Archive for luglio 2009

Ricordo del Dòic

Io il Dòic me lo ricordo dai primi anni degli esordienti. Aveva un anno più di me, e a quell’età un anno è una differenza non da poco. Alto, snello, ordinatamente biondo, non veloce, ma tecnicamente discreto. Buon senso della posizione. Giocava titolare nel ruolo di libero, suscitando sconsideratamente la mia invidia, perché era esattamente quello che avrei voluto fare io: sia il titolare, che il libero. Invece bazzicavo più spesso dalle parti della panchina, individuato dal Toto come fluidificante – ala destra. Ero veloce e scattante, ma tecnicamente poco più che disabile. Un anno dopo, lo ricordo come fosse ora, nel campetto delle medie lo Zefir mi scoprì “interno” destro: ruolo che compresi solo nell’età della ragione, e solo con l’ausilio dell’enciclopedia e di qualche almanacco.

Poi il Denis Lorenzi lo ricordo sulla corriera delle superiori, all’epoca del suo bomber blu (come il mio), dei Ray-ban verdi (come i miei) e dei capelli rasati col ciuffetto davanti (come me). Non so, ma spesso mi sembrava che un po’ ci somigliassimo, anche se non era vero.

Negli anni dei campi scuola e delle gite parrocchiali ho condiviso con lui qualche bella camminata e qualche chiassosa chiacchierata. Poco altro. E di questo, col senno di poi, mi dispiaccio. Finite le superiori ci siamo persi di vista, pratico imbianchino lui, teorico dello studio io.

L’ho ritrovato tra la platea del consiglio comunale, intento a sostenere l’impegno di partecipazione che pochi mesi prima aveva sottoscritto.

La notizia gelida della sua morte mi ha raggiunto su una rovente strada portoghese, a migliaia di chilometri dal suo corpo, mentre con ben altri pensieri tornavo dalla spiaggia. Sono rimasto incredulo, inebetito, attonito. Quelle cose che devi ripeterti sottovoce più volte, prima di farle assimilare al cervello. A mente fredda ho ripercorso qualche brandello di ricordo che ci ha visti insieme.

Poca cosa, come dicevo. Oltre alla preghiera, per chi ci crede, in queste circostanze non possiamo fare nulla. Ma è giusto provare a ricordare e raccogliere almeno un briciolo di memoria.

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Ronda su ronda

Mah… tutto il frastuono sull’istituzionalizzazione delle ronde, proprio non lo capisco. Gli accostamenti con lo squadrismo delle epoche infauste, o con i regimi militari in genere, mi pareva azzardato prima, e ridicolo ora. Ci hanno detto che saranno gruppi formati al massimo da tre persone, con la casacca fluorescente di chi deve cambiare la ruota di un’auto ed il cellulare in mano. In presenza di reati, o di fronte a circostanze sospette, potranno solo avvertire le forze dell’ordine, nient’altro.

Il pericolo della deriva giustizialista, il rischio della supplenza delle forze di polizia da parte del cittadino o l’avvento della giustizia fai da te mi sembrano un’insensata fantasia, una facile demagogia.

Viene piuttosto da chiedersi se serviva fare una legge per stabilire che un cittadino può avvisare col cellulare la polizia, qualora si trovi ad essere testimone di un presunto reato. A destra si propone il nulla, a sinistra si critica il nulla.

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Onorevole propaganda

L’ultimo annuncio di Beppe Grillo, lungi dal coinvolgere appassionatamente le coscienze politiche,  suona piuttosto come l’ennesima boutade provocatoria e propagandistica. Figuriamoci se il Nostro non ha fatto i conti con i vincoli all’iscrizione, che pregiudicherebbero la sia designazione. È davvero così sprovveduto da annunciare la candidatura senza verificarne gli opportuni presupposti?

Forse l’obiettivo è solo un can-can mediatico da belle époque, che in caso di rifiuto da parte dei vertici PD, e dunque di mancata candidatura, dipingerebbe Grillo come un’onorevole vittima sacrificale.

Da reclutatore di folle è divenuto folle recluta. I suoi messaggi condivisibili rischiano di sembrare sparate di un piazzista in preda al delirio. Mi piaceva di più quando faceva la vera politica, quella delle proposte audaci, delle idee nuove e delle soluzioni concrete

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Proibizionismo analcolico

Down Under: l’acqua senza plastica

Le rivoluzioni iniziano dal basso, dai cittadini. Mentre al G8 mangiano, bevono, si fanno fotografare come degli attori e discutono del nulla, qualcosa si muove in Australia. I residenti di Bundanoon, vicino a Sidney, hanno votato contro l’uso di bottiglie di plastica per l’acqua nel loro territorio. Fontane pubbliche gratuite sono disponibili per i cittadini e i turisti. E’ un gesto per proteggere la Terra. Bundanoon è la prima città nel mondo ad averlo compiuto. In Australia è già iniziato l’effetto contagio in altre città. Invito i consiglieri a Cinque Stelle a proporre la stessa misura nei loro Comuni. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?), noi neppure.

(da www.beppegrillo.it – 9 luglio 2009)

Eh… la fa facile Beppe Grillo. Secondo lui dovremmo iniziare a proporre al Consiglio Comunale il proibizionismo sulle bottiglie d’acqua. A parte che l’acqua dei rubinetti pubblici in Italia è già gratuita, ma come si può pensare che un Comune riesca a vietare la vendita di bottiglie di plastica nel proprio territorio? Multiamo i bar che vendono il mezzo litro in pvc? Mandiamo i vigili al supermercato per sequestrare casse e casse d’acqua? E poi? Posti di blocco per monitorare il contrabbando dai i comuni limitrofi?

Quella di Bundanoon è un’iniziativa lodevole, che va però contestualizzata. In Australia la desertificazione dei territori suggerisce maggior attenzione alle risorse idriche. Non è affatto scontato che l’acqua pubblica sia gratuita, sicché promuoverne la disponibilità illimitata a cittadini e turisti è già di per sé una novità.

È facile fare demagogia, mentre è un po’ più difficile fare i conti con la realtà delle cose.

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Nel dossier Usa sette righe su Silvio

Per la serie… “come ci vedono gli altri”

 

Laggiù, a Washington, qualcuno non lo ama. Ricordate lo sfregio dell’anno scorso, quando le note consegnate ai giornalisti americani al G8 in Giappone traboccavano di accuse, malignità e veleni al punto da costringere la Casa Bianca a scusarsi? Bene: qualche cosa, al Silvio Berlusconi, è andata storta anche stavolta. Proprio nel giorno in cui incassava i sorrisi e l’abbraccio di Barack Obama, portato in maniche di camicia tra le macerie di questa città così bella e gentile, il malloppo di fogli dato ai giornalisti Usa per «infarinarli» intorno ai protagonisti del viaggio presidenziale rifilava al Cavaliere una nuova stilettata. Sette-righe-sette di micro biografia. Data e luogo di nascita, nazionalità, professione, ultima vittoria elettorale, data d’inizio del nuovo governo. Fine.

Uno sberleffo, in rapporto allo spazio dato a tutti gli altri. Certo, la massima sintesi a volte può essere un segnale di sobrietà. Basti ricordare come Eugenio Montale, coprendo automaticamente di ridicolo tanti suoi colleghi che descrivevano le proprie piccole faccende con sdiluvianti ricostruzioni di pagine e pagine quasi avessero da raccontare le gesta di Alessandro il Grande, riassunse se stesso sulla «Navicella» parlamentare: «Montale Eugenio. È nato a Genova il 12 ottobre 1906 e risiede a Milano. Dottore in lettere, giornalista, scrittore, poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1975». Questa asciuttezza ha un senso, però, se è scelta dal protagonista. Non se viene usata da una manina altrui per marcare maliziosamente un distacco. Per tentare di capirci qualcosa occorre appunto ripartire dall’anno scorso. Quando il «Press kit» preparato dall’ufficio stampa della Casa Bianca (con impresso in copertina il sigillo del presidente) a uso dei giornalisti americani al seguito di George Bush al G8 di Hokkaido, in Giappone, era piuttosto «inusuale» nel mondo ovattato dei vertici internazionali. Diceva infatti che il premier italiano «è uno dei leader più controversi nella storia di un Paese conosciuto per la corruzione e il vizio del suo governo». Lo liquidava come «un dilettante della politica che aveva conquistato la sua carica importante solo mediante l’uso della sua notevole influenza sui media nazionali», ricordava che era stato accusato di «corruzione, estorsione e altri abusi di potere che lo costrinsero a dimettersi nel 1994», rideva degli anni giovanili quando «aveva cominciato a fare soldi organizzando spettacoli di burattini a pagamento» e «faceva i compiti di scuola ai compagni di studi in cambio di denaro». Per non dire della iscrizione alla «sinistra loggia massonica P2 che aveva creato uno Stato dentro lo Stato». Parole pesanti. Soprattutto rispetto agli assai più moderati profili di certi presidenti africani al potere da decenni. Come il ritratto dedicato nel «Press kit» attuale all’uomo forte dell’Angola Josè Eduardo Dos Santos, di cui si racconta asetticamente che si è laureato in ingegneria petrolifera nell’Urss, che è diventato presidente dell’Angola dopo la morte di Agostino Neto nel 1979 (trent’anni fa: in un Paese martoriato dalla guerra civile…) e che è sposato con “lady Anna Paola dos Santos” che gli ha dato tre figli… Ma sproporzionate soprattutto rispetto a quello che era allora il capo della Casa Bianca, quel George W. Bush che aveva con l’«amico Silvio» un rapporto speciale. «I sentimenti espressi nella biografia non rappresentano il punto di vista del presidente, del governo americano o del popolo americano», si precipitò a scrivere Tony Fratto, il vice portavoce della Casa Bianca, riconoscendo che quel profilo usava «un linguaggio che insulta sia il premier Berlusconi che il popolo italiano».

E proseguiva: «Ci scusiamo con l’Italia e col premier Berlusconi per questo spiacevole errore». Il Cavaliere accettò le scuse: pietra sopra. Tutto poteva immaginare, quindi, tranne il nuovo sgarbo di ieri. Che è tutto nel confronto coi ritratti degli altri protagonisti e comprimari del viaggio di Barack Obama a l’Aquila, a Roma e in Ghana. Una pagina e mezza viene dedicata al presidente della Commissione dell’Unione africana Jean Ping, del quale si ricorda che si è laureato a Parigi in scienze economiche, che ha lavorato all’Unesco ed è stato ministro delle poste del Gabon. Due al presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. Due abbondanti al successore di Mandela alla guida del Sudafrica Jacob Zuma, quasi due e mezzo al turco Recep Tayyp Erdogan, due al brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tre al cinese Hu Jintao e all’egiziano Hosny Mubarak, compresa la lista delle medaglie, delle decorazioni militari e delle lauree ad honorem ricevute in giro per il mondo. Due al presidente del Ghana John Atta Mills, nel quale si specifica che è originario di Ekumfi Otuam, che si è diplomato alla scuola secondaria Achimota, che ha studiato a Stanford e pubblicato una dozzina di libri tra cui «L’esenzione dei dividendi dalla tassazione sul reddito: una valutazione critica». E Berlusconi? Come dicevamo: sette righe. Contro le tre pagine di Giorgio Napolitano. Con la precisazione, vagamente offensiva, che quelle poche note sono tratte da BBC News e da un’agenzia della Associated Press. Come se l’anonimo autore della schedina non si fidasse del sito Internet ufficiale di palazzo Chigi (dove l’epopea berlusconiana viene ripercorsa, diciamo così, record dopo record) neppure sulle date. Dirà forse il Cavaliere, facendo buon viso a cattivo gioco: sono così famoso da non avere bisogno di piccole biografie. Sarà. Ma anche il Papa è abbastanza noto. Eppure il «Press kit» ha ripreso integralmente quattro pagine biografiche del sito ufficiale vaticano: dalla madre cuoca alla tesi di laurea (“Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”), dalla fondazione della rivista di teologia “Communio” alla laurea ad honorem del College of St. Thomas in St. Paul in Minnesota…

(Gian Antonio Stella – Corriere della sera, 09 luglio 2009)

 

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La Cina vicina

“Pagano in contanti. Le Società Nere sono direttamente connesse a settori controllati dall’Esercito del Popolo, dai militari di Pechino. Là è un boom. La Cina emerge. Dispongono di una liquidità enorme. E non la investono all’interno. Sono abituati alla povertà. Per loro non è un fattore di destabilizzazione sociale: il contrario, usano la povertà di massa come strumento di controllo. E investono fuori. In contanti. C’è un traffico clandestino di dollari che esorbita ogni aspettativa. Trasportano contanti insieme ai clandestini. E comprano in contanti: appartamenti, stabili interi, esercizi commerciali. Da dieci anni va vanti così, non gliene frega niente a nessuno. Chi vende è contento: i cinesi arrivano ad offrire un terzo in più del valore reale dell’immobile. Arrivano in tre: il compratore, che solitamente è un prestanome; un avvocato; un terzo che non si capisce bene chi sia. Arrivano con le valigette piene di dollari o euro. Non sono soldi falsi – è che non sono dichiarati”.

(G. Genna – Non toccare la pelle del drago)

La notizia è la cessione del locale Latte & Rum ai cinesi. Stavolta è vero: con la fine del mese Gimo e Magri abbandonano il bancone ed il locale avrà padroni con gli occhi a mandorla.

Forse nulla dovrebbe sorpenderci: i China avranno esibito un pacco di soldi per un’attività nel pieno del suo splendore economico, e che tra qualche anno sarà probabilmente deprezzata. Insomma, probabilmente chiunque di fronte ad un’offerta esorbiante avrebbe ceduto.

Il punto è un altro. Volta in vendita, come Milano, come Roma. E io un po’ di paura inizio ad averla.

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