L’eroe che vuota le sacche


Ivan Basso è il primo ciclista ad ammettere di aver predisposto una frode in preparazione di una gara sportiva, il Tour de France nella fattispecie. Non ricordo nessun ciclista reo confesso per doping, o almeno nessuno che abbia ammesso di essersi “pompato”, prima di una sentenza di squalifica. I ciclisti, e gli sportivi in genere, di fronte alle accuse sono un po’ come i politici nostrani: tutti innocenti e vittime sacrificali di complotti diabolici.
Ivan Basso no. Ha deciso di vuotare il sacco, ammettendo di essere in procinto di “ripulirsi” il sangue in vista della più prestigiosa tra le corse a tappe. L’ammissione di colpa ha fatto notizia, più per la sua eccezionalità che per la gravità della colpa in sé. È accaduto quindi che i rotocalchi e le copertine dei tg abbiano dipinto il ciclista truffaldino come l’eroe da venerare. Non un colpevole tra tanti, ma il pioniere della nuova era. Il coraggioso artefice del mea culpa, traghettatore impavido verso un ciclismo nuovo: “non trattelo come Pantani”.
Non vorrei che si incappasse ancora una volta nell’errore di confondere i truffatori con i truffati. Non so quale sia stata la causa scatenante della confessione: rimorso di coscienza, o convenienza di fronte a fatti evidenti, cambia poco. È apprezzabile l’ammissione di Basso, che da buon ciclista si è affrettato a dire che non si è mai dopato (la sua era solo un’intenzione), ma non dimentichiamoci che rimane pur sempre dalla parte del torto. Riconosciamo la bontà della sua iniziativa e consideriamolo un punto di partenza, ma non facciamone un martire senza macchia.

  1. #1 by Erica at 10 maggio 2007

    Io sono tifosissima di Ivan Basso. Mi piace come sportivo e soprattutto mi piace come persona. Non che abbia mai avuto l’onore e il piacere di conoscerlo personalmente, ma di lui so molte cose, di tanto in tanto mi collego al suo sito, leggo e ascolto le sue interviste, ho visto decine e decine di foto sue e alcune dei suoi bimbi, seguo le sue gare, l’anno scorso ho visto per televisione quasi tutte le tappe del Giro d’Italia ed ad una, alla sedicesima quella del monte Bondone, sulla salita che conosco bene perché c’ho gareggiato anch’io, ho avuto l’immenso piacere di incitarlo standogli a pochi centimetri. Sono proprio quella che si dice una fan.

    Mi è stato chiesto, da persone che sanno di questa mia simpatia, cosa pensi della vicenda di Basso coinvolto nel doping.
    L’anno scorso quando Basso venne squalificato dal Tour de France e dalla sua squadra, la CSC, per presunto coinvolgimento nell’operazione spagnola Puerto, mi arrabbiai perché non sembravano esserci prove a carico del vincitore del Giro d’Italia e la squalifica arrivava poco prima dell’inizio della gara a tappe più importante dove Basso avrebbe sicuramente fatto un buon risultato tentando addirittura di arrivare ad indossare la maglia gialla. Mi sembrava una squalifica ingiusta in quanto il campione varesino non è mai stato trovato positivo a nessun esame anti-doping. Mi sembrava una squalifica prematura visto che si basava solo sul ritrovamento neanche del suo nome ma di quello del suo cane sulla lista degli sportivi, non solo ciclisti, in possesso al medico spagnolo Fuentes, quest’ultimo al centro delle indagini per pratiche mediche illecite.
    Ora che Basso ha confessato il suo effettivo coinvolgimento in tutto ciò rimango da un lato stupita da un lato sollevata. Stupita perché lo credevo veramente innocente, lo credevo veramente estraneo ai fatti in questione. Sollevata perché so che la sua confessione è il modo più onesto per ripartire, per dimostrare di essere il campione che tutti conoscono. Sollevata perché le sue vittorie, i suoi risultati sono puliti in quanto lui non ha mai fatto ricorso ad alcun tipo di doping, di fatto è accusato di tentativo di autoemotrasfusione. Sono sollevata perché così facendo pone fine ad un anno di sofferenza, ad un anno di grandissimo travaglio umano, così l’ha definito lui stesso.

    Non è certo un eroe, ammette le sue responsabilità ed è pronto a scontare la pena senza chiedere alcuno sconto.

    Mi chiedo anche come possa un professionista serio, una persona di grandi principi morali, uno sportivo che domina fin da bambino nel suo sport, come possa cadere nella trappola del doping.
    Mi chiedo come possa ingannare prima di tutto se stesso, gli altri, i tifosi e mettere a rischio la propria salute.
    Non è forse perché da questi atleti pretendiamo troppo? E non parlo solo dei ciclisti ma di tutti gli sportivi ad alto livello. Affinché sia garantito lo spettacolo, affinché sia assicurato l’interesse della gente in modo che ci sia un giro d’affari, di soldi sempre più alto, gli atleti vengono sottoposti a prove sempre più dure, a competizioni esasperate al massimo dove chi vince vince per pochi centesimi di secondo e chi perde perde per pochi centesimi di secondo con la differenza che il primo è il campione e tutti gli altri non sono nessuno. E’ così nello sci, nella Formula Uno, nel moto GP… Una partita di calcio è prima di tutto uno scontro fisico. Il calcio di oggi non ha nulla a che vedere con il calcio di qualche decennio fa.
    Perché sia assicurato l’interesse del pubblico bisogna abbattere il record, bisogna assistere seduti comodamente sul divano di casa al Giro d’Italia più duro mai realizzato, e così via.
    Pretendiamo che questi atleti siano delle macchine, e come tali non devono accusare fatica e dolore, ma devono rendere sempre di più. E allora si costruiscono biciclette sempre più leggere, sempre più specializzate, quella per la salita, quella per la discesa, quella per il percorso ondulato, biciclette sempre più efficienti. Si realizza l’abbigliamento più confortevole, quello che permette una migliore traspirazione del sudore. Si ricorre alla tecnologia con cardiofrequenzimetri, computer, ricetrasmittenti… E tante altre cose ancora, ma alla fine chi pedala, chi corre, chi nuota, chi scia, è un uomo.

  2. #2 by admin at 11 maggio 2007

    Mi piace molto il ciclismo, ma non sono tifoso di nessun ciclista in particolare. Forse per questo mi sovviene il più qualunquista dei commenti (non volermene): penso che siano tutti dopati, dal primo all’ultimo. Non è umanamente possibile percorrere per due-tre settimane 200 km tutti i giorni, a medie esorbitanti sotto il sole delle estati mediterranee. E’ vero, esistono i complotti ed esistono per far fuori atleti “scomodi”. Ma fondamentalmente credo che nessuno possa in coscienza dichiararsi completamente innocente.

  3. #3 by Erica at 12 maggio 2007

    Non sono un’ingenua, né voglio passare per tale.
    So benissimo che tutti i ciclisti professionisti vengano aiutati con integratori alimentari e farmaci al limite della legalità. Ma chi va oltre tali limiti viene automaticamente squalificato dalla propria squadra e allontanato dalle competizioni per anni. I test anti-doping non perdonano nessuno. E i ciclisti, in modo particolare tra tutti gli sportivi, sono sottoposti a tali test in modo sistematico.
    Le incursione dei NAS in pena notte nelle camere degli alberghi dove alloggiano i ciclisti, sono all’ordine del giorno durante una corsa a tappe.
    Le moderne metodologie anti-doping sono all’avanguardia e unite alle intercettazione telefoniche non lasciano scampo a nessuno. Ivan Basso ne è la prova.
    Vengono svolti test anti-doping anche nel ciclismo amatoriale, io stessa ne sono la prova.
    Il commento: “sono tutti dopati perché altrimenti non riuscirebbero a fare quello che fanno”, è un commento di chi non se ne intende di ciclismo.
    Un ciclista, che fa il ciclista per lavoro, è sottoposto ad allenamenti studiati da preparatori atletici professionisti, ha un regime di vita durissimo, un’alimentazione super controllata, una massa grassa bassissima… e arriva a partecipare, forse senza nemmeno finirla, ad una gara a tappe solo dopo anni di duro ed intenso lavoro. Nessuno si improvvisa ciclista.
    Ma vogliamo parlare della questione del doping in un altro sport, ad esempio nello sport nazionale: il calcio?
    Il sito del grande Zeman si apre con questa frase:
    “…Io vorrei che il calcio uscisse dalle farmacie e dagli uffici finanziari e rimanesse soltanto sport e divertimento…”
    Nell’estate del 1998, in pieno calcio mercato, Zeman sorprende tutti con alcune sconcertanti e allarmanti dichiarazioni sul doping nel calcio, anche a livello dilettantistico.
    Sono rivelazione molto scomode ed immediatamente partono querele e critiche. Zeman viene definito un terrorista che vuole rovinare il calcio.
    Nonostante il dissenso dei club più ricchi e più potenti, le indagini partono guidate dal pretore di Torino, Raffaele Guariniello, e in capo a pochi mesi si giunge a risultati sorprendenti.
    Si scopre che i risultati dell’anti-doping vengono truccati, si stila un elenco delle sostanze proibite e si stabiliscono pesanti pene per chi infrange il regolamento.
    Purtroppo però le indagine si fermano qui anche perché è interesse dei grandi club che pilotano il calcio che non vengano scoperti i nomi dei calciatori dopati.
    Parte il complotto contro Zeman con l’obiettivo di eliminare l’eroe del “calcio pulito” e non solo lui ma anche il ricordo dello stesso. L’obiettivo sembra essere stato raggiunto: Zeman è costretto ad andarsene in Turchia e tutto viene insabbiato con la solita abilità italiana.
    Rimangono le vittime:
    sono 57 i calciatori o ex calciatori italiani affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), un numero 20 volte sopra la media della popolazione mondiale.
    Tra i giocatori della Fiorentina dei primi anni Settanta, tre sono morti e altri cinque hanno patito malattie gravi. Uno di questi è il centrocampista Bruno Beatrice. E’ morto il 16 dicembre 1987, a 39 anni per una leucemia linfoblastica acuta.
    Numerose sono le testimonianze degli ex-calciatori e dei loro familiari. Ne riporto solo una, quella della vedova di Beatrice che racconta: ”Dal ritiro Bruno mi faceva sempre telefonate chilometriche, roba di tre quarti d’ora. Solo che mentre parlava se ne stava attaccato alle flebo. Io ero perplessa, gliene facevano in continuazione, durante la settimana, prima della partita, dopo la partita, ma lui mi diceva di stare tranquilla, che erano cose normali. Tanto normali che la domenica sera e ancora il lunedì non riusciva a dormire, nel letto era tutto un tremore, uno scatto di nervi e di muscoli che mi ricordavano gli spasmi dei polli dopo che gli hanno tirato il collo. E lui ancora a rassicurarmi, a dirmi che erano le vitamine che aveva preso e che doveva smaltire. Ma non dimenticherò mai che nell’incavo del braccio sinistro aveva tre buchini violacei ormai perenni. Quelle erano le ‘prove’ delle flebo che gli facevano quando giocava al calcio”.

  4. #4 by admin at 14 maggio 2007

    L’assioma iniziale “tutti vengono aiutati, ma chi va oltre viene squalificato, quindi chi non va oltre non si dopa”, parte da un presupposto dogmatico. Ovvero che i limiti definiti dalle istituzioni siano il confine tra doping e non doping. Secondo questo presupposto, dunque, sarebbe dopato solo chi oltrepassa i limiti. E se, come credo io, i limiti fossero troppo alti? Io credo che gli “aiuti” di cui parli (e non ci riferiamo al gatorade) siano di per sè dopanti. Rimango convinto che un ciclista da solo non possa raggiungere prestazioni così performanti (qualità-quantità).
    Ti do ovviamente ragione sull’estensione del problema agli altri sport. Non ho mai pensato che questo aspetto fosse circoscrivibile al ciclismo. I fatti e le cronache sono evidenti. Vero è che la ricerca dell’effetto dopante assume più significato dove diventa fondamentale la prestazione del singolo, più che quella della squadra: sarà più facile che si dopi un lanciatore del peso che un alzatore del volley.

(non verrà pubblicata)

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