Archive for ottobre 2017

Un referendum superfluo

Sì o No è una scelta troppo secca per gli italiani. Aggiungiamo: sì però, no ma, vedremo, forse e ripeta la domanda
(Altan)

Notizia di oggi: l’Italia affronterà  la Svezia negli spareggi per Russia 2018. È evidente che l’accesso alla competizione dipende esclusivamente dal superamento di questa sfida. Potremmo chiedere agli italiani se vogliono che la nazionale partecipi ai Mondiali, ma la loro risposta sarebbe irrilevante, visto che ogni responso arriverà unicamente dall’esito degli spareggi.

Il referendum consultivo del 22 ottobre avrà più o meno lo stesso effetto della domanda agli italiani sulla volontà di andare in Russia. Il referendum non deciderà assolutamente nulla. Non porterà alla Lombardia alcuno statuto speciale, per il quale sarebbe necessario modificare la Costituzione. Probabilmente spingerà la Giunta Regionale, che tuttavia potrebbe già farlo in autonomia domattina, ad aprire un tavolo con lo Stato per  il decentramento di alcune competenze e delle conseguenti risorse. Quante e quali è impossibile saperlo, giacché nella migliore delle ipotesi saranno frutto di lunghe e complesse trattative. Ammesso poi che le prossime giunte regionali abbiano il medesimo obiettivo.

Il referendum consultivo è un istituto previsto per sondare il parere dei cittadini ed intraprendere le eventuali e coerenti azioni politiche conseguenti. Si chiede ai lombardi se vogliono che la loro Regione richieda allo Stato maggiore autonomia, tramite una procedura prevista dalla Costituzione. Ci mancherebbe. Nessun lombardo dotato di senno e di buona fede può opporsi a questo principio logico e sacrosanto. La Lega però dovrebbe spiegare perché cerca dagli elettori questo mandato. L’elezione stessa della Lega, partito autonomista per antonomasia, non è di per se già un mandato per perseguire maggiore autonomia? O si sta affermando che la maggioranza dei cittadini ha eletto la Lega, ma non vuole avere più autonomia da Roma? La risposta a queste domande retoriche non può che essere che il referendum è strumentale e propagandistico. Ne è la riprova che le stesse procedure per accrescere l’autonomia (terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione che prevede che le regioni con i bilanci in ordine possano chiedere di vedersi assegnate maggiori competenze rispetto a quelle previste) sono già state intraprese da altre regioni. L’Emilia Romagna ha già avviato lo stesso percorso, senza indire un referendum.

Non mi soffermo sui costi di questa inutile operazione di marketing, solo per non cadere nell’ordinario qualunquismo.

Nonostante le premesse, andrò a votare. Fondamentalmente perché sono d’accordo con il quesito, anche se trovo la consultazione perfettamente vana.

refe

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Il broglio elettorale

“Il problema con libere elezioni è che non si sa mai come andranno a finire”

(V.M. Molotov)

A quanto pare riusciranno ad approvare un’altra legge elettorale nefanda.

Ancora una volta una legge illogica, contradditoria, arrogante, truffaldina. Di nuovo una legge che nega le preferenze ai cittadini, che lascia ai partiti la scelta dei candidati eletti col proporzionale, che consente le candidature di una stessa persona in più collegi per “attirare” voti che andranno ad altri, che esclude le liste civetta dal Parlamento, ma le ammette nel computo dei voti di coalizione, che non permette il voto disgiunto, che contiene commi ad personam.

Potremmo continuare a lungo, addentrandoci nei dettagli tecnici della sua struttura e nelle storture ormai notate da chiunque.

Professori e costituzionalisti del calibro di Zagrebelsky, Carlassare, Villone, Pace e Calvano hanno sollevato nuovamente pesanti dubbi di incostituzionalità. I soliti gufi, si dirà, anche se finora c’hanno preso.

Intellettualmente è una legge insostenibile, perché è impossibile non accorgersi dell’evidente broglio per escludere il Movimento Cinque Stelle. Questa non è democrazia, è un’altra cosa.

E poi non sopporto l’ennesimo voto di fiducia per approvare le regole del gioco comune. L’ennesimo colpo di mano lanciato da chi ha sempre sostenuto il primato della condivisione delle regole collettive.

Matteo Renzi - FOTO DI REPERTORIO

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Sotto la banca la capra canta

Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera

(Totò)

A proposito del video della filiale Intesa San Paolo di Castiglione, divenuto ormai virale sui social, ho letto diverse opinioni di commentatori “ufficiali”. Blasonati blogger e giornalisti tuttologi sembrano concordare sulla crudeltà del sistema, che con grande facilità schernisce e mette alla gogna mediatica le persone socialmente più deboli ed indifese. Leoni da tastiera, protetti da un universo senza regole, subito pronti ad infierire con gli agnelli più deboli ed indifesi della catena dell’internet.

Non sono d’accordo. La trovo un’analisi superficiale, populista ed ipocrita. Balle da morale spiccia, che liquida i problemi senza cercare di capirli.

È vero, nella specifica vicenda una ripresa destinata ad un contest aziendale è finita fraudolentemente nell’universo senza confini di Facebook. Non c’è dubbio che il dipendente che l’ha criminalmente diffusa pagherà giustamente il conto più alto: nella migliore delle ipotesi rassegnerà spontaneamente le dimissioni o sarà trasferito in qualche magazzino della Barbagia. Però ci sono due aspetti fondamentali su cui è doveroso riflettere. Il primo riguarda il principio di responsabilità che coinvolge sempre chi intraprende scientemente con volontà un’azione. È il titolo stesso della registrazione a spiegarlo: “Ci metto la faccia”. Chi, seppur su invito altrui, decide di ideare e girare un video destinato ad una visione collettiva, ma non si rende conto dell’imbarazzante e comico livello di recitazione, ne paga le inevitabili conseguenze. Chi è causa del suo mal, pianga prima di tutto i propri limiti e le proprie inettitudini, non il pubblico ludibrio che ne scaturisce. Prendersela con chi ha canzonato il patetico video non ha senso. La società purtroppo attua una spietata selezione naturale, senza regali e senza carità. La squadra che decide di attuare la tattica del fuorigioco e non si rende conto di non saperla fare, prende gol per colpa sua. A poco serve lamentare la crudeltà della regola o la fortuna dell’avversario. Se mi chiedono di cucinare qualcosa ed io mi arrischio a preparare una Saint Honoré disgustosa, la colpa è unicamente mia perché ho azzardato oltre le mie capacità e al di fuori delle mie conoscenze. Non potrò accanirmi contro la qualità degli ingredienti o l’inadeguatezza degli attrezzi a disposizione.

La seconda riflessione va fatta sull’attuale mondo del lavoro, in particolare sull’intero settore dei servizi. Da molti anni ormai i dipendenti sono chiamati a compiti che esulano dai motivi, dalle capacità e dalle qualifiche per cui sono stati assunti. Impiegati forzati ad improbabili organizzazioni di team building, venditori vessati da classifiche e obbligati alla circonvenzione dei loro stessi familiari, bancari costretti a rifilare televisori e telefoni per salvare i conti della filiale. È una moderna forma di schiavismo sulla quale le istituzioni (politica, sindacati, organi di settore) e l’opinione pubblica dovrebbero meditare più a lungo, senza annacquare il brodo con inutili apostrofi contro il cyberbullismo dei social.

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