We are closing

L’illusione che i tempi passati erano migliori di quelli attuali ha probabilmente pervaso ogni epoca
(H. Greeley)

Da milanista, non spenderò molte parole su questo triste ed impietoso  closing. Analisi o proiezioni richiederebbero tempo prezioso, che sinceramente non meritano e che francamente non ho.

Posso dire che ho vissuto trent’anni di Milan intensi, quasi tutti ricchi di gradevoli soddisfazioni. L’era del Milan trionfale, di Berlusconi, di Sacchi, degli extraterrestri olandesi, dei difensori più forti del mondo, di Capello, di Ancelotti…  Un lungo ciclo iniziato nell’età in cui un bimbo s’appassiona al calcio. Un lungo ciclo di gioie e letizie che mi ha lasciato nell’età in cui un uomo pian piano si disinnamora del calcio. Davvero, meglio non poteva andare.

A cosa serve davvero una squadra del cuore, se non a ricordare con un sorriso le emozioni che ha suscitato da giovani?

Da tifoso, oggi non nutro particolari speranze, né ardo di frementi attese. I ricordi mi bastano. Tra qualche anno racconterò a mio figlio di Van Basten e Baresi, della generazione Maldini, degli album panini gelosamente custoditi, delle trasferte alle superiori per vedere la Coppa Campioni e dei derby visti con chi non c’è più. E sarà molto più bello parlare con lui di questo, che assistere all’avvento di nuove vittorie o alla nascita di nuovi campioni.

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Passaggio in India

Come può infatti un solo essere umano soffrire di tutta la tristezza in cui si imbatte sulla faccia della terra, della pena che affligge non soltanto gli uomini, ma gli animali e le piante, e forse le pietre?

L’anima si stanca subito, e nel timore di perdere quel poco che capisce, si ritrae verso i principi permanenti che l’abitudine o il caso hanno dettata, e là soffre

(E.M. Forster, Passaggio in India – cap. XXVI)

Rappresentare l’esperienza di un viaggio in India non è facile. Si parte carichi di aspettative, con l’illusione di ritornare grondanti di parole da scrivere e di esperienze da raccontare. Invece non è così, perché l’India lascia senza parole, svuota le anime e allo stesso tempo le riempie. È una cosa che non si può sintetizzare, connotare, imbrigliare in schemi fissi o frasi precotte. L’India è tutto e il contrario di tutto, e fatico davvero a rappresentare quel che ho visto, sentito, pensato. Diffidate dalle frasi fatte: io in India non ho ritrovato me stesso, anche perché non mi sono mai cercato. In India non ho recuperato lo spirito e nemmeno l’anima. Non ho lasciato là alcuna parte di me e non sono tornato diverso, rispetto a quando sono partito.

Però la trovo intimamente meravigliosa, per quel che sa trasmettere, infondere, suggerire.

Abbiamo visto e vissuto moltissimi momenti particolari ed esperienze uniche, che rimarranno giocoforza nel mio cuore.

Delhi, con i suoi sedici milioni di abitanti. Definirla “caos” è certamente riduttivo. Dapprima il suo minareto Qutb, la città vecchia, poi la Moschea del venerdì, il Forte Rosso, il mercato dei ladri e la tomba di Gandhi. Ma anche la Delhi Nuova, il quartiere britannico, il Parlamento, l’enorme tempio Sikh con i suoi meandri da percorrere rigorosamente scalzi, la mastodontica tomba di Humayun e il tempio di fior di loto.

La citta sacra di Varanasi, in barca sulle rive del Gange di fronte alla ritualità disarmante delle abluzioni e al toccante spettacolo delle cremazioni. Comunque la si pensi, la spiritualità di questa gente fa accapponare la pelle. Altro che messe di Natale e Pasqua. Girare tra i vicoli della città vecchia ed a bordo del risciò a pedali rimarrà una delle esperienze più scioccanti della mia vita. Nel bene e nel male.

Il complesso di templi di Khajuraho, con i celebri bassorilievi erotici, ed anche il piccolo villaggio rurale, il massaggio ayurvedico.

Orchha, con l’imponente palazzo dell’Imperatore ed il mercato locale. Gli occhi verdi di una fanciulla che potrebbe fare la modella e invece vende collanine dozzinali.

Agra, ovvero il Forte rosso, la tomba di Itimad, la città abbandonata di Fatehpur Sikri e soprattutto l’affascinate Taj Mahal. Luoghi mistici, solenni, ammalianti. Il pittoresco spettacolo teatrale con gli attori di Bollywood.

Jaipur, con la salita al bellissimo Forte Amber, a bordo di svogliati elefanti, ed il Palazzo Reale. Poi ancora in risciò per la città vecchia, il Palazzo dei Venti ed il bizzarro Tempio delle Scimmie.

Ovunque miseria e povertà, indici di un paese fortemente contradditorio che lancia satelliti su Marte e condanna i propri figli a morire nell’immondizia. Ringrazio Massimo che ha reso possibile questo strepitoso viaggio.

Voglio condensare questo passaggio in India con alcune foto, che ben rappresentano le emozioni viste, provate, meditate. L’India è molto altro, ovviamente.

Ad Orchha il bimbo di un mendicante ci chiede la coca cola che abbiamo in mano. È incredibile: gli regaliamo la bottiglia aperta e basta qualche goccio di seconda mano per donargli un magnifico sorriso. Una povertà assoluta e struggente, che fa sentire piccoli.IMG_20170323_235757

Nella fatata sacralità della Moschea del venerdì, questa donna posa per la foto del marito. Mi metto di lato e fotografo a mia volta di nascosto. Lei gira gli occhi verso di me, in uno sguardo che sussurra molte parole. È l’India dei fondamentalismi, delle contraddizioni e dell’imprevedibilità.IMG-20170319-WA0010

Ad Agra un anziano passeggia con un neonato, mendicando. Lo sguardo sofferente del vecchio, di fronte all’occhiata incredula e sprovveduta del piccolo. Passato e futuro, rassegnazione e curiosità.IMG_20170322_195318

A Delhi due bimbi si mettono in posa, vogliono essere fotografati. Non per soldi, ma per la semplice curiosità di vedere da vicino uno straniero tanto diverso da loro. Altri mi chiederanno di posare in foto con loro. La guida mi spiega che è il loro modo di “scambiare la cultura”, entrare gli uni nelle foto degli altri. Ed io, di fronte ad un pensiero tanto aperto, smarrisco ogni pregiudizio.IMG-20170319-WA0009

La sacralità del fiume Gange è tutta negli occhi di questi santoni. Misurati, tranquilli, sereni. Sembrano aver trovato il segreto della vita. Non hanno nulla, ma sembrano avere tutto.IMG_20170321_230053

Nel villaggio rurale vicino a Khajuraho, rubo uno scatto ad un gruppo di bambini. Il piccolo capobanda allerta i compagni del “pericolo”. Bambini già adulti che combattono contro vite durissime.IMG_20170322_200113

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Osteria tour 3

Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino

quattro pensionati mezzi avvelenati al tavolino.

Li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno

a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo”

(F. De André, La città vecchia)

 

La terza edizione dell’Osteria Tour ha ripagato abbondantemente le attese. Solitamente repetita stufant, ma in questo caso la serata è stata davvero magnifica. Come sempre, annoto qualche pensiero confuso a fianco di ogni tappa. Non nutro l’illusione di essere capito, ma i miei compagni di viaggio potranno soavemente ricordare l’epica serata con un sorriso di orgoglio. Per ogni stazione mi è venuta in mente una canzone. A volte per assonanza, a volte per sensazione emotiva, a volte senza un reale motivo apparente.

Le Petarine. Inizio lento e piacevole, tra prime chiacchiere e buoni propositi. Si spazia tra il Valpolicella Superiore “Armani” ed il Lugana dell’omonima cantina. Il più bello e tipico degli ambienti, turbinosamente indietro nel tempo. La città vecchia, Fabrizio De Andrè.petarine
Il gatto e la volpe.  Discesa vertiginosa verso due bottiglie di franciacorta “Vigna di confine”, ma siamo all’inizio… ci sta. Siamo a nostro agio, con ottimo pecorino sardo e marmellata ai fichi dello zio della Silvia. Nelle orecchie scivola piacevole la voce di Nada. Amore disperato, Nada.gatto

Il duomo. Stipati al banco, veloci come le lepri. Una corvina in purezza, apprezzabile. Qui riaffiorano i ricordi delle trasferte a Roma e financo l’oste appare simpatico. Vacanze romane, Matia Bazar.dom

Il carrarmato. Carmenere veronese, che l’oste annuncia con orgoglio e squilli di tromba. La fiducia è massima. Forse il vino più buono della serata. Poi il cantiniere, che ricorda vagamente nello sguardo il collega Angelone, ammorba gli astanti con un simposio sulla fenomenologia dei polifenoli. Angelo, Francesco Renga.carr

Monte Baldo. Sgranocchiamo un grissino con lo speck e l’origano, che a questo punto della marcia viene accolto come il miracolo dei pani e dei pesci. La celebre locandiera Arisa si fa schietta e confessa che col Nerello Firriato sabbia dell’Etna non sbagliamo di certo. Sincerità, Arisa.mont

Bugiardo. Sulla strada, rapidi come i ladri, ma ormai eleganti come gli opossum. Incrociamo persino colleghi a zonzo che non si capacitano del nostro entusiasmo. Sono bugiarda, Caterina Caselli.bugiardo

La Mandorla. Classico finale, scende il sipario. Qualcuno rispetta la tradizione del bicchierino di mandorla, qualcuno azzarda la birra della staffa, qualcun altro preferisce appendere il calice al chiodo. Non gioco più, Mina.mandorla

So che la serata è continuata oltre, peregrinando tra serrande abbassate e bar del centro. Instancabili. Buonanotte, fiorellini.

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Malta fina

Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato
(E.A. Poe)

Me l’aspettavo diversa. Nel mio immaginario Malta doveva essere solo un’appendice della Sicilia, con le contraddizioni proprie dell’isola italiana, a pochi chilometri di mare dalle tipicità del nostro sud.

In effetti è un po’ così. Ha un mare stupendo, ottimo pesce ed ospitalità sconfinata. Ma le similitudini con la Sicilia finiscono qui. A Malta ci sono ordine e pulizia, trasporti ben regolati ed efficienza espansa. Il retaggio della colonizzazione britannica è evidente. Domina l’ambiguità tra le fortificazioni impenetrabili del passato e l’architettura snella della modernità, fatta di vetrate e verticalità. Da qui sono passati tutti e ciascuno ha lasciato il segno: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Aragonesi, Cavalieri e Inglesi. La piccola Malta è stata sia anfiteatro mussulmano che baluardo del cristianesimo.

Abbiamo visitato l’isola a bordo dei bus turistici a due piani, un’intera giornata nel nord ed una nel sud. In assenza di un’auto propria, rimane uno dei modi migliori per vedere il meglio dell’isola in tempi ristretti. Oltre a La Valletta (bellissimo il giardino Upper Barrakka), tante spiagge, baie, siti paleo-neolitici, villaggi di pescatori e soprattutto la città vecchia di Medina, antica capitale di Malta.

Insomma, un luogo consigliabile: abbinandoci il mare, non si fatica a trascorrerci una settimana.

Per mangiare, l’ideale è muoversi nella zona di Paceville, che pullula di ristoranti. Due nomi tra mille: da Fresco’s sul lungomare di Sliema e Sciacca Grill proprio a Paceville.

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Buona forchetta – Al porto di Clusane

Il vino è la parte intellettuale del pranzo

(M. Renault)

La voglia di trascorrere qualche ora insieme, all’insegna della comune passione per la tavola, è stata l’occasione per raggiungere la Franciacorta. Territorio a me alieno, evocato nella mia memoria solo dalle etichette del vino, più che dalle peculiarità del paesaggio.

E giustappunto, su questo leitmotiv abbiamo dapprima visitato la cantina Castelveder, piccola tenuta a pochi chilometri dal lago d’Iseo, poi la meno romantica cantina Massussi.

Lieto finale in riva al lago, alla Trattoria del Porto di Clusane. Elegante ristorante proprio sul ciglio del piccolissimo porticciolo, non troppo formale… come piace a noi. Alle pareti stonano le reti da pesca appese, ma i muri facciavista in pietra, la mobilia antica e i soffitti bianchi restituiscono un quadro nel complesso raffinato. Il pesce di lago la fa da padrone, in tutte le sue variegate varianti.

Non ho pagato io, ma il voto è 7.5.

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Il coraggio di vivere

Talvolta ci vuole coraggio anche a vivere

(Seneca, Lettere a Lucilio)

Leggendo il libro Wondy di Francesca Del Rosso, mi è saltata agli occhi questa citazione di Seneca. La prima cosa che ho pensato è che al liceo c’avrei scritto sopra un poema. E come sempre, avrei anche preso un bel voto. Con lode alla profondità d’analisi ed alla pertinenza delle argomentazioni. Menare il can per l’aia era la mia specialità e ne vado fiero.

Mi è saltata agli occhi, dicevo, leggendo un libro prima del sonno. Ho perso metà della nottata a meditarci sopra e a capirne il significato. Alle 2.30 ero ancora fermo su “talvolta”. Però è impossibile fare come al liceo. È impossibile commentarla, scomporla, confutarla o contestualizzarla: troppo intima e soggettiva, troppo personale e riferibile alle vite di ciascuno.

Mi limito a dire che la trovo vera, potente, bella.

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Dilettanti allo sbaraglio

Dilettante: pubblica calamità che scambia il gusto con il talento e confonde la sua ambizione con le sue capacità effettive

(A.G. Bierce)

L’orizzonte estero di un soggetto politico, la sua weltanschauung internazionale, dovrebbe essere pressoché immutabile nel tempo. Uno dei pilastri fondamentali, granitici ed inossidabili, imposti dal “fare politica”, è rappresentato dalla chiarezza e soprattutto dalla certezza della visione in politica estera. Non lo richiede il bon ton delle istituzioni o dei rapporti internazionali, né il decalogo del perfetto politicante. Lo prescrive il buonsenso e lo conferma la storia. La politica estera di un soggetto rappresenta la sua identità: il modo di rapportarsi alle dinamiche internazionali individua i tratti distintivi di una partito, di un governo, di un movimento.

Quanto è accaduto nei giorni scorsi al Movimento Cinque Stelle sarebbe semplicemente paradossale, se non fosse indicativo di un vizio genetico molto più grave: la mancanza di un’identità precisa e profonda. Passare in ventiquattrore da euroscettici ad europeisti convinti non è esattamente un mutamento di visione politica. Significa sconfessare, rinnegare, abiurare il proprio genoma. Significa non averne uno.

Il programma dei liberali europeisti dell’Alde è agli antipodi di quello antieuropeista di Grillo. Nell’Alde ci sta Mario Monti, per capirsi. E su questa scelta, demandata irresponsabilmente e superficialmente alla rete, non ci sono giustificazioni di opportunità politica che reggano. “Dilettanti allo sbaraglio”, potremmo speditamente sentenziare. Ma il dramma è ben più grave. Che affidabilità può avere un movimento che non sa dire se crede o non crede nell’Europa, che chiede agli iscritti se bisogna stare da una parte o dall’altra della barricata fondamentale? Ve lo dico io: nessuna.

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Giano bifronte

La struttura profonda della mia personalità è sempre bicefala: sono bicefalo e doppio

(S. Dalì)

Si sa. Il mese di gennaio eredita il nome dalla divinità romana Giano.

Giano, dio bifronte, è sempre raffigurato con la doppia testa. Le sue statue venivano poste in prossimità di porte e ponti, poiché rappresentava l’entrata e l’uscita, il passaggio da una parte all’altra. Vigilava sugli ingressi e contemporaneamente sulle uscite, custodiva i passaggi dentro e fuori. Custode della transizione.

Non a caso Giano è collocato nel mese di gennaio. Perché, come in un ponte, guarda da entrambe le parti del guado. Gennaio, un varco obbligato tra passato e futuro. Guardando con fiducia al futuro che avanza, ma anche con memoria al passato che scorre.

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Ferrata Marangoni

La solitudine significa pensieri seri, densi di contenuto,
significa contemplazione, calma, saggezza
(M. Bulgakov, Morfina)

Quando sono in montagna ritrovo la pace dell’anima. Qui i pensieri e le ansie quotidiane si dissolvono e, nel silenzio dell’altezza, lo spirito pare ristorarsi. Per questo ho deciso ancora una volta di percorrere una ferrata da solo: perché é bello farlo e perché è giusto stare un po’ da soli con se stessi.

Giornata fantastica, che d’invernale ha avuto molto poco. Il 28 dicembre sul Monte Albano c’erano quasi venti gradi. La ferrata Marangoni è stata riaperta qualche anno fa, dopo un profondo restyling. Nonostante le troppe staffe, il percorso rimane abbastanza impegnativo, a causa della continua esposizione che obbliga ad usare molto le braccia. Inoltre la frequente percorrenza rende ogni appiglio liso, unto e poco servibile. Il risultato é una ferrata molto panoramica, tecnicamente nella media, intensa e piacevole. In un’ora e un quarto si salgono i 200 metri della parete a picco su Mori.

Mentre la percorrevo mi è balenata un’idea: quella di percorrerla in notturna, con pile e luna piena. Ovviamente, stavolta, in compagnia.

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Paludellum

Non preoccuparti, non scomparirò nella palude

(dal film The Danish girl)

Proprio non capisco lo stupore di fronte all’ordinario maturare degli eventi, la meraviglia davanti allo sviluppo naturale delle cose, all’ovvio rapporto che intercorre tra causa ed effetto. Urlare al golpe fa parte dell’indole miserabile di chi necessita sempre di un colpevole, ma stupirsi davanti al neonato governo Gentiloni mi pare eccessivo. Non entusiasma e forse non piace a nessuno, ma all’indomani dello schiacciante esito negativo del referendum, che cosa si aspettavano gli innovatori e rottamatori del sistema? Un generale sudamericano che con la divisa arringasse le folle? Un manipolo di proviri del traffico che legiferasse in nome del popolo? L’annessione alla Norvegia? Abbiamo rifiutato di riformare la Costituzione, ma pretendiamo, all’indomani, che quella stessa Costituzione non venga applicata. Si fa presto a dire: “andiamo a votare subito”.

Attualmente è in vigore l’Italicum (per lo più maggioritario), ma solo alla Camera e non al Senato. Questo perché nei disegni utopistici di Renzi il Senato si sarebbe dovuto dissolvere il 5 dicembre. Per il Senato è in vigore il Consultellum (per lo più proporzionale), ovvero un’evoluzione del Porcellum scaturita da sentenze della Corte Costituzionale. Italicum e Consultellum sono fondati su principi opposti. Più semplice chiedere stabilità governativa al mago Othelma, che all’esito elettorale di questi due sistemi in combinata. C’è di più: l’Italicum è al vaglio della Corte Costituzionale, per l’ipotesi d’incostituzionalità. Va bene, si dirà, usiamo il Mattarellum. Peccato che non sia più in vigore dal 2005 e che per tirarlo fuori dall’armadio occorra rispolverarlo, magari aggiungendo un premio di maggioranza, e soprattutto approvarlo in Parlamento. Già in Parlamento… ma se vogliamo sciogliere le camere e andare a votare subito?

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