La caduta di Prodi e l’inizio della fine


Che il governo di Romano Prodi fosse nato sotto la grigia nube della provvisorietà è un dato di fatto. Auspicavo tuttavia che nel suo breve mandato potesse affrontare di petto alcune delicate questioni. Liquidare i problemi più urgenti per poi tirare a campare, nel semplice, ma razionale giudizio che ogni ulteriore intervento sarebbe stato un surplus di tutto guadagno. Così non è stato. Il Governo ha disatteso le promesse, non ha affrontato i temi più veri e sentiti della sue battaglie (conflitto d’interesse in primis) pur trovandosi di fronte alla più ghiotta delle occasioni. Ha preferito la strada dell’impopolarità, battendo terreni dove sapeva che sarebbe stato difficile camminare compatti. Non ha combattuto le guerre comuni, ma ha intrapreso battaglie di quartiere, in luoghi diversi e con avversari diversi. Si è occupato di indulto, di pacs, di una finanziaria dura. Troppo difficile, anche per chi ha (e Prodi non le ha) legioni forti e compatte. Per usare un gergo meno forbito, ma più chiaro, potrei dire che se l’è cercata. Questa caduta di Prodi rammarica proprio perché con qualche accortezza in più poteva essere evitata.
Ora le ipotesi di futuribili si riassumono sulle dita di una mano:
– L’eventualità più accreditata è quella del “Prodi bis”. Il professore che ottiene un reincarico, fa un piccolo rimpasto e naviga a vista, in attesa del primo scoglio. Sarebbe un governo fotocopia, che non può spingersi nei mari delle riforme importanti, che non può pestare i piedi al Vaticano né scegliere linee nette di politica estera. Sarebbe una “non soluzione”, perché il problema reale verrebbe solamente rimandato di qualche mese e l’agonia degli Italiani proseguirebbe senza ragione.
– È più augurale, seppur poco probabile, la strada del cambio di maggioranza. Se si riuscisse a formare un governo confinando la sinistra radicale, potrebbero nascere i presupposti per una legislatura più longeva e creativa. Ma se non si vuole attingere dall’Udc (e nemmeno l’Udc vuole fungere da stampella), la strada diventa un vicolo chiuso.
– L’avvento di un gabinetto di tecnici o quello di un governo di minoranza stile prima repubblica, avrebbero un identico effetto. Il primo opererebbe con le mani legate, col secondo trionferebbe il cerchiobottismo fine a sé stesso. Un guaio statico.
– Il peggiore degli epiloghi sarebbero le lezioni anticipate: Berlusconi tornerebbe al timone e con lui le barbarie ad personam e le nefandezze della sua Giustizia. Purtroppo, infatti, il miraggio di una destra affrancata dal Cavaliere appartiene ancora all’ambito dell’irrealtà.
Dovunque la si guardi e comunque la si prospetti, tutte le ipotesi risolutive future sono accomunate dal paradossale denominatore del peggioramento. Non si tratta di catastrofismo, ma la debacle prodiana rappresenta solo l’inizio di una lunga fine.

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