Archive for category Attualità

Non voglio mica la luna

Questo è un piccolo passo per l’uomo, un gigantesco balzo per l’umanità

(N. Armstrong, 1969)

Il 21 luglio 1969, Neil Armstrong usò queste parole per descrivere l’epocalità dell’evento che stava vivendo. Ieri non siamo sbarcati sulla luna, ma nel nostro retrogrado medioevo italico è irrotta un’altra svolta importante. Il Comitato Nazionale di Bioetica ha sancito che “c’è differenza tra suicidio assistito ed eutanasia”. Non è una sentenza, non è una legge. È un semplice ed autorevole parere, che invita il legislatore ad occuparsi dell’argomento, ad affrontare un tema spinoso e scomodo. Il Comitato chiede di “svolgere una riflessione sull’aiuto al suicidio a seguito dell’ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale”. Purtroppo anche questo Parlamento ha ignorato l’annosa questione: in Italia non si può ottenere il suicidio medicalmente assistito, ma si può decidere di interrompere le cure e l’alimentazione, morendo evidentemente di dolorosi stenti. Faccenda paradossale che, comunque la si pensi, necessita di essere normata.

Ha insabbiato ogni dibattito anche questa maggioranza di Governo, che a mio parere raduna le due componenti realmente più laiche del Parlamento (giocoforza vanno escluse le numericamente risibili rappresentanze radicali e l’estrema sinistra).

Non voglio mica la luna, ma se non lo fanno loro chi se ne occuperà mai?

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La triade di Torquemada

Gli inquisitori conoscono la libertà dalle confessioni dei prigionieri

(S.J. Lec)

Le battute sullo spostamento della lancette in avanti di un’ora, ma indietro di secoli a Verona, si sono sprecate. La parola “medioevo” è stata la più inflazionata per descrivere il Forum delle famiglie dello scorso weekend. Non credo ci sia molto da sottolineare. Le migliaia di persone che hanno manifestato “contro” l’evento testimoniano l’essenziale messaggio di arretramento che il Congresso si propone di lanciare. Un paio di dichiarazioni dei partecipanti, udite direttamente dalle mie orecchie, possono riassumere allegoricamente il pensiero retrostante. “C’è speranza anche per gli omosessuali, possono convertirsi”, e poi “è un dato di fatto che nelle famiglie tradizionali il benessere sia maggiore: stipendi più alti, minor uso di droghe, scolarità più alta”.

Si possono lecitamente avere opinioni diverse, ma i diritti acquisiti e l’emancipazione sono argomenti su cui non si può tornare indietro, altrimenti la civiltà arretra.

Verona mi è sempre parsa una città molto bigotta. Tra le molte nozioni che mi hanno somministrato al catechismo e all’oratorio, e tra le poche che mi sono rimaste, non ne trovo una che si concili con queste classificazioni e discriminazioni.

A proposito di rapporti contro natura, invece, è nota l’impropria troika veronese formata da estrema destra, integralismo cattolico e ambienti ultras. Una triade innaturale e autoalimentante, dove ogni elemento porta acqua al mulino comune. Dio, patria, famiglia, che tradotti significano ritorno ai principi etici del passato,  identità culturale, esclusione e rifiuto della diversità. Per la politica locale è un modo di crescere, per il fondamentalismo cattolico è l’unica via di sopravvivenza, per la tifoseria è un volano d’aggregazione e di unità. Tutti insieme, appassionatamente.

Torquemada

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Garibaldi fu ferito

Qui o si fa l’Italia, o si muore

(G. Garibaldi)

Ieri alcuni operai del Comune di Roma hanno rimosso una scritta “storica” su un muro della Garbatella: “Vota Garibaldi Lista N°1”. L’iscrizione, riferita alle prime elezioni repubblicane del 1948, esortava ad esprimere una preferenza per l’allora Fronte Democratico Popolare. Da qualche anno era coperta da una tettoia e celebrata da una targa commemorativa. Un piccolo pezzo di storia insomma, più che un atto vandalico da cancellare.

Sarebbe facile oggi, e molti giornalisti lo hanno fatto, commentare che fra tutto il lerciume di Roma quella scritta era l’ultima cosa che andava pulita. Sarebbe facile anche sparare sull’Amministrazione negligente e cercare nella vicenda metafore più ampie della deriva politica odierna.

Un errore certamente in buona fede. Compiuto dall’Amministrazione, dalla società in appalto, dai singoli addetti ai lavori? Non è importante. Il nodo rimane quello dell’attenzione, di pensare alle azioni che si compiono nel momento in cui si compiono. Bastava alzare la testa e chiedersi come mai c’è una tettoia protettiva. Bastava voltare lo sguardo e leggere la lapide. Bastava chiedersi perché un vandalo dovrebbe inneggiare a Garibaldi nel 2019. Un po’ di concentrazione, niente di più.

garibaldi

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Il pulsante che pulsa

Una volta un tale che doveva fare una ricerca andava in biblioteca, trovava dieci titoli sull’argomento e li leggeva; oggi schiaccia un bottone del suo computer, riceve una bibliografia di diecimila titoli, e rinuncia

(U. Eco)

Quando al liceo tentavamo invano di giustificare una strampalata traduzione di greco, con spavalderia dichiaravamo: “non ho sbagliato io, l’ho trovato sul dizionario”. Come fosse un alibi o un passe-partout per accedere all’assoluzione finale. Arrivava pronta la replica del venerando professor Nosari: “In sal vocabolari at cati tüt, anca cat t’sé n’àsan”.

Più o meno internet è come quel dizionario di greco: un luogo in cui trovi di tutto e di più, dove la difficoltà sta nello scegliere il contesto pertinente  e nell’assemblare le informazioni corrette.

Giorni fa, quando Salvini dichiarava di parlare con Bruxelles a nome di sessanta milioni d’Italiani, ho trovato in rete un meraviglioso pulsante, assolutamente geniale, del tutto inutile. Il bottone attiva un contatore virtuale per sottrarre i dissidenti ai sessanta milioni. Chi non voleva essere rappresentato da Salvini poteva pigiare sul bottone e decurtare di un’unità la fantomatica cifra.

Un esercizio ludico, più divertente di una protesta, più serio di una controproposta.

 

https://www.pulsantone-io-no.it/#seconda_sezione

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Riforma del piano a induzione

A volte il diavolo mi induce nella tentazione di credere in Dio

(S.J. Lec, Nuovi pensieri spettinati)

Non più “non ci indurre in tentazione…”, ma piuttosto “non abbandonarci in tentazione…

Così anche il Padre Nostro cambierà forma. Dopo decenni di studi e convalide, la Cei ha infatti rivisto la traduzione del Messale Romano. Nella preghiera avremo più garantismo per tutti.

L’agente provocatore, colui che s’infiltra e spinge il malcapitato a commettere un reato, è sostituito da un semplice agente sotto copertura, che eventualmente si limiterà ad osservarci mentre commettiamo il crimine.

Per la prescrizione, invece, occorre attendere ancora.

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Impelagarsi al bar

Le osterie sono un bene universale

(Mons. E. Tonini)

Un’amica mi ha segnalato un articolo di Wittgenstein, che dibatte su come e perché stiamo volgendo all’azzeramento della ragione, sui motivi che spingono gli istinti animaleschi dell’egoismo a prevalere sulle regole della civiltà. Una riflessione sull’attuale deriva politica e sociale di cui siamo vittime più o meno consapevoli. Un articolo dal registro impegnativo e forse un po’ pesante, che parte da premesse lontane e retoriche, ma che tuttavia condivido appieno. Ma aldilà della sostanza globale, che potete leggere integralmente sotto, mi ha incuriosito la circostanza dell’incipit: “abbiamo ordinato da bere delle cose in un bar di Milano, vedendosi tra amici al ritorno delle vacanze, ci siamo impelagati in una riflessione universale sulla piega che stanno prendendo le cose”.

Situazione invidiabile quella di impelagarsi con gli amici al bar, in una riflessione universale sulla piega delle cose. Mi è capitato talvolta di provarci, ma è difficile. Occorre trovare amici che la pensino diversamente, che abbiano un punto di vista alternativo e che siano al contempo interessati, informati e animati da passione. Improbo anche mantenere queste discussioni sempre al di fuori della superficialità e della retorica. La politica più autentica e gustosa dovrebbe sedersi ai tavoli del bar, ma troppo spesso preferiamo parlare d’altro.

Il secolo dello spegnimento dei lumi

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Insaccati

Prodotto prodigioso la spazzatura: basta non fare nulla e si riproduce da sé
(P. Caruso)

Proprio mentre il paese si appresta a combattere l’imminente gelo della merla, continua l’eroica ed incessante battaglia del Pd per perdere voti. Proprio non ne vuol sapere di vincere le prossime elezioni.

Dal primo gennaio dobbiamo obbligatoriamente utilizzare e comprare i sacchetti biodegradabili per frutta, verdura e alimenti sfusi in genere. Esatto: per rifornirsi di banane dovremo giocoforza acquistare un sacchetto bio e poi buttarlo. E magari, se la bilancia non è programmata per scorporarne il peso, pagarlo due volte: la prima come tara della frutta pesata, la seconda esplicitamente come contenitore della merce (“le borse di plastica non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci”).

I sostenitori del Governo si giustificano millantando che il provvedimento recepisce la Direttiva Europea 2015/720/UE, per la riduzione di plastiche dannose per l’ambiente. Tale direttiva, però, esclude da ogni obbligo le borse di plastica in materiale ultraleggero, quelle utilizzate appunto per frutta e verdura (si legga l’articolo 1 comma 2/a, che al proposito è cristallino).

Il Ministero dell’Ambiente ha poi dichiarato che per motivi igienici i sacchetti non potranno essere portati da casa, né riutilizzati. Ed è paradossale che per aiutare l’ambiente non si possa riciclare il medesimo sacchetto, né utilizzare borse personali di carta o di tela. Viene da pensare che molti preferiranno acquistare prodotti preconfezionati in vaschette di polistirolo. L’ambiente (non inteso come ministero) sentitamente ringrazia.

C’è di più. In barba al libero mercato, il legislatore ha anche fissato il prezzo dei sacchetti. Ha anche stabilito che dovrà pagarli sempre il consumatore, imponendo una multa ai supermercati che malauguratamente li mettessero a disposizione gratuita dei clienti (articolo 9-bis della Legge di conversione 123 del 3/8/2017).

Le malelingue parlano di un regalo alla Novamont, azienda leader nella produzione del materiale bio per sacchetti, che detiene l’80% del mercato italiano. Lo dicono perché la sua amministratrice delegata era tra gli oratori della Leopolda renziana, ed è stata poi nominata dal Ministero dell’Economia presidente di Terna, impresa che gestisce le reti dell’energia elettrica. Pettegolezzi, si capisce. Mai trarre conclusioni troppo affrettate. Mai dire gatto, se non ce l’hai… nel sacco.

bio

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Questione di vita o di morte

Allo stesso modo che la morale ordina: ‘Non ucciderai’, oggigiorno essa ordina: ‘Non morirai’
(J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, 1976)

Si sta tenendo in questi giorni il processo a Marco Cappato, imputato di aiuto al suicidio per aver accompagnato dj Fabo a morire in una clinica svizzera.

La vicenda giudiziaria è un po’ paradossale perché si dondola tra due norme assurdamente contrastanti. L’articolo 580 del Codice Penale datato 1930 recita che “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”. L’articolo 32 della Costituzione sancisce però che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” (es. vaccinazioni) e dunque esclude qualsiasi obbligo a curarsi, ammettendo piuttosto il diritto a non curarsi.

Paradossalmente, dunque, un malato può chiedere di sospendere una cura e morire di stenti, ma non può chiedere l’eutanasia.

Sull’argomento, ostico e intimo, ognuno può pensarla come vuole. Per prendere posizione occorre fare i conti con la cultura che abbiamo alle spalle, con le esperienze che viviamo, con i valori che abbiamo fatto nostri. Mi limito tuttavia a fare due considerazioni.

La prima: appare evidente ed oggettivo che questa contraddizione legislativa vada in qualche modo sanata, da una legge, da una sentenza, da un indirizzo. Qualcosa occorre fare, è questione di vita o di morte.

La seconda: la grande dignità e la grande forza d’animo che hanno spinto la fidanzata e la madre a deporre in tribunale meritano profondo rispetto. Hanno senz’altro rivissuto il dolore e lo strazio di una perdita importante, superando l’ultimo ed intimo velo della riservatezza privata. Per questo, comunque la si pensi, meritano profonda ammirazione e riflessione.

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Almeno un pizzino

“Era un uomo così antipatico che dopo la sua morte i parenti chiedevano il bis”

(Totò)

A poche settimane dalle elezioni siciliane, è morto ieri il più longevo ed imponente presidente della Regione Sicilia.

Totò Riina se ne va alla veneranda età di ottantasette anni, ventiquattro dei quali trascorsi al 41bs.

Con lui vengono seppellite molte risposte e molti nomi. Così come avvenne per molti politici (penso a Cossiga, Adreotti, Craxi e tanti altri), occulti registi di vicende tragiche e nuvolose, perderemo per sempre la possibilità di conoscere importanti verità.

Quando finiscono queste esistenze, spero sempre che i protagonisti abbiamo lasciato le loro conoscenze in un cassetto. Appunti, confessioni, rivelazioni. E spero sempre che un figlio, un parente, un amico fidato ne confezioni una pubblicazione, possibilmente senza filtri e senza manipolazioni. Purtroppo però, ciò non avviene mai.

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Sotto la banca la capra canta

Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera

(Totò)

A proposito del video della filiale Intesa San Paolo di Castiglione, divenuto ormai virale sui social, ho letto diverse opinioni di commentatori “ufficiali”. Blasonati blogger e giornalisti tuttologi sembrano concordare sulla crudeltà del sistema, che con grande facilità schernisce e mette alla gogna mediatica le persone socialmente più deboli ed indifese. Leoni da tastiera, protetti da un universo senza regole, subito pronti ad infierire con gli agnelli più deboli ed indifesi della catena dell’internet.

Non sono d’accordo. La trovo un’analisi superficiale, populista ed ipocrita. Balle da morale spiccia, che liquida i problemi senza cercare di capirli.

È vero, nella specifica vicenda una ripresa destinata ad un contest aziendale è finita fraudolentemente nell’universo senza confini di Facebook. Non c’è dubbio che il dipendente che l’ha criminalmente diffusa pagherà giustamente il conto più alto: nella migliore delle ipotesi rassegnerà spontaneamente le dimissioni o sarà trasferito in qualche magazzino della Barbagia. Però ci sono due aspetti fondamentali su cui è doveroso riflettere. Il primo riguarda il principio di responsabilità che coinvolge sempre chi intraprende scientemente con volontà un’azione. È il titolo stesso della registrazione a spiegarlo: “Ci metto la faccia”. Chi, seppur su invito altrui, decide di ideare e girare un video destinato ad una visione collettiva, ma non si rende conto dell’imbarazzante e comico livello di recitazione, ne paga le inevitabili conseguenze. Chi è causa del suo mal, pianga prima di tutto i propri limiti e le proprie inettitudini, non il pubblico ludibrio che ne scaturisce. Prendersela con chi ha canzonato il patetico video non ha senso. La società purtroppo attua una spietata selezione naturale, senza regali e senza carità. La squadra che decide di attuare la tattica del fuorigioco e non si rende conto di non saperla fare, prende gol per colpa sua. A poco serve lamentare la crudeltà della regola o la fortuna dell’avversario. Se mi chiedono di cucinare qualcosa ed io mi arrischio a preparare una Saint Honoré disgustosa, la colpa è unicamente mia perché ho azzardato oltre le mie capacità e al di fuori delle mie conoscenze. Non potrò accanirmi contro la qualità degli ingredienti o l’inadeguatezza degli attrezzi a disposizione.

La seconda riflessione va fatta sull’attuale mondo del lavoro, in particolare sull’intero settore dei servizi. Da molti anni ormai i dipendenti sono chiamati a compiti che esulano dai motivi, dalle capacità e dalle qualifiche per cui sono stati assunti. Impiegati forzati ad improbabili organizzazioni di team building, venditori vessati da classifiche e obbligati alla circonvenzione dei loro stessi familiari, bancari costretti a rifilare televisori e telefoni per salvare i conti della filiale. È una moderna forma di schiavismo sulla quale le istituzioni (politica, sindacati, organi di settore) e l’opinione pubblica dovrebbero meditare più a lungo, senza annacquare il brodo con inutili apostrofi contro il cyberbullismo dei social.

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