Quei signori degli anelli


Tibet, argomento molto delicato e difficile. Non tanto perché risulti malagevole ed arduo muoversi tra i complessi equilibri etici e i principi che il tema inevitabilmente tocca, quanto perché è necessaria una conoscenza di base sulla situazione storico-politico-culturale dei rapporti tra Cina e Tibet.
Semplifichiamo. L’origine della quaestio sgorga dall’invasione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese nel 1950, in barba a tutte le leggi internazionali. Dopo anni di tentativi da parte del Dalai Lama di instaurare una pacifica convivenza tra i due popoli, la pressione espansionistica della Cina determinò le prime accese ribellioni della cittadinanza tibetana, prontamente sedate nel sangue. Seguì il confino forzato del Dalai Lama in India con centomila fedelissimi al seguito, quasi tanti quanti quelli sterminati solo nell’ultimo anno di occupazione. Istituito un governo in esilio, tecnicismo del diritto internazionale che meriterebbe un approfondimento a parte, iniziò un continuo esodo dal Tibet all’India che dura fino ai giorni nostri.
I morti a causa delle persecuzioni cinesi iniziate nella metà del secolo scorso sono più di un milione. La Cina ha distrutto quasi tutto il patrimonio artistico del territorio, ha deforestato la regione e parcheggiato le sue scorie nucleari. I tibetani che non hanno lasciato il territorio sono continuamente oppressi ed emarginati, imprigionati, torturati, le donne forzatamente sterilizzate.
Tutto questo è avvenuto davanti all’impotenza di fatto delle Nazioni Unite: risoluzioni a raffica, appelli alla tutela dei diritti umani e premio Nobel al Dalai Lama non hanno minimamente scosso il governo cinese. Se la Cina siede tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, il controllante e il controllato finiscono per essere la stessa persona: difficile ottenere risultati.
I Giochi Olimpici dovevano essere il do ut des per ottenere il rispetto delle più elementari norme democratiche, che in Cina sono durevolmente infangate. Ora anche l’ipotesi di boicottare la sola cerimonia d’apertura sembra fantascientifica e suscita un’inspiegabile stupore. La Cina otterrà tutti i vantaggi delle Olimpiadi e non cambierà una virgola dei suoi rapporti con il Tibet. La colpa è della comunità internazionale e delle singole nazioni, che firmano risoluzioni e petizioni a mucchi, ma sottobanco strizzano l’occhio agli occhi a mandorla.
E l’operaio cinese Yang Chunlin è stato condannato a cinque anni di prigione per aver scritto una lettera pubblica intitolata “Vogliamo diritti umani, non i Giochi olimpici”.

  1. #1 by vicensa at 29 marzo 2008

    Purtroppo per la tragedia del Tibet si sta verificando lo stesso silenzio che c’è stato per altri eventi nefasti che ci hanno colpito in un recente passato.
    Al quadro che hai dipinto, aggiungo che la Cina ha chiuso Internet, nessuno poteva più navigare e spedire messaggi: quel poco che abbiamo saputo lo dobbiamo solo grazie ad alcuni studenti cinesi “in trasferta” a Lhasa che sono riusciti a spedire sms a degli indiani che hanno diffuso via Internet video e le foto di quello che sta succedendo. La cosa grottesca era che nel frattempo le tv cinesi lanciavano servizi in TV dicendo che dei violenti stavano distruggendo la città, e intervistavano i commercianti che dicevano (udite udite!) “eh quella brutta gente…”: e se fosse stata gente mandata dallo stesso governo Cinese?!? I soldati Cinesi stanno reprimendo un popolo, le usanze e una cultura vecchia di millenni.
    Dopo aver sentito diverse opinioni, tralascio sul fatto che a questo punto abbia senso o meno il boicottaggio delle Olimpiadi paventato da diversi Paesi; forse sarebbe un segnale concreto di presa di coscienza da parte della comunità internazionale, che però in concreto non battè ciglio quando si trattò di assegnare i Giochi a Pechino…

(non verrà pubblicata)

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