Canzone per un amico


Lunga e diritta correva la strada,
l’auto veloce correva.
La dolce estate era già cominciata,
vicina a lui sorrideva.

Forte la mano teneva il volante,
forte il motore cantava.
Non lo sapevi che c’era la morte
quel giorno che ti aspettava.

Non lo sapevi, ma cosa hai pensato
quando la strada è impazzita.
Quando la macchina è uscita di lato
e sopra un’altra è finita.

Non lo sapevi, ma cosa hai sentito
quando lo schianto ti ha uccisa.
Quando anche il cielo di sopra è crollato,
quando la vita è fuggita.

Vorrei sapere a che cosa è servito
vivere, amare, soffrire.
Sull’autostrada cercavi la vita
ma ti ha incontrato la morte.

Voglio però ricordarti com’eri,
pensare che ancora vivi.
Voglio pensare che ancora mi ascolti,
che come allora sorridi
.”

(Canzone per un’amica – Nomadi)

All’epoca delle superiori-università quante volte ho ascoltato questa canzone? In macchina col Cugi, con l’Andrea, col Tui? Quante volte l’ho cantata insieme al Lele, storpiando le voci e accompagnati solo dalla chitarra onnipresente del Paio? Cento, duecento volte? Forse di più.
Non l’ho mai ascoltata come si dovrebbe, non l’ho mai presa sul serio. La utilizzavamo cinicamente come overture dei lunghi viaggi. Tra le risate del Tui e le testa scossa del saggio Cugi…
Mi è tornata alla mente in questi giorni, da sola, senza alcun bisogno di sfogliare le pagine di un canzoniere né di ascoltare improbabili cd. Mi è tornata alla mente e ho pianto, benché non avessi più energie per piangere.
Ho pianto, pensando che sono stato l’ultimo a pagare al Lele l’aperitivo (cioè l’atto di vita sociale che più gradiva). Ho pianto, soffermandomi su “cosa ha pensato quando la strada è impazzita”, su “cosa ha sentito quando lo schianto l’ha ucciso” (si può sentire e pensare a qualcosa in quegl’istanti?). Ho pianto, perché a lui che amava tanto vestirsi bene, non è stato possibile neppure fare indossare l’ultimo abito.
Ora ho paura di rileggere le sue e-mail, ho paura di ascoltare il cantante che solo noi due adoravamo.
Qualcuno che lo amava ha chiesto a me se il Lele ora è da qualche parte. Che ne so io? Perché lo chiedi a me? E poi… si va davvero da qualche parte? Chi l’ha detto? Come si fa ad affermarlo con tanta sicurezza?
Non lo so, se sei da qualche parte o se proprio non ci sei più: “voglio però ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi. Voglio pensare che ancora mi ascolti, che come allora sorridi.

A breve (troppo a breve) andrò a New York, in un viaggio che pianifico da almeno quindici mesi e che sogno da almeno quindici anni.
Il Lele non amava viaggiare, ma so che New York era una delle poche città che lo affascinava. Porterò con me una sua foto e la lascerò là. Nel patetico e stupido tentativo di fargli fare il viaggio che non potrà più compiere.

  1. #1 by massimo at 3 ottobre 2006

    E’ proprio vero che lunga e diritta correva la strada,
    l’auto veloce correva….

    Ciao Lele.
    E’ passata una settimana da quando in lacrime Silvio mi ha telefonato in ufficio dicendomi cosa era successo.
    E’ passata una settimana ed i miei occhi non sono ancora stanchi di piangere.
    E’ passata una settimana e puntualmente nel pieno della notte mentre le mie bimbe stanno sognando nei loro letti, io sono sveglio pensando a te.
    E’ passata una settimana e continuo a farmi domande – soprattutto perche’!
    Tanti perche’ ma senza trovare una risposta.
    Ti conosco da quando eri ragazzino, quando mi prendevi in giro perche’ ero il fidanzato di Fausta, ma ti ho potuto conoscere meglio negli ultimi cinque anni, tanto da aver avuto l’onore di ricevere la tua stima, il tuo affetto, la tua gioia e soprattutto l’appellativo di grande e piu’ importante Amico.
    Mi manchi Lele, mi mancano le nostre eterne discussioni “pacifiche” sulla laurea, prima sulla Sara e poi sulla Silvia, sui progetti – proprio di quei progetti che pian piano stavi pianificando.
    Venerdi’ mattina quando saro’ a 12000 metri sul quel volo per New York spesso guardero’ fuori dal finestrino, con la speranza di poter scorgere la tua figura dove la tua mano che mi fa ok – si proprio ok e sentire in un orecchio la tua voce che mi dice stai tranquillo che qui va tutto bene e’ un posto fantastico.
    Ciao Lele spero proprio che sia cosi’.

    Questa piccola poesia me l’ero copiata alcuni anni fa, mi era piaciuta molto.
    Te la dedico, perche’ ora e’ anche tua.

    Se potessi placare il tempo
    fermerei quei momenti
    che ci hanno visti vicini,
    che ci hanno reso amici.

    Fermerei ogni attimo
    in cui mi hai dato affetto
    mi hai regalato un sorriso.

    Fermerei ogni minuto
    in cui le tue parole
    mi sono scese nell’anima
    e mi hanno fatto star bene.

    Ma se anche il tempo scorre
    implacabile,
    nel profondo del mio cuore
    il bene che provo per te
    non vedrà mai i giorni passare,
    e i ricordi giocheranno
    con i miei pensieri
    e in me ci sarà sempre
    l’eterno ripetersi
    di una gioia immensa!

  2. #2 by andrea at 9 novembre 2006

    vedo solo adesso il sito di silvio solo perche ora mi ricordo che esiste
    questa e’ la mia paura dimenticarmi delle persone i o meglio dimenticarmi di quello che ho fatto con le persone
    tornando a lele spesso mi vengono in mente frammenti di “avventure” vissute insieme (gite viaggi semplici serate) ma altre volte se non sono i miei amici a ricordare per me mi accorgo di come a volte faccio passare in secondo piano la felicita’
    ho scaricato da internet una canzone che spesso cantavo col lele che e’ lultimo bicchiere di nikki
    e’ sicuramente una canzone forse stupida con parole sempli e nel ritornello dice
    L’ULTIMO BICCHIERE E ME NE ANDRO’ CHE NON NE POSSO PIU’ DI TUTTE QUESTE STORIE TRISTI….
    mi piace pensare ,silvio, che il lele prima di salutarci abbia fatto prorpio cosi’; un bel bicchiere di rosso magara un valpo o sia entrato in un bar dicendo….. per me un lugana||
    pensieri scarni di un trent’enne

(non verrà pubblicata)

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