La cima mancata, tanta fatica per nulla
È ormai abitudine che almeno una volta l’anno mi ritrovi con l’amico Simone (di seguito Vicensa) per imbragarmi e dare l’assalto a qualche bella parete. L’impresa alpinistica di quest’anno è la ferrata Bolver Lugli (dai nomi dei finanziatori), che risale da Col Verde alla Cima Vezzana, nel comprensorio delle Pale di San Martino.
Dopo la salita pomeridiana di 700 mt, trascorriamo la serata e la notte al rifugio Rosetta, tra strampalati ricordi ed abbondanti grappe alle erbe alpine. La notte si fa subito problematica per entrambi: i materassi scomodi, il fetore e le russa della camerata ci tolgono il sonno. Come sempre, quando non mi addormento mi innervosisco, pensando che il giorno dopo sarò stanco. Quasi tutta la notte è in bianco.
Di primo mattino lanciamo la carica alla parete rocciosa. La prima mezzora è una salita libera, senza assicurazioni metalliche. I° e II° grado d’arrampicata, roba facile. Tuttavia il non essere legati mi inquieta e mi dà un po’ d’apprensione. Finalmente il cavo! E una salita verticale che si fa subito aspra (alla fine saranno 700 i mt di ferrata). Qualche buon passaggio tecnico, qualche sforzo sovrumano per superare brevi tratti in sporgenza e molta esposizione. Chiedo a Vicensa di immortalarmi nel punto più panoramico della via, ma lui scuote il capo: “non ce la faccio, sono sfinito, andiamo su”, mi sussurra con cipiglio gemente e piangente. Il panorama è fantastico: il paese di San Martino si fa piccolo piccolo, mentre la Pala ed il Cimon sono lì e quasi quasi si possono toccare.
Arriviamo al bivacco dell’anticima dopo due ore di intensa arrampicata. Ho un quarto d’ora di vantaggio su Vicensa. Questo mi permette di godermi da solo il silenzio di quest’angolo di paradiso, prima che la carovana di gente che ci segue arrivi a fare rumore e confusione.
Eccolo, barcollante, madido ed esausto. Vicensa arriva ciondolando, ma visibilmente soddisfatto. Il tempo di mangiare qualcosa poi gli chiedo se saliamo alla vetta. Basterebbe un’ora di sentiero per raggiungere la sommità della Vezzana (3192mt). Invece il mio compagno d’avventura mi costringe a rinunciare. Dopo tutto quello sforzo, abbandoniamo proprio sul più bello. La vetta è lì, ad un soffio, e invece noi riprendiamo gli zaini per scendere.
Una discesa peggiore della salita, tra un ghiaione a tratti ricoperto di neve ed un canalone di rocce sgretolanti che ci fanno davvero rischiare l’incolumità.
Arriviamo a pezzi, contenti dell’impresa ma con tanti sassi nelle scarpe. Non ultimo quello della cima mancata, che probabilmente non vedremo mai più.
(Autoscatto prima di partire: la ferrata sale nel mezzo della parete che si vede alle spalle)
Il giorno della Civetta
Ieri la contrada della Civetta ha vinto il Palio dell’Assunta. Poca cosa per noi altri. Io però sono contento, perché alla Civetta ci sono in qualche modo affezionato.
Era il 1979, anno dell’ultima vittoria, quando i miei genitori mi portarono in gita a Siena. Da bambino capriccioso quale ero, e quale sono, mi impuntai perché mi comprassero un cappello del palio. Decisi subito che dovevo avere quello rosso e nero, con la civetta sopra. Provarono a farmi vedere altri caschetti, più colorati ed appariscenti, ma non ci fu proprio verso. La commessa del negozio si stupì. Disse a mio padre e mia madre che avevo scelto la contrada neo vincitrice e non si spiegava come avessi fatto. Casualità, è ovvio.
La Civetta da allora non vinse più e questo aneddoto del cappello gira in famiglia ogni volta che Rai 1 propone le immagini di Piazza del Campo e dei suoi cavalli.
Ieri, dopo trent’anni esatti, la contrada rosso-nera è tornata al trionfo. Gulp!
II° Consiglio Comunale (12 – agosto 2009)
Consiglio Comunale, atto secondo. Continuano le polemiche. Ovviamente fini a se stesse, sterili, insopportabilmente pleonastiche.
All’ordine del giorno la nomina del revisore dei conti e l’approvazione di un prelievo dal fondo di riserva.
Per il primo punto la maggioranza ha proposto la nomina di Marchesini. La minoranza è intervenuta sostenendo che benché non ci siano dubbi sulla professionalità del nominato, la scelta della Giunta getta dubbi di clientelismo. Marchesini è infatti il socio di Scè, ex assessore della giunta Bertaiola. Semplice il ragionamento: “Scè è uscito dalla lista Impegno per Volta, ora lo ripagate con un incarico al suo socio”. Il sindaco ha cercato di chiarire che la discussione eventualmente doveva concentrasi sulla professionalità di Marchesini, non sulla storia di Scè. Il vicesindaco ha sottolineato che Scè era nella lista Bertaiola: il fatto che una persona a lui molto vicina sia candidata alla revisione dei conti pubblici, dovrebbe essere una garanzia per la minoranza, non un handicap. Beggi ha insistito, con i soliti discorsi scritti da altra mano: “c’erano ulteriori candidati, molto più qualificati”. Sono intervenuto, affermando che le polemiche erano irrispettose del pubblico presente e di pessimo esempio. Ho invitato dunque la minoranza a proporre un altro nome, invece di polemizzare. Beggi mi ha sciorinato i curricula di altri candidati, ma ufficialmente non ha avanzato alcuna proposta alternativa: un fenomeno! Marchesini è stato eletto, senza i voti della minoranza che ha votato Ghizzi (senza palesarne la candidatura).
Scè è riconosciuto unanimemente come professionista serio e capace. Il fatto che la valutazione dell’assessore Guastalla, persona di cui mi fido, abbia considerato competente anche il suo socio Marchesini, mi è sembrata una garanzia sufficiente per votarlo.
Secondo punto all’ordine del giorno. Dal fondo di riserva sono stati prelevati alcuni importi per far fronte a spese non previste nel bilancio preventivo, eccezionali potremmo dire. Una polizza assicurativa furto-incendio e responsabilità civile, la manutenzione di un autovelox, delle spese notarili per rogiti comunali, l’acquisto di beni per attività sportive connesse ad alcune prossime manifestazioni.
Ho chiesto chiarimenti all’assessore, perché una polizza a scadenza dovrebbe rientrare tra le spese previste, non tra le impreviste (se si conosce la scadenza, si potrà anche prevederne la voce in bilancio, o no?). Guastalla mi ha spiegato che l’assicurazione riguarda il personale del Comune ed è parametrizzata allo stipendio dei dipendenti: variando quest’ultimo nel corso dell’anno, si è resa necessaria anche la variazione del premio da pagare. Non fa una piega.
Reportage dal Portogallo
Il Portogallo, relegato ai limiti estremi del continente, mostra in ogni suo angolo il distacco dall’Europa più evoluta ed emancipata. Terra di confine, nello spazio esiliato, ma anche nel tempo distante. Decadente e vecchio, ci tiene a mostrare i segni di un tempo per noi lontano, dove gli uomini non correvano dietro la tecnologia, limitandosi a vivere le sfumature di giornate più lunghe, e forse più laboriose. La campagna, spesso incolta, lascia posto solo ai piccoli villaggi. Le grandi città, davvero poche, sono sventagliate dal vento del mare e dal decadentismo di chi attende un futuro che non arriva mai da solo: case fatiscenti, appoggiate l’una all’altra nel tentativo di sostenersi a vicenda. Ma fino a quando?
Il mare dell’Algarve è invece un soffio passionale, un impeto entusiasmante, un abbraccio aperto al nuovo mondo, al sole che non tramonta mai, al vento che scompiglia i capelli e le idee. Abbiamo visitato le città partendo dal nord, da Porto, e siamo scesi fino al lembo estremo dell’Europa, dove il mare aggressivo incontra il vecchio continente.
Porto, appollaiata sulla foce dell’immenso Douro, restituisce alcune pittoresche istantanee delle casupole in riva al fiume e poco altro. Vicoli sporchi, miriadi di abitazioni decrepite e pericolanti che suggeriscono un fascino sinistro. Delude il giro al Mercato di Bolhao: solo merce ammassata e qualche cattivo odore… nulla di folcloristico. Il parco del Romanticismo e i 75 metri della torre Dos Clerigos meritano una breve sosta. Le bellezze vere stanno nella Cattedrale del XII secolo, nella particolarità della stazione, nel quartiere di Ribeira, nella luminosità di una passeggiata notturna sul Ponte Dom Luis. Un giro in barca sul fiume mostra la città da una prospettiva diversa, ma ancora poco intrigante. Visitiamo anche le storiche cantine del vino liquoroso che prende il nome proprio dal centro urbano. Affascinano le botti stipate, l’arredamento da epopea coloniale e l’assaggio guidato. Città disordinata e confusionaria, ma alla fine ci si appassiona a tutto e Porto finisce quasi per piacere. Nella città alta va segnalato il ristorante Antunes, tra i migliori che abbiamo visitato.
Il viaggio verso sud prosegue passando per Coimbra. Sul crinale, alla destra del Mondego, ospita una delle università più antiche d’Europa: “anno 1290” recitano lapidi e pubblicazioni d’ogni sorta. Proprio l’università è l’elemento più tipico ed importante di Coimbra: fa venir voglia di riprendere i libri in mano. Strade strette e ripide, spesso acciottolate, conducono a chiese sorprendentemente massicce. La cattedrale, unanimemente riconosciuta tra le più belle del Portogallo, sembra una fortezza. Accanto a tutto questo, molta disarmonia nelle forme urbanistiche ed il paragone con l’Andalucia rischia di essere impietoso.
La capitale Olisippo, cioè Lisbona, è un caos stradale senza eguali. Le guide sconsigliano categoricamente di entrarci in auto, ma noi facciamo di testa nostra (…mia): per un paio d’ore vaghiamo tra code, vicoli ciechi e rampe da brivido, senza possibilità di parcheggiare, né cartelli stradali da consultare. Ad uno ad uno visitiamo tutti i quartieri, rigorosamente a piedi. Ecco la massone Baixa, il monastero e la torre di Belem, i vicoli del Chiado, la Madragoa, la Graça. Il più bello, sotto al vasto castello, è il quartiere dell’Alfama, con il suo trabusto di tram elettrici che si arrampicano nei saliscendi, tra mirador bellissimi e viuzze come budelli. È qua che è bello perdersi e lasciarsi condurre dall’istinto, rincorrendo una scalinata che scende o semplicemente cercando la foto più bella da scattare. Su ogni scorcio irrompe da lontano l’immagine del Tago, dalla foce quasi sterminata. La serata deve accendersi e spegnersi nel Bairro Alto, che di notte si trasforma in un reticolo di localini e giovani in cerca di divertimento. Qui consigliamo il ristorante Bota Alta, semplicemente splendido.
Tra le varie località marittime, abbiamo scovato un posto fuori dal mondo. Senza un motivo, armati solo dalla fantasia suscitata da un’immagine di internet, ci dirigiamo ad Odeceixe. La spiaggia, popolata unicamente da surfisti, è raccolta da due alte falesie scure. Scogliere a picco, che dall’alto fanno innamorare. Il paesaggio è meraviglioso ed unico, una baia da sogno. Una manciata di case bianche abbarbicate sulla collina mi spinge ad annotare un appunto strampalato sul diario di bordo: “inserire Odeceixe nei posti in cui vorresti vivere”. Qua il mare è freddo ed impetuoso. Le onde altissime impediscono di fare un bagno rilassante. Ma è la natura che irrompe, l’oceano che urla, il soprannaturale che si fa naturale. Comincia qui la vera vacanza.
Nella costa sud dell’Algarve ci sono posti suggestivi come Ponte da Piedade (dove non si fa il bagno), Praia Dona Ana, Cabo sao Vicente (estremità ovest del continente) o la spiaggia di Beliche, probabilmente la più bella in cui siamo stati.
Dopo un soggiorno al sole, risaliamo il Portogallo nell’ottica del ritorno. Una sosta ed una passeggiata al piacevole castello di Ourem, prima di arrivare nella città templare di Tomar. Un castello-monastero strepitoso. Affascinante, austero, misterioso e dunque intrigante. Si risveglia la mia passione storica, l’inclinazione al fascino dell’arcano. Secoli di templari, di segreti, di delitti… Il simbolismo degli elementi architettonici è fin troppo evidente e suscita anche un po’ di timore. È una sensazione impressionante. La singolare pensao Uniao completa il quadro di una giornata indimenticabile. Mattinata a Fatima, per soddisfare la curiosità. Il caotico e ormai solito fanatismo religioso rende questo luogo insopportabile.
L’ultima serata la trascorriamo a Braga, a pochi chilometri dall’aeroporto di Porto. Ottimo punto d’appoggio, ma centro storico di scarso valore.
Conserverò un buon ricordo del Portogallo, soprattutto del suo oceano e delle sue spiagge. Un territorio aspro, nelle campagne come nel mare. Rimango deluso dalle città, dipinte troppo spesso come mete irrinunciabili e folcloristiche e rivelatisi invece inconcludenti assemblaggi di fatiscenti decadenze.
Condanna alla libertà
La vicenda di questi giorni che coinvolge i terroristi come Fioravanti, pone l’accento su uno dei più grossi dubbi relativi alla carcerazione italiana. Ha senso rimettere in libertà i condannati all’ergastolo? Ha senso emettere pene “ a vita”, quando i codici del diritto prevedono già la scappatoia dell’eventuale liberazione?
Certamente, adottando un criterio “cristiano” di giustizia, ha senso emettere una pena ed ammettere una revisione della stessa, cioè una rettifica che ribalti la sanzione disposta illo tempore. Questo però significa indebolire il potere deterrente della pena stessa: se so che esiste la possibilità di derogare anche la condanna più aspra, sarò meno incline ad evitare il crimine.
È vero che la prigione dovrebbe prevedere sempre una possibilità di rieducazione e di reinserimento. Ma allora perché ammettere il concetto di ergastolo, pietra tombale per la vita sociale del criminale? Non sarebbe più coerente condannare a cinquanta o sessant’anni di carcere?
Il dubbio rimane e si ripropone sempre più spesso.
Ricordo del Dòic
Posted by Giullare in Cose di paese on 30 luglio 2009
Io il Dòic me lo ricordo dai primi anni degli esordienti. Aveva un anno più di me, e a quell’età un anno è una differenza non da poco. Alto, snello, ordinatamente biondo, non veloce, ma tecnicamente discreto. Buon senso della posizione. Giocava titolare nel ruolo di libero, suscitando sconsideratamente la mia invidia, perché era esattamente quello che avrei voluto fare io: sia il titolare, che il libero. Invece bazzicavo più spesso dalle parti della panchina, individuato dal Toto come fluidificante – ala destra. Ero veloce e scattante, ma tecnicamente poco più che disabile. Un anno dopo, lo ricordo come fosse ora, nel campetto delle medie lo Zefir mi scoprì “interno” destro: ruolo che compresi solo nell’età della ragione, e solo con l’ausilio dell’enciclopedia e di qualche almanacco.
Poi il Denis Lorenzi lo ricordo sulla corriera delle superiori, all’epoca del suo bomber blu (come il mio), dei Ray-ban verdi (come i miei) e dei capelli rasati col ciuffetto davanti (come me). Non so, ma spesso mi sembrava che un po’ ci somigliassimo, anche se non era vero.
Negli anni dei campi scuola e delle gite parrocchiali ho condiviso con lui qualche bella camminata e qualche chiassosa chiacchierata. Poco altro. E di questo, col senno di poi, mi dispiaccio. Finite le superiori ci siamo persi di vista, pratico imbianchino lui, teorico dello studio io.
L’ho ritrovato tra la platea del consiglio comunale, intento a sostenere l’impegno di partecipazione che pochi mesi prima aveva sottoscritto.
La notizia gelida della sua morte mi ha raggiunto su una rovente strada portoghese, a migliaia di chilometri dal suo corpo, mentre con ben altri pensieri tornavo dalla spiaggia. Sono rimasto incredulo, inebetito, attonito. Quelle cose che devi ripeterti sottovoce più volte, prima di farle assimilare al cervello. A mente fredda ho ripercorso qualche brandello di ricordo che ci ha visti insieme.
Poca cosa, come dicevo. Oltre alla preghiera, per chi ci crede, in queste circostanze non possiamo fare nulla. Ma è giusto provare a ricordare e raccogliere almeno un briciolo di memoria.
Ronda su ronda
Mah… tutto il frastuono sull’istituzionalizzazione delle ronde, proprio non lo capisco. Gli accostamenti con lo squadrismo delle epoche infauste, o con i regimi militari in genere, mi pareva azzardato prima, e ridicolo ora. Ci hanno detto che saranno gruppi formati al massimo da tre persone, con la casacca fluorescente di chi deve cambiare la ruota di un’auto ed il cellulare in mano. In presenza di reati, o di fronte a circostanze sospette, potranno solo avvertire le forze dell’ordine, nient’altro.
Il pericolo della deriva giustizialista, il rischio della supplenza delle forze di polizia da parte del cittadino o l’avvento della giustizia fai da te mi sembrano un’insensata fantasia, una facile demagogia.
Viene piuttosto da chiedersi se serviva fare una legge per stabilire che un cittadino può avvisare col cellulare la polizia, qualora si trovi ad essere testimone di un presunto reato. A destra si propone il nulla, a sinistra si critica il nulla.
Onorevole propaganda
L’ultimo annuncio di Beppe Grillo, lungi dal coinvolgere appassionatamente le coscienze politiche, suona piuttosto come l’ennesima boutade provocatoria e propagandistica. Figuriamoci se il Nostro non ha fatto i conti con i vincoli all’iscrizione, che pregiudicherebbero la sia designazione. È davvero così sprovveduto da annunciare la candidatura senza verificarne gli opportuni presupposti?
Forse l’obiettivo è solo un can-can mediatico da belle époque, che in caso di rifiuto da parte dei vertici PD, e dunque di mancata candidatura, dipingerebbe Grillo come un’onorevole vittima sacrificale.
Da reclutatore di folle è divenuto folle recluta. I suoi messaggi condivisibili rischiano di sembrare sparate di un piazzista in preda al delirio. Mi piaceva di più quando faceva la vera politica, quella delle proposte audaci, delle idee nuove e delle soluzioni concrete
Proibizionismo analcolico
Posted by Giullare in Cose di paese on 12 luglio 2009
Down Under: l’acqua senza plastica
Le rivoluzioni iniziano dal basso, dai cittadini. Mentre al G8 mangiano, bevono, si fanno fotografare come degli attori e discutono del nulla, qualcosa si muove in Australia. I residenti di Bundanoon, vicino a Sidney, hanno votato contro l’uso di bottiglie di plastica per l’acqua nel loro territorio. Fontane pubbliche gratuite sono disponibili per i cittadini e i turisti. E’ un gesto per proteggere la Terra. Bundanoon è la prima città nel mondo ad averlo compiuto. In Australia è già iniziato l’effetto contagio in altre città. Invito i consiglieri a Cinque Stelle a proporre la stessa misura nei loro Comuni. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?), noi neppure.
(da www.beppegrillo.it – 9 luglio 2009)
Eh… la fa facile Beppe Grillo. Secondo lui dovremmo iniziare a proporre al Consiglio Comunale il proibizionismo sulle bottiglie d’acqua. A parte che l’acqua dei rubinetti pubblici in Italia è già gratuita, ma come si può pensare che un Comune riesca a vietare la vendita di bottiglie di plastica nel proprio territorio? Multiamo i bar che vendono il mezzo litro in pvc? Mandiamo i vigili al supermercato per sequestrare casse e casse d’acqua? E poi? Posti di blocco per monitorare il contrabbando dai i comuni limitrofi?
Quella di Bundanoon è un’iniziativa lodevole, che va però contestualizzata. In Australia la desertificazione dei territori suggerisce maggior attenzione alle risorse idriche. Non è affatto scontato che l’acqua pubblica sia gratuita, sicché promuoverne la disponibilità illimitata a cittadini e turisti è già di per sé una novità.
È facile fare demagogia, mentre è un po’ più difficile fare i conti con la realtà delle cose.
Nel dossier Usa sette righe su Silvio
Per la serie… “come ci vedono gli altri”
Laggiù, a Washington, qualcuno non lo ama. Ricordate lo sfregio dell’anno scorso, quando le note consegnate ai giornalisti americani al G8 in Giappone traboccavano di accuse, malignità e veleni al punto da costringere la Casa Bianca a scusarsi? Bene: qualche cosa, al Silvio Berlusconi, è andata storta anche stavolta. Proprio nel giorno in cui incassava i sorrisi e l’abbraccio di Barack Obama, portato in maniche di camicia tra le macerie di questa città così bella e gentile, il malloppo di fogli dato ai giornalisti Usa per «infarinarli» intorno ai protagonisti del viaggio presidenziale rifilava al Cavaliere una nuova stilettata. Sette-righe-sette di micro biografia. Data e luogo di nascita, nazionalità, professione, ultima vittoria elettorale, data d’inizio del nuovo governo. Fine.
Uno sberleffo, in rapporto allo spazio dato a tutti gli altri. Certo, la massima sintesi a volte può essere un segnale di sobrietà. Basti ricordare come Eugenio Montale, coprendo automaticamente di ridicolo tanti suoi colleghi che descrivevano le proprie piccole faccende con sdiluvianti ricostruzioni di pagine e pagine quasi avessero da raccontare le gesta di Alessandro il Grande, riassunse se stesso sulla «Navicella» parlamentare: «Montale Eugenio. È nato a Genova il 12 ottobre 1906 e risiede a Milano. Dottore in lettere, giornalista, scrittore, poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1975». Questa asciuttezza ha un senso, però, se è scelta dal protagonista. Non se viene usata da una manina altrui per marcare maliziosamente un distacco. Per tentare di capirci qualcosa occorre appunto ripartire dall’anno scorso. Quando il «Press kit» preparato dall’ufficio stampa della Casa Bianca (con impresso in copertina il sigillo del presidente) a uso dei giornalisti americani al seguito di George Bush al G8 di Hokkaido, in Giappone, era piuttosto «inusuale» nel mondo ovattato dei vertici internazionali. Diceva infatti che il premier italiano «è uno dei leader più controversi nella storia di un Paese conosciuto per la corruzione e il vizio del suo governo». Lo liquidava come «un dilettante della politica che aveva conquistato la sua carica importante solo mediante l’uso della sua notevole influenza sui media nazionali», ricordava che era stato accusato di «corruzione, estorsione e altri abusi di potere che lo costrinsero a dimettersi nel 1994», rideva degli anni giovanili quando «aveva cominciato a fare soldi organizzando spettacoli di burattini a pagamento» e «faceva i compiti di scuola ai compagni di studi in cambio di denaro». Per non dire della iscrizione alla «sinistra loggia massonica P2 che aveva creato uno Stato dentro lo Stato». Parole pesanti. Soprattutto rispetto agli assai più moderati profili di certi presidenti africani al potere da decenni. Come il ritratto dedicato nel «Press kit» attuale all’uomo forte dell’Angola Josè Eduardo Dos Santos, di cui si racconta asetticamente che si è laureato in ingegneria petrolifera nell’Urss, che è diventato presidente dell’Angola dopo la morte di Agostino Neto nel 1979 (trent’anni fa: in un Paese martoriato dalla guerra civile…) e che è sposato con “lady Anna Paola dos Santos” che gli ha dato tre figli… Ma sproporzionate soprattutto rispetto a quello che era allora il capo della Casa Bianca, quel George W. Bush che aveva con l’«amico Silvio» un rapporto speciale. «I sentimenti espressi nella biografia non rappresentano il punto di vista del presidente, del governo americano o del popolo americano», si precipitò a scrivere Tony Fratto, il vice portavoce della Casa Bianca, riconoscendo che quel profilo usava «un linguaggio che insulta sia il premier Berlusconi che il popolo italiano».
E proseguiva: «Ci scusiamo con l’Italia e col premier Berlusconi per questo spiacevole errore». Il Cavaliere accettò le scuse: pietra sopra. Tutto poteva immaginare, quindi, tranne il nuovo sgarbo di ieri. Che è tutto nel confronto coi ritratti degli altri protagonisti e comprimari del viaggio di Barack Obama a l’Aquila, a Roma e in Ghana. Una pagina e mezza viene dedicata al presidente della Commissione dell’Unione africana Jean Ping, del quale si ricorda che si è laureato a Parigi in scienze economiche, che ha lavorato all’Unesco ed è stato ministro delle poste del Gabon. Due al presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. Due abbondanti al successore di Mandela alla guida del Sudafrica Jacob Zuma, quasi due e mezzo al turco Recep Tayyp Erdogan, due al brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tre al cinese Hu Jintao e all’egiziano Hosny Mubarak, compresa la lista delle medaglie, delle decorazioni militari e delle lauree ad honorem ricevute in giro per il mondo. Due al presidente del Ghana John Atta Mills, nel quale si specifica che è originario di Ekumfi Otuam, che si è diplomato alla scuola secondaria Achimota, che ha studiato a Stanford e pubblicato una dozzina di libri tra cui «L’esenzione dei dividendi dalla tassazione sul reddito: una valutazione critica». E Berlusconi? Come dicevamo: sette righe. Contro le tre pagine di Giorgio Napolitano. Con la precisazione, vagamente offensiva, che quelle poche note sono tratte da BBC News e da un’agenzia della Associated Press. Come se l’anonimo autore della schedina non si fidasse del sito Internet ufficiale di palazzo Chigi (dove l’epopea berlusconiana viene ripercorsa, diciamo così, record dopo record) neppure sulle date. Dirà forse il Cavaliere, facendo buon viso a cattivo gioco: sono così famoso da non avere bisogno di piccole biografie. Sarà. Ma anche il Papa è abbastanza noto. Eppure il «Press kit» ha ripreso integralmente quattro pagine biografiche del sito ufficiale vaticano: dalla madre cuoca alla tesi di laurea (“Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”), dalla fondazione della rivista di teologia “Communio” alla laurea ad honorem del College of St. Thomas in St. Paul in Minnesota…
(Gian Antonio Stella – Corriere della sera, 09 luglio 2009)