiglia contadina che ad un locale pubblico. Vecchi arnesi agricoli accanto a radio e tv degli anni cinquanta. In un angolo un frigorifero retrò, nell’altro un camino acceso. Ovunque foto in bianco e nero e cianfrusaglie del mondo rurale. Anche un po’ di confusione d’epoche, ma pazienza… Ogni tavolo è diverso dall’altro, a dimostrazione che l’arredamento consiste tutto in originale materiale di recupero.
Antipasto di ottimi salumi, con focaccia calda, formaggio e coste (sic). Finalmente dei veri capunsèi, e non degli scarsi surrogati industriali spacciati per ricette tradizionali. Tra gli altri primi non sono male le tagliatelle all’agnello, mentre giudicherei mediocri i maccheroni all’anatra. Tra i secondi è senz’altro da provare lo spiedone, ovvero sottile carne di scottata avvolta ad uno spiedo di legno e servita su una piastra di ghisa insieme a verdure molto accattivanti.
Dolci decisamente scarsi: la panna cotta di yogurt non convince, la torta di mele non era fresca. Vino rosso della casa apprezzabilissimo.
Antipasto, primo, secondo, dolce, caffè: 18,50€.
Voto finale: 7+

Agriturismo Corte Petacchi, via dei Boschi, 3 – Volta Mantovana (Mn)

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L’etica del Travaglio

Non ho seguito l’ultima vicenda di Travaglio in diretta tv e non ho neppure visto registrazioni di sorta. Mi sono limitato a leggere qualche stralcio sui giornali, poca cosa.
Non dubito sulle parole del giornalista, che in questi anni ha sempre dimostrato di dire il vero. Scomodo fin che si vuole, ma la sua scientificità nel supportare con prove le parole che dice e scrive ha lasciato, negli anni, poco adito alla confutazione. Molti hanno precisato, ma nessuno è mai riuscito a smentirlo.
L’impressione tuttavia è che il Nostro stia cercando a tutti i costi lo scontro frontale. Forse per semplice masochismo, più probabilmente per autocelebrazione e pubblicità. L’obiettivo di divenire oggetto delle ire illiberali del PdL è fin troppo chiaro. Il fine di assurgere a vittima sacrificale, a capro espiatorio, mi pare evidente. In questo pecca Travaglio. Non nella sostanza delle verità che rende pubbliche, ma nella forma in cui le comunica. Esprimere quei concetti senza un contraddittorio, senza un confronto, mina l’etica del bravo accusatore e suscita i sospetti di cui sopra.

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Chi mal comincia

Per approntare un giudizio sull’assortimento della nuova squadra di Governo, bisognerebbe scindere l’aspetto della politica berlusconiana da quello del management scelto. Occorrerebbe cioè prescindere dalla filosofia e dall’indirizzo politico che hanno ispirato, ispirano e ispireranno le scelte del Cavaliere. Non perché la linea politica non abbia rilevanza, anzi!, ma piuttosto perché l’ovvio giudizio negativo su di essa pregiudicherebbe qualsiasi parere sulla scelta delle persone. Se infatti giudicassimo i nomi scelti, misurando la forma e la sostanza della politica forzista, incapperemmo nell’errore di bocciare chiunque, anche se fossero stati dodici premi nobel a giurare oggi di fronte a Napolitano. Insomma per produrre un’opinione oggettiva occorre mettere da parte la logica aberrante che sottostà al berlusconismo.
Fatta questa premessa, e fatta quest’azione di scissione intellettuale, i venti nomi usciti ieri sera dalla conferenza stampa del neo premier restano comunque poca cosa.
Assurdo criticare a priori tutte le nomine: la gran parte dei ministri è neofita, poco più che svezzata alla politica. Possiamo criticarne l’inesperienza o lodarne la freschezza, ma ogni giudizio serio deve essere sospeso, in attesa di azioni e movimenti pratici. Frattini, Sacconi e le ministre varie non convincono, ma ci spingono a congelare ogni responso.
Tra il popolaccio della Lega, Maroni è il personaggio più competente, compassato, mansueto e affidabile. Personalmente, avendo pochissimi pregiudizi di sorta, lo vedo con un barlume di ottimismo. Tra lui e i Calderoli di turno non c’è paragone: di questo gli va dato onestamente atto.
Invece non può essere benvista l’ulteriore investitura di Tremonti. Per la carica ricoperta, la sua nomina è forse la più ingombrante e imprudente: ne avremmo fatto volentieri a meno. Anche Scajola, La Russa, Matteoli lasciano alquanto perplessi. Il ricorso a qualche luminare tecnico avrebbe dato maggior lustro, spessore e midollo. Invece niente.
L’ultimo gradino della scala è occupato dal ministero dei Beni Culturali. Forse sta proprio qui il biglietto da visita del Governo: se non c’erano teste migliori di quella di Bondi, prepariamoci al peggio.

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Buona forchetta – Trattoria Castello

È cambiata la gestione rispetto a qualche anno fa ed anche i locali risultano completamente rinnovati e decisamente raffinati rispetto al passato. Ristorante non troppo elegante, ma discreto.

Come tutti i locali del paese, merita una visita per i risotti, vera specialità della zona.

Su tutti il risotto alle rane, davvero squisito, mentre per quello classico alla pilota, meglio andare a “la Vecchia Susano”, rispetto alla quale per ora non ho trovato eguali. Occhio alle porzioni: l’idea di assaggiare risotti diversi è forte, ma dividete le singole porzioni perché un piatto a testa è più che sufficiente. Molto buone anche le rane fritte.

Consigliabile il vino alla spina della cantina Aldegheri: il bianco freddo frizzante è piuttosto godibile.

Bignolata sufficiente, non trascendentale.

Primo piatto, un po’ di rane e pesce gatto fritti (meno di una porzione a testa), dolce e caffè: 20€

Voto: 7

 

Trattoria Castello, via Roma 74 – Castel d’Ario (Mn)

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I contribuenti della privacy

Trincerarsi dietro la tutela della privacy, sempre e comunque, è diventata la pura ipocrisia di un paese allo sbando. Appellarsi in ogni situazione al diritto di riservatezza, ed al relativo garante, è ormai lo sport nazionale, utile a nascondere sotto il tappeto polveroso le magagne e le colpevoli mancanze di un sistema infermo.
La pubblicazione delle denunce dei redditi fa torcere il naso a chi è in malafede. Chi non ha scheletri nell’armadio, chi denuncia ogni quisquiglia, perché mai dovrebbe temere la divulgazione delle notizie? Pettegoli e gli strumentalizzatori andranno a nozze, ma se tutto è alla luce del sole… qual è il problema? Inoltre il monito della pubblica piazza dovrebbe incentivare l’evasore a mettersi in regola, per non essere screditato dalla pubblica opinione, in vece dello Stato ormai distratto e troppo permissivo.
Dispiace che anche Grillo sia saltato dietro il paravento delle privacy, adducendo che gli elenchi diventeranno una “lista della spesa” per le organizzazioni criminali. Come se i rapitori avessero bisogno di internet per trovare le proprie prede. Il buon Beppe questa volta ha toppato. Speriamo in buonafede.

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