Dai castelli di sabbia, ai castelli di rabbia.


“Spiagge, immense ed assolate,
spiagge già vissute, amate poi perdute”
(R. Zero – Spiagge)

A me piacciono le spiagge un po’ selvagge. Quelle dove parcheggi l’auto lontano e c’arrivi dopo aver camminato a lungo. Quelle dove non c’è la calca dei “Dayaki” attorno al bar. Quelle dove ti cambi il costume usando l’asciugamano e non affittando la cabina. Se magari ci sono un po’ di sassi e non la sabbia perfetta, è anche meglio. Le strutture e gli stabilimenti hanno la loro comodità, ovvio, ma generalmente… meno tracce umane ci sono, meglio si sta.

Con la bozza di decreto per lo sviluppo, sulla spiaggia nasce il “diritto di superficie” di 90 anni. Il Codice Civile lo disciplina come un diritto reale di godimento, consistente nella facoltà di edificare e mantenere una costruzione sopra un fondo di proprietà altrui. Nel nostro caso, il diritto prevede il pagamento di un canone annuo al Demanio e l’accatastamento delle edificazioni su spiagge e arenili. C’è chi grida allo scandalo, alla svendita del patrimonio e del paesaggio pubblico. Altri invocano la libera concorrenza, sostenendo che si potranno dare maggiori certezze a chi vuole investire nel lungo periodo: ciò dovrebbe incentivare il tanto acclamato “sviluppo”.

Non ho la competenza tecnica sufficiente per dire se sarà meglio o se sarà peggio. Non sono abbastanza schierato per prendere una posizione ideologica chiara e aprioristica. So solo che così facendo, sarà difficile che le costruzioni diminuiscano e che il cemento si riduca. Più facile che l’edilizia aumenti e che le bellezze naturali scompaiano: ciò basta per scocciarmi. Dai castelli di sabbia, ai castelli di rabbia.

 

Spiaggia irlandese

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