A PARER MIO – La banda del buco
Posted by Giullare in Cose di paese on 29 settembre 2013
Da qualche mese sulle strade comunali sono apparse numerose voragini. Squarci senza fondo nell’asfalto, più appropriati alle piste da motocross che alla viabilità urbana. Mentre le utilitarie fanno gli slalom, i suv non se ne curano affatto e ci finiscono dentro apposta, allargando ulteriormente il perimetro dei crateri. Cicli e motocicli si affidano più semplicemente all’intercessione dei santi protettori… è quel che chiamano “prendere una cattiva strada”.
Gli esperti dicono che sia colpa del lungo inverno, delle frequenti piogge, del gelo e dei mezzi pesanti. Ma spiegare così le strade dissestate, sarebbe troppo facile. Se attribuissimo la responsabilità dei buchi nell’asfalto unicamente agli eventi atmosferici dei mesi scorsi, rischieremmo di sottovalutare il problema, relegando la questione in cavalleria. La genesi dei percorsi ad ostacoli risiede certo nell’inclemenza del meteo, ma qualche attenzione amministrativa in più avrebbe potuto alleviare il fastidioso disservizio. Se c’è una qualche “banda del buco”, che raggruppa tutte le cause all’origine dei lunghi disagi, essa deve comprendere sia il maltempo che il malcostume. Il malcostume istituzionale di rimandare le decisioni, di “mettere la toppa” (è il caso di dirlo), di girare attorno al problema, o meglio… attorno al buco. Complici ovviamente le difficoltà del bilancio, anch’esso sempre più bucato, ed i frequenti tagli alle risorse comunali. Tagli che ormai risultano determinanti anche per il mantenimento delle strade e dell’incolumità pubblica.
Da qualche settimana si è fortunatamente deciso d’intervenire, turando perlomeno i crepacci più grandi e rappezzando le buche più insidiose. Laddove conviene tappare, si tappa, in altre circostanze è previsto un intervento più strutturale, con asfaltatura quasi totale della carreggiata. È il caso, ad esempio, di viale Marconi, direttrice fondamentale della viabilità voltese, il cui manto stradale risulta da tempo compromesso.
Soldi, soldi e ancora soldi. La manutenzione delle strade, ordinaria e straordinaria che sia, costa e richiede continuamente denari alle risicate casse comunali.
Oltre al rimedio, però, si dovrebbe pensare anche alla prevenzione. Se è vero che rammendare il buco semplicemente con ago e filo è diventata un’abitudine costosa e spesso inefficace, è altrettanto vero che molte toppe si potrebbero evitare, semplicemente confezionando un abito di qualità e non liso già in partenza. Un esempio per tutti: piazza XX° Settembre, zona centralissima e congestionata dal traffico, che è stata lastricata di porfido qualche anno fa. Richiede perennemente interventi di manutenzione, evidentemente a causa della qualità del materiale posato e del traffico pesante che vi passa sopra (furgoni, pullman, camion). Solo nel biennio 2011-2012 la manutenzione delle buche sul tratto lastricato è costata 35.000 euro, ma lungi dall’aver risolto il problema, nuovi buchi continuano ad affiorare. Un buco che si morde la coda. Non valeva la pena prevedere materiali diversi, oppure la doppia scanalatura per gli pneumatici? Oppure la modifica almeno parziale della viabilità, che limitasse in qualche modo il transito dei veicoli più pesanti?
La lungimiranza delle scelte amministrative spesso mal si sposa con le necessità del momento. E così la banda del buco aumenta i propri adepti e oggi non rimane altro.. che metterci una toppa.
(Editoriale pubblicato su Voltapagina n.47)
Il dolore
Posted by Giullare in Cose di paese on 26 settembre 2013
Sette anni fa se ne andava il Lele. Questa poesia fotografa alla perfezione il dolore di quei giorni.
Il dolore è un postino grigio, silenzioso,
col viso asciutto, gli occhi d’un azzurro chiaro,
dalle sue spalle fragili pende
la borsa, il vestito è scuro e consumato.
Nel suo petto batte un orologio
da pochi soldi; timidamente sguscia
di strada in strada, si stringe
ai muri delle case, sparisce in un portone.
Poi bussa. Ed ha una lettera per te.
(A. Joszef, poeta ungherese)
L’esercito di terracotta
(M. Mari, in un recente commento su Facebook)
Ieri a Mantova c’era il banchetto di Forza Italia. Raccoglieva adesioni per il recente, si fare per dire, progetto politico del Cavaliere. La stessa bandiera di vent’anni fa, le stesse facce di vent’anni fa. Tre pensionati con le giacche lise e lo sguardo sognante e fiero parlavano con altrettante signorotte imbellettate e mal liftate. Dovrebbero essere il nuovo che avanza, ma hanno il volto della polvere e della naftalina. Come quelle statue di terracotta, ritrovate consunte nella tomba dell’imperatore Qin Shi Huang.
Guardare quel banchetto, in mezzo al via vai di gente, era come osservare una di quelle foto col doppio effetto della messa a fuoco: al centro un soggetto immobile, attorno un turbinio di persone mosse e sfuocate, travolte dal moto perpetuo della vita che nonostante tutto va avanti.
Per un attimo ho pensato di chiedere loro qualcosa, senza polemica né ironia, per capire come potessero rifare esattamente gli stessi identici gesti del ’94. Poi mi è venuta in mente la frase di Michele Mari e sono andato oltre, facendo finta di niente.
Risposta urbana
Posted by Giullare in Cose di paese on 18 settembre 2013
(J. Bronowski, The Ascent of Man)
Finalmente il mio amico Menabeni ha risposto alle critiche mosse dalla Minoranza sulla manutenzione urbana. La replica, apparsa sulla Gazzetta, merita di essere letta.
La maggioranza replica all’opposizione anche aveva sollevato il caso delle scarse manutenzioni al decoro urbano, fra cui anche lo spegnimento delle fontane pubbliche per risparmiare.
«La crisi economica ricade chiaramente anche sul bilancio comunale – spiega il capogruppo Alessandro Menabeni – e questo il consigliere Beggi dovrebbe saperlo bene visto la sua lunga esperienza come amministratore. Un crollo dell’edilizia,quindi pochi oneri di urbanizzazione, un netto taglio ai trasferimenti da parte dello Stato, in aggiunta minor entrate da parte di attività in netta difficoltà e la spese sociale in aumento, ha portato l’amministrazione a non rispettare il patto di stabilità ad ottimizzare i servizi senza però trascurare nulla».
«Qual è il problema se l’amministrazione risparmia e garantisce il servizio? – prosegue il consigliere – . Per quanto riguarda il verde sportivo, grazie ad una convenzione con la società di calcio siamo passati da una spesa di circa 90 ad una di 39mila senza variare il numero degli interventi. Forse fa più scalpore sapere che fu la precedente amministrazione a sottoscrivere il contratto più oneroso. Stesso discorso vale per gli altri impianti sportivi».
«Per quanto riguarda il servizio di accompagnamento scolastico anche qui non vedo dove possa nascere la critica se non per mera propaganda politica – attacca il consigliere –. Anche qui si è risparmiato senza ledere il servizio utilizzando un dipendente comunale solo per la prima settimana di scuola visto che l’orario era ridotto».
Caso fontane. «In 7 anni – spiega Menabeni – sono costate circa 46mila euro solo di manutenzione: capisco che siamo un paese turistico, ma in questi tempi penso sia più corretto dare una mano ai nostri cittadini a pagare bollette e affitti che pensare a quello che dicono i turisti. Se la precedente amministrazione fosse stata più accorta senza aver fatto opere che richiedono annualmente spese ingenti di manutenzione ordinaria e straordinaria, magari ora non ci troveremmo con le strade a pois, con la piazza piena di buchi e con le nuove lottizzazioni incolte!»
Infine sulle spese legali. «Purtroppo sono necessarie per difenderci dagli attacchi di chi non ti vuol far lavorare con continuità, cercando in ogni modo di opporsi invece di aiutare a costruire qualcosa insieme – conclude il capogruppo – . Lo stesso vale per le spese di progettazione che inevitabilmente servono per poter partecipare a bandi di finanziamento per la realizzazione di opere pubbliche, come per esempio il progetto del nuovo impianto sportivo costato solamente duemila euro a fronte di un costo dell’ opera di circa 980mila che se avremmo la fortuna di vincere sarà finanziato per il 65% dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la realizzazione di una tanto attesa tensostruttura polifunzionale da utilizzare sia per le scuole che per le associazioni sportive e un manto sintetico di ultima generazione sul campo da calcio per ridurre i costi di manutenzione e poter usufruire al massimo la struttura. Anche qui forse il consigliere non ricorda il costo di progettazione preliminare del centro sportivo per anni promesso dalla sua amministrazione, io sì me lo ricordo: buttati via 51748 euro; o forse le spese di consulenza per lo sportello unico dal 2002 al 2005 circa 69mila euro con già 7 dipendenti e 1 responsabile. Concludo augurandomi che visto l’avvicinarsi delle elezioni non si continui a fare questo tipo di campagna elettorale solamente denigratoria nei nostri confronti perché penso che i cittadini siano ormai stufi di questi inutili litigi e scaramucce e vogliano solo avere chiarezza e serietà».
(dalla Gazzetta di Mantova del 13 settembre 2013)
Fontana esanime
Posted by Giullare in Cose di paese on 12 settembre 2013
(J. Fontana, Che sarà)
Ieri è morto Jimmy Fontana. Sua sorella, la Fontana di Volta, è passata a miglior vita nell’inverno scorso, quando le hanno chiuso i rubinetti.
Così il Comune risparmia (1500 euro all’anno, dice Beggi sulla Gazzetta di ieri) e, cosa ancor peggiore, il ristorante Miramonti, che da tempo l’aveva annessa al suo sconfinato dominio, dovrà rinunciare ad usarla come vasca per le aragoste.
“Che sarà?”… cantava malinconicamente il buon Jimmy.
Il succo del ricorso
(M. De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)
Nella settimana in cui accadono vicende epocali, il dibattito italiano si cristallizza sulla decadenza di un pregiudicato dal ruolo di senatore e sul suo ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Dibattito che riguarda solo la possibilità, o meno, di anticipare di qualche settimana l’esclusione di Berlusconi dal Senato, visto che il 19 ottobre la Corte d’Appello definirà l’entità della sua interdizione dai pubblici uffici. Il succo è che su questo vitale argomento di principio, rischiamo addirittura la caduta del Governo.
Eppure questa settimana di argomenti più interessanti ce ne sono eccome. L’ha detto anche la televisione:
– la Siria ammette di aver usato armi chimiche;
– in Norvegia va al governo il partito di Breivik, carnefice della strage di Utoya;
– il Papa afferma che gli alberghi religiosi devono offrire ospitalità ai rifugiati, non ai turisti a scopo di lucro;
– negli Stati Uniti i cavalli clonati devono essere ammessi alle corse.
Facezie? Non direi. Si potrebbero aprire discussioni infinite: spazio d’approfondimento, disputa, confronto e contradditorio ce n’è a iosa. Per favore, dunque, parliamo d’altro.
Giovedì: Gnocchi
(G. Gnocchi a La Domenica Sportiva)
Eu-genio, di nome e di fatto, e un anonimo giovedì di settembre. Una ricetta perfetta.
Quest’anno il Festivaletteratura ha ospitato anche Gene Gnocchi, ma i biglietti sono stati presto esauriti. Non sono riuscito ad arrivare neppure in corso d’evento, in modo da fruire della consolidata consuetudine di accedere gratis all’ultimo quarto d’ora degli appuntamenti.
Il pranzo dalla suocera (per la cronaca: linguine allo scoglio, pesce spada, torta cioccolato e pere, soave ghiacciato, caffettiello) mi ha concesso di raggiungere palazzo San Sebastiano solo ad evento già concluso, giusto in tempo per l’ultima domanda rivolta a Gene dal pubblico. “Il Milan ha qualche possibilità di vincere lo scudetto quest’anno?” gli chiede uno spettatore. “Sì, certo. Ma tutto dipende da quale giocatore dovrà andare in prigione al posto di Berlusconi”. Geniale, appunto.
XXXI° Consiglio (29 agosto 2013)
Consiglio comunale convocato d’urgenza per ratificare le dimissioni della Maria Chiara Morandini, che dopo tre anni di assenza ha deciso di abbandonare il Consiglio.
Dimissioni tardive, che mostrano anche quanto sia assurdo convocare un consiglio ad hoc per procedere alla sua sostituzione, proprio in virtù del fatto che da circa tre anni la sua assenza è ben nota. Ma è uno dei tanti nonsense della legge italiana che nel testo unico 267/2000, recita: “Le dimissioni dalla carica di consigliere… devono essere assunte immediatamente al protocollo dell’ente… Il consiglio, entro e non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari”. Al suo posto entra Elena Frigerio.
Buona Forchetta – Carlo Govi
Posted by Giullare in Buona Forchetta on 28 agosto 2013
Ristorante elegante nel quartiere residenziale di Valletta Paiolo. L’ambiente appare subito raffinato e straordinariamente tranquillo. Tantissime foto in bianco e nero appese al muro, che ritraggono i personaggi famosi negli anni ‘70 e ’80 e che danno al locale un tocco snob che ci sta benissimo.
Le intenzioni del proprietario recitano “la cucina mantovana è conosciuta come la cucina dei prìncipi e del popolo, in cui i piatti tipicamente popolari sono stati influenzati dalla raffinatezza dell’arte culinaria dei cuochi di corte Gonzaga”. Ed il menù recepisce esattamente queste indicazioni. Piatti curatissimi e alquanto intriganti. Scorrendo il menù (con diversi ingredienti presidio Slow Food) vien voglia d’assaggiare tutto. Maccheroncini di basilico con lardo di Colonnata, porri stufati e pecorino, oppure petto d’anatra con salsa al Porto e miele d’acacia, solo per dirne due. Carta dei vini intelligente. Sicuramente tra i primi tre ristoranti della città.
Primo, secondo, acqua, vino, dolce e caffè: 35-40€.
Voto: 7/8
Ristorante Carlo Govi – Viale Gorizia, 13, (MN)
L’”importante”… è partecipare
Prima giornata di Serie A, buon campionato a tutti. Un caro amico mi ha segnalato un bellissimo articolo di Tommasi Pellizzari, dal titolo Frasi fatte, retorica inutile, parole tuttofare. Al via anche il campionato del bla bla bla, apparso sul Corriere del 22 agosto. Fotografa alla perfezione il connubio tra il mondo dello sport e la lingua italiana.
Supercoppa italiana e preliminari di Champions League ci hanno dato la prima rinfrescata. E adesso torna il campionato a completare il ripasso del vocabolario parallelo delle nostre giornate (e serate) di spettatori: quello del calcio parlato. Un vocabolario limitatissimo, spesso surreale e per questo irrinunciabile che ha una precisa e semplicissima modalità di creazione e trasmissione.
IN PRINCIPIO – Tutto comincia con un giornalista che utilizza una determinata parola o un determinato modo di dire, spesso nella convinzione di essere forbito ed elegante. Il calciatore e l’allenatore, in genere (e quasi mai per colpa) sono cresciuti senza mai potere studiare troppo (a differenza, in teoria, dei giornalisti) e quindi senza poter cogliere l’assurdità quando non l’inappropriatezza di un determinato termine. E così lo ripetono a loro volta nelle interviste (o nelle telecronache, per i calciatori che hanno la fortuna di diventare seconde voci), autorizzando gli utilizzatori iniziali e quelli successivi a convincersi che quel modo di esprimersi sia corretto, efficace e pure raffinato. Il risultato finale, di cui si fatica a rendersi conto per la decennale abitudine delle nostre orecchie, è una lingua di assurdità omerica, cioè con un linguaggio formulare tutto suo, fondamentalmente riassumibile in due modalità principali.
DUE GRUPPI – Da un lato l’utilizzo continuo di parole ormai sparite dal linguaggio di tutti i giorni. Se ci esprimessimo così in famiglia o sul lavoro – giornalisti sportivi a parte – chi ci ascolta ci chiederebbe se ci ha dato di volta il cervello. Dall’altro lato, trionfano termini e locuzioni che avrebbero un preciso significato e che, invece, da un momento all’altro vengono usati in modo inspiegabilmente errato. Nonostante questo, l’uso improprio di questi termini viene accolto con una sorta di entusiasmo e replicato all’infinito.
NEORETORICI – Il primo gruppo, piuttosto numeroso e noto come quello dei neoretorici, è popolato da utilizzatori massicci di parole il cui impiego persiste ormai solo nel calcio. Ne fa parte per esempio il rammarico. Termine usato sempre, senza alcuna eccezione, al posto di dispiacere. Chi di noi tornerebbe a casa la sera dalla moglie (o dal marito) dicendosi «rammaricato» per il mancato aumento di stipendio? Chi spiegherebbe che «resta il rammarico» per un viaggio rimandato all’ultimo momento o per un arrosto riuscito male? Eppure, calciatori e allenatori non sono mai dispiaciuti, solo rammaricati. Quando si è dispiaciuti ci si lamenta. Che cosa si fa, invece, quando si è rammaricati? Facile: si recrimina. Per un rigore non dato, per qualsiasi decisione arbitrale subìta, per un infortunio. Ma con una raccomandazione, meglio ancora se un’esortazione: che la cosa per cui si recrimina «non sia un alibi». Non una scusa o una giustificazione, sempre un alibi. Anche perché il rischio è che poi i giocatori si facciamo influenzare, e alla gara successiva che cosa potrebbe succedere? Che qualcuno di loro sia evanescente. Anche qui: quante volte vi è capitato di definire così un vostro collega pigro o che tende a imboscarsi quando il lavoro si intensifica? Quando mai vi è venuto in mente di dire che il ragazzo o la ragazza che state corteggiando (e che tende a sfuggirvi) è appunto evanescente? Ma pazienza, l’importante è che al momento di stringere non vi presentiate con atteggiamento rinunciatario. Meglio, molto meglio, essere sempre manovrieri, termine con cui nessuno definirebbe mai un imprenditore particolarmente creativo (o anche semplicemente una squadra di pallacanestro…). Se poi si riesce a dimostrarsi addirittura volitivi, si rischia addirittura di finire sugli scudi… Può sembrare un’operazione molto snob scrivere di tutto questo, ma non è il caso di farne una questione di blasone, favoloso termine – insieme all’aggettivo «blasonato» che ne deriva – indefettibilmente utilizzato per indicare una squadra di grandi tradizioni vittoriose (ma non un giornale, un marchio industriale, ormai nemmeno più i casati nobiliari…).
NEODISTORSORI – Nessuno snobismo, per carità. Al massimo l’intenzione di far partire una piccola riflessione su come (diavolo) parliamo quando parliamo di calcio, sperando che – direbbero i nostri eroi – questo articolo sia un buon viatico per il dibattito, così come una vittoria lo è per il prosieguo del cammino in campionato o un buon primo tempo lo è per un successo finale. E così, un passo dopo l’altro, eccoci arrivati al secondo gruppo di parlanti (i neodistorsori), che usano ripetutamente parole che avrebbero un determinato significato ma che invece hanno finito per diventare dei passepartout per situazioni che nulla avrebbero a che vedere con il loro utilizzo originario. Negli ultimi tempi la regina di queste parole è «importante». Una volta c’era un giocatore importante, una partita, al limite una squadra. Ora è importante quasi tutto: una situazione di gioco, come per esempio una punizione importante; un’occasione da gol importante; un momento della partita importante; un ruolo in campo importante. Ma anche il ritmo: «Abbiamo dato un ritmo importante alla partita», ha di recente spiegato un portiere di serie A. Meglio di lui ha fatto un medico sportivo, l’anno scorso, intervistato sulle trasferte invernali di Milan e Inter in Russia e Azerbaigian: «Sono viaggi importanti», disse per rendere l’idea del rischio-infortuni.
TUTTOFARE – E poi c’è il «dove», l’avverbio di luogo che (probabilmente per necessità di sintesi) ormai accoglie dentro di sé ogni possibile costruzione di frase. Secondo gli storici della materia, l’inventore della formula è un ex campione del mondo del 1982 che, raccontando come gli capitava di passare il suo tempo libero, parlò di «un gruppo di amici dove usciamo spesso a cena». L’involontario anacoluto ha fatto parecchio scuola, come dimostrano tre fra gli infiniti esempi forniti solo dalla scorsa stagione: da «Si crea un 3 contro 2 dove non lo stanno gestendo molto bene» sentito in una telecronaca a «Io penso al settore giovanile, dove avevate detto che puntavate su una squadra giovane e poi l’avete costruita per vincere subito» di un’intervista a un allenatore nel dopopartita. Per chiudere con un altro allenatore, che così ha spiegato una sconfitta: «Oggi è una giornata dove potevamo avere i denti, a un certo punto son caduti e abbiamo azzannato il pane». O forse è di una vittoria che stava parlando. Ma forse.