Voltapagina, l’eterno riposo
Posted by Giullare in Cose di paese on 18 marzo 2015
“Nessuno desidera essere perfettamente trasparente; non per gli altri e certamente nemmeno per se stesso”
(N.N. Taleb, Il letto di Procuste)
Voltapagina è mancato all’affetto dei suoi cari. Ne danno il triste annuncio partecipazione e trasparenza.
L’attuale Amministrazione ha scelto di non pubblicare più il periodico locale. Con buona pace dell’obiettivo “trasparenza”, cavallo di battaglia della campagna elettorale, il giornale ormai maggiorenne è stato relegato in soffitta, tra faldoni polverosi e promesse dismesse. Forse si tratta di una sospensione momentanea ma intanto, nel dubbio, da un anno a questa parte non è neppure stata nominata la commissione destinata ad occuparsene. Scelta più che legittima, sia chiaro: chi comanda decide.
Così facendo però, il giornale è destinato a scomparire per sempre. L’ultima sua pubblicazione risale a marzo 2013, e la legge sancisce che “l’efficacia della registrazione cessa qualora si sia verificata nella pubblicazione una interruzione di oltre un anno” (Legge n. 47 sulla stampa, art.7 – Decadenza della registrazione).
Non si venga a parlare di riduzione dei costi, perché per mantenere in vita il giornale basterebbe stampare un foglio A4 in bianco e nero e metterlo a disposizione del pubblico sugli scaffali della Biblioteca (almeno fin che c’è). Non si venga neppure a parlare di contenuti non condivisi, perché ogni amministrazione può, ed anzi deve, riorganizzare il giornale come meglio crede.
Voltapagina potrebbe costituire un importante veicolo di comunicazione da parte dell’Amministrazione e del suo operato, potrebbe convogliare le richieste e le esigenze della popolazione, offrire spazio alle minoranze e soprattutto aggregare la cittadinanza. Invece tutto ciò non sarà più possibile, a meno che non si finga che la legge non esiste, o a meno che non si pensi che Facebook costituisca la panacea della trasparenza.
Uomini Forty – Baldo nelle tenebre
Posted by Giullare in Uomini Forty on 9 marzo 2015
Nell’anno delle mie quaranta primavere ho deciso di intraprendere una serie di sfide personali che possano rendere in qualche modo originale il mio 2015. Non sono imprese sportive, non sono fioretti quaresimali, non sono opere d’ingegno, né imprese titaniche. Non si tratta di mettersi alla prova, né di stabilire dei record. Si tratta di fare qualcosa un po’ fuori dall’ordinario, dal proprio ordinario, e di superare il limite personale delle abitudini.
“Uomini Forty” è la sezione che le conterrà tutte, giusto per non perderle. A volte servirà la forma fisica che sto ormai perdendo, altre volte basterà l’impegno della mente o la disponibilità degli amici. L’obiettivo è di compiere almeno dieci esperienze “forty”.
L’unica regola che mi son dato è quella di fare cose che non ho mai fatto e che meritano, nel loro piccolo, di essere raccontate ad un figlio, ad un familiare, ad un amico.
Si comincia con la salita invernale notturna alla cima del Monte Baldo.
“La montagna più alta rimane sempre dentro di noi”
(W. Bonatti)
Luna piena che illumina a giorno i crinali innevati. Il vento forte dei giorni scorsi ha spazzato via ogni foschia ed ogni nuvola. Le condizioni ci sono tutte per compiere l’assalto notturno alla cima del Baldo. Non l’avevo mai fatto prima d’ora.
Partiamo alle 19.00, poco sopra i 1200 mt. In un silenzio abissale, la neve scricchiola sotto gli scarponi in uno dei rumori più belli del mondo. Mi ricorda la passeggiata nel surreale cimitero Skogskyrkogården di Stoccolma. Anche lì, ora come allora, ero con Gianluca. La luna sale lentamente e ci accompagna già nel primo tratto di bosco. Non servono pile, neppure ramponi. Qua e là si perde aderenza, ma è poca cosa. Poco dopo arriviamo sulla splendida cresta. Da un parte l’immenso Garda, dall’altro le lontane luci di Verona. La sola visuale vale l’impresa. Il vento si fa sempre più forte e punge sulla faccia. Volano via discorsi sui massimi sistemi della vita, sulla genesi dei sentimenti, sulla mutevolezza della natura umana. Roba da ubriachi.
Dopo due ore di salita approdiamo al rifugio Chierego, mt. 1911. Fa quasi più freddo dentro che fuori. A scaldarci solo i bicchieri colmi di corvina. Il menu non è all’altezza (è il caso di dirlo) dello sforzo, ma con la fame che abbiamo azzanneremmo anche i ceppi di legno accanto alla stufa. Penne al curry (piatto tipico di montagna) e spezzatino della mutua. Ma ci basta per riprendere le giubbe, scendere di buona lena e tornare a casa con una piccola gioia da raccontare.
Anticipo falloso
“Se si vuole riuscire in questo mondo non bisogna essere molto più intelligenti degli altri; bisogna solo essere in anticipo di un giorno”
(L. Szilard)
Con alcuni giorni d’anticipo, Striscia la notizia ci ha tolto anni di vita rivelando la classifica finale di Masterchef. Per gentaccia come me è roba da non dormirci la notte, depressioni da terapia intensiva.
Col pretesto di svelare un’irregolarità (la presunta collaborazione di un concorrente con un ristorante, peraltro poi smentita), Mediaset ha azzerato la suspance di Sky.
Una trasmissione che da sempre si batte per la trasparenza e l’onestà, è caduta dal trono della correttezza con un incauto tiro mancino. Come se per denunciare un’irregolarità, occorresse rivelare per forza il finale di stagione.
Le beghe tra le varie emittenti e le lotte per gli ascolti sono vecchie quanto la tv. All’inizio degli anni ‘90 nel Costanzo Show, il sornione Maurizio svelò in anticipo il finale della Piovra 3 e la morte del commissario Cattani. Dicono l’avesse fatto per abbassare l’audience della rete concorrente.
A farne le spese è sempre il rispetto verso lo spettatore-consumatore: illuso, ingannato, usato.
Da oggi guarderò solo cartoni. Almeno Homer Simpson, uscendo da una proiezione de “Il ritorno dello Jedi”, passando accanto alla fila di spettatori in entrata lasciava un minimo dubbio: “Chi si immaginava che Luke Skywalker fosse il figlio di Dart coso?”
Privacy malata
“Morire, caro il mio dottore, è l’ultima cosa che farò!”
(H.J. Temple Palmerston – Ultime parole prima di morire)
Un recente studio condotto negli Stati Uniti rivela che molte pagine internet, che riguardano argomenti medici e di salute, tracciano più o meno volontariamente le ricerche effettuate dagli utenti e le trasmettono a terze parti. Le informazioni digitate (come ad esempio la malattia oggetto della ricerca) e le coordinate del soggetto che effettua l’indagine (ad esempio l’indirizzo ip del suo computer) sono trasmessi a società estranee, che a loro volta archiviano i dati e se li rivendono.
Tim Libert, un ricercatore della University of Pennsylvania, attraverso un complesso sistema di controllo e monitoraggio software, ha scoperto che nel 90% dei casi, le informazioni riguardanti condizioni specifiche personali, sintomi, malattie e cure, vengono trasmesse inconsapevolmente a molte altre aziende, avulse dal sito oggetto d’indagine. E non sarebbero immuni dal vizio neppure i siti governativi, quelli no profit o quelli accademico-universitari. “Quando cercate “raffreddore”, il sito passa la vostra richiesta di informazioni sul malessere a molte altre compagnie”.
Nulla di nuovo, la memorizzazione delle preferenze e delle ricerche personali su internet è nota da tempo. Il fatto allarmante è che ora anche le riservate indagini mediche sono utilizzate da qualcun altro a scopo di lucro. Qualcuno che non conosci può perfettamente identificare te e la tua presunta malattia e sfruttare l’informazione per farci dei soldi. Compagnie farmaceutiche che decidono di investire su un prodotto anziché su un altro, pubblicità ad personam che sfruttano le debolezze racchiuse nelle patologie. Le ricerche degli utenti su internet equiparate ai risultati dei sondaggi e delle indagini di mercato. Vien voglia di guarire.
Se la barca affonda
“All’uomo, nella sua fragile barchetta, è dato il remo in mano proprio perché segua non il capriccio delle onde ma la volontà della sua intelligenza”
(J.W. Goethe, Massime e riflessioni)
Dopo gli incidenti di Roma e gli atti vandalici contro la fontana di Bernini, fioccano ovunque le frasi fatte da riproporre quando ricorrono insieme le parole calcio, tifosi, incidenti. Ecco allora “la città messa a ferro e fuoco”, “le pene da inasprire”, “è solo una partita di calcio”, “in Europa queste cose non succedono”. E questi evergreen del repertorio retorico si riproducono in una sorta di copia/incolla virale. Insopportabili.
Di fronte ad fontana danneggiata tutti diventano patriottici e forcaioli, perché è bello credere che la fontana sia un simbolo della cultura italiana universale e che contro gli attacchi alla cultura non si discuta. Non importa se chi parla non sa neppure chi abbia costruito la suddetta fontana né quale sia la sua datazione approssimata. Insomma, che abbia cent’anni o duemila è più o meno uguale. Taluni hanno anche faticato un po’ per capire che “la Barcaccia distrutta” non era l’ennesimo gommone affondato a Lampedusa.
Ma di tutte le scemenze sentite in questi giorni, la più strabiliante è senz’altro l’opinione che i danni materiali ora li debba pagare l’Olanda. È come pensare di chiedere un risarcimento alla Germania per i turisti che lordano il Garda o pretendere che sia io a pagare i buchi fatti dai proiettili dei marò sui pescherecci indiani. Eventualmente il danno andrà risarcito da chi l’ha materialmente arrecato, ma questa è un’altra storia.
Il top poi è la semplificazione che vorrebbe l’Olanda come soggetto con partita iva. “Deve pagare l’Olanda!” L’Olanda chi? Il Re? Il Ministero del Turismo? Van Basten?
Sconfitto l’interesse
Posted by Giullare in Cose di paese on 18 febbraio 2015
“Chi si lascia annoiare è ancora più degno di disprezzo di chi lo annoia”.
(S. Butler, The Fair Haven)
L’iniziativa degli incontri pubblici dell’Amministrazione con la cittadinanza è certamente un’ottima cosa. Benché l’idea non sia affatto originale, va dato atto che si tratta di un’importante novità per Volta Mantovana. Non corrisponde esattamente alla mia idea di trasparenza, ma il solo fatto che sia concesso ai cittadini di intervenire su argomenti pubblici è già di per sé una grande conquista. Se questa abitudine riuscirà a consolidarsi nel tempo, sarà certamente un merito da attribuire ai nuovi (si fa per dire) amministratori.
Non ho partecipato all’incontro, dunque premetto che ogni mio commento è terribilmente parziale, tendenzioso e inconsistente.
Ho cercato di seguire l’evento su youtube, ma proprio non ce l’ho fatta, trovandolo di una noia mortale. Come velocità, una via di mezzo tra un film d’avanguardia svedese e una trasmissione notturna di Rai Scuola sulla fisica dello stato solido. Mentre a livello d’interesse ho preferito leggermi Guerra e pace in lingua originale.
Un amico, equidistante e mai schierato, dopo aver partecipato alla serata me l’ha sintetizzata con “ho assistito allo squallore del potere locale, dove tutti si affannavano a sostenere il nulla”.
Speriamo nella prossima puntata.
Buona Forchetta – Vecchia Broglie
Posted by Giullare in Buona Forchetta on 13 febbraio 2015
Avventura ai confini della realtà. Capitati quasi per caso nelle campagne di Broglie, io e Gianluca decidiamo di fermarci per esaminare meglio il ristorante nascosto nella borgata. Da dietro la tenda, una signora scruta sinistramente gli ignari avventori. Con estrema perspicacia, capiamo subito che il posto non è affollatissimo e che da solisti saremo i protagonisti indiscussi della serata. Pesiamo il rischio e per amor d’avventura decidiamo di tentare la sorte: entriamo.
La padrona di casa non si capacità del fatto che nessuno ci abbia consigliato il ristorante e che siamo capitati lì accidentalmente. Varcata la soglia della prima stanza, si cambia era geologica. Silenzio in sala, sono i primi del 900’ e le tovaglie a merletti restituiscono un’atmosfera ovattata e surreale. Piatti, piattini e tazze esclusivamente in porcellana di Limoges, cristalli ai lampadari e sopra la mobilia. Qua è là qualche bottiglia di vino ci ricorda che siamo in un ristorante e non sul set del Gattopardo.
Gentilissima, ci accompagna al tavolo e accende il termosifone: probabilmente siamo i primi clienti dell’anno (o del secolo). In sottofondo i Nuovi Angeli cantano “Singapore”.
Ci avverte che non c’è un menù come s’aspettano i turisti, ma garantisce sulla qualità delle materie prime che cura personalmente. Solo che la specialità è il pesce di mare e sorge spontaneo chiedersi se “cura personalmente” significa che ha un enorme acquario nel seminterrato o che ogni mattina fa la pendolare in direzione Chioggia.
Soprassediamo ed accettiamo il consiglio di iniziare dagli assaggi di antipasti di mare (scorfano su polenta bianca, involtini di pesce spada all’arancia): molto buoni. Poi risotto all’amarone e radicchio, piuttosto deludente. Dolci gradevolissimi. L’altro consiglio di provare il lugana della casa si rivela invece catastrofico, perché sembra marsala soleras.
Ad ogni portata la signora decanta gli ingredienti e poi indugia per sapere se il piatto sia di nostro gradimento. Temo per la mia vita e penso che a momenti sarò tramortito dal sonnifero messo nel piatto e sarò portato a marcire nelle cantine umide.
Una volta pagato il conto, ci offre lo speciale rosolio della casa e, indomita, insiste per mostrarci tutte le camere dell’attiguo b&b. Tra l’incuriosito e il temerario, la seguiamo mentre sale le scale ed apre i catenacci dell’antica dimora. “Ci siamo”, penso. “Ora esce qualche energumeno, ci percuote, e domattina ci troviamo con i reni espiantati”. E invece usciamo vivi, con qualcosa da raccontare.
Antipasto, primo, dolce (e visita guidata degli alloggi, dei bagni e delle bambole di porcellana): 35 euro.
Voto: 4,5
Ristorante Vecchia Broglie – Località Broglie, 16 – Peschiera del Garda (Vr)
Annuntio vobis
“Niente ha bisogno di essere riformato quanto le abitudini degli altri”
(M. Twain, Wilson lo svitato)
Un anno fa, febbraio 2014. Il neo premier prometteva “una riforma importante al mese, per i successivi tre mesi”. Ne son passati dodici.
Ogni giorno ci raccontano che le province saranno azzerate, ma sono ancora tutte lì. Il morituro Senato sta vivendo una seconda giovinezza, mentre accoglie nuovi componenti eletti a vita. La legge elettorale non convince né decolla. Il Jobs Act ci ha portato indietro di trent’anni. E si potrebbe continuare, parlando di pubblica amministrazione, di depenalizzazione per evasioni fiscali inferiore al 3% dell’imponibile, di ventuno votazioni per eleggere i giudici della Corte Costituzionale.
Nel frattempo il rappresentante della Folletto che siede a Palazzo Chigi continua a raccontarcela: riforme urgenti e improcrastinabili, chi ci ferma è perduto.
È un po’ il divario che c’è tra il dire e il fare, tra l’annuncio e l’opera.
Attendere, prego.
Non è tempio per noi
“Ha un gettone? Devo fare una telefonata.”
“Tu, te ne devi andare.”
“Senta le do 10 dollari per un gettone, gliene do 20. È questione di vita o di morte!”
“Io chiamo la polizia.”
Mi è arrivata da pochi giorni la busta paga per i gettoni di presenza al Consiglio comunale. Un’ottantina di euro per aver partecipato a tutte (mi pare) le sedute del 2014. Li darò in beneficienza per i fatti miei, non perché sia più figo degli altri, ma perché ritengo di non aver fatto nella di eccezionale per meritarli.
Leggo che al Comune di Agrigento le buste paga di trenta consiglieri comunali si aggirano attorno ai 10.000 euro. Si sarebbero convocate 1133 sedute del Consiglio: una media di oltre 3 sedute al giorno, contando anche i sabati e le domeniche. La Valle dei Templi è una valle di lacrime. Un’assurdità che supera ogni confine.
Ci s’indigna, ma ormai neanche più tanto. Stupore, ma soprattutto rassegnazione. Per chi ha avuto la faccia tosta di prendersi i gettoni e soprattutto per chi doveva controllare e non l’ha fatto.
E pensando ad Agrigento viene in mente quell’immagine delle vestigia della civiltà ellenica e dei sui templi sormontata dalla scempio della civiltà moderna: specchio della realtà.
Delirio democratico
“La democrazia fondata sull’uguaglianza assoluta è la più assoluta tirannide”
(C. Cantù, Attenzione!)
Per carità, io sarò anche schizzinoso, su questo siam d’accordo. Però qualcuno mi deve spiegare bene la pantomima delle Quirinarie Cinque Stelle. I parlamentari pentastellati si sono presi l’impegno di candidare al Quirinale il personaggio più votato dalla rete dei simpatizzanti. Ma perché? Per mostrare un immenso spirito democratico? Per l’incapacità di motivare la scelta arbitraria di un nome qualunque? Per vacanza di idee credibili?
Conseguenza: Imposimato si ritrova candidato, perché votato da 16 mila Italiani su 60 milioni. Viene designato alla Presidenza della Repubblica perché scelto dallo 0,27% della popolazione.
La democrazia è un’altra roba.