I destini del cursore


Diverte il giamaicano Bolt. Piacciono la sua invisibile potenza, la naturalezza dei suoi gesti, il sarcasmo della sua corsa. È l’antieroe che mancava da tempo, capace di spezzare il fastidioso dominio degli statunitensi altezzosi. Suscita simpatia.
L’altra sera, probabilmente mentre Bolt allenava i suoi muscoli e temprava il suo fisico, correndo tra le strade di campagna che s’aggrovigliano sui nostri colli, ho incrociato un ragazzo paralizzato, che percorreva il mio stesso percorso in senso inverso, montando una carrozzina.
Qualche anno fa, cadendo da un’impalcatura, si è rotto la spina dorsale e non si è più retto in piedi. Lo conosco a malapena di vista, non lo vedo da prima dell’incidente. Lo ricordo al bar, col bicchiere in mano e la parlantina veloce. Nulla più. Mai stato particolarmente simpatico, indifferente direi. Ma quando l’ho incrociato, mi è uscito spontaneo un saluto e mi è preso un groppo alla gola. Non pena, né stupida cortesia… ma un’inspiegabile empatia. Ho sentito l’istinto, forse sciocco, di salutarlo e sorridergli.
La banale osservazione su quanto ci si debba sentire fortunati in questi casi, ho a malapena il coraggio di scriverla. Però credetemi, quell’incontro fortuito nel fare jogging mi ha suscitato davvero una strana ed indicibile sensazione. Mi ha fatto pensare. Non so bene a che cosa, ma mi ha fatto pensare.

  1. #1 by Erica at 23 agosto 2008

    Ti capisco, è successo anche a me.
    La persona che mi ha scosso, che mi ha fatto provare le tue stesse sensazioni, è un giovane ciclista, o meglio era un ciclista dal momento che ora, dopo aver lottato tra la vita e la morte, si trova paralizzato su una sedia a rotelle.
    Prima del terribile incidente l’avevo incontrato in bici, non lo conoscevo, lo conosceva invece il mio compagno d’uscita. Visto che ci stavamo preparando per la stessa gara, su strada, si è unito a noi, e, non lo dimenticherò mai, si è offerto di farmi la traiettoria in discesa. Avendo io dichiarato di non essere una gran discesista, si è messo davanti e mi ha detto di mettere le ruote dove le metteva lui. L’ho rivisto in gara, poi non l’ho più incontrato fino al mese scorso quando la mia squadra ha organizzato una competizione e lui era presente con il padre. Ho saputo dell’incidente il giorno dopo che è accaduto, è stato in gara, una brutta caduta e tanta sfortuna. Ha rischiato di morire avendo entrambi i polmoni perforati.
    Quando l’ho rivisto, seduto sulla carrozzina, mi sono sentita pietrificare. Non riuscivo a muovere un passo verso di lui e continuavo a pensare, senza riuscirci, a cosa potevo dirgli. Poi, ho realizzato che paradossalmente ci trovavamo, nonostante la sua condizione, ancora nel nostro ambiente, ossia tra ciclisti, ancora una volta in gara, entrambi spettatori, ma sempre di una gara ciclistica. Pazzesco!
    Questa consapevolezza mi ha dato la forza e il coraggio per salutarlo. Non mi ha riconosciuta subito, ero vestita normalmente, ma quando gli ho detto qual è la mia squadra, si è ricordato il mio nome. Abbiamo parlato per un po’. Ha una serenità che per me è addirittura inconcepibile. Non si è mai lamentato, neanche della sfortuna che l’ha colpito. L’ho trovato pieno di speranze di potersi un giorno rialzare, anche se oggettivamente speranze non ce ne sono, ma chissà.

    Questo incontro mi ha veramente fatto pensare per giorni e giorni. E spesso capita che il mio pensiero corra a lui. La sua forza d’animo sembra compensare la debolezza del suo fisico.

    Non parlerei di empatia perché non ho la capacità di percepire il suo stato d’animo, i suoi sentimenti, in quelle condizioni. Cioè se mi sforzo di mettermi nei suoi panni, questa è l’empatia, non sono in grado di condividere le sue sensazioni, il suo vissuto interiore. Io se fossi in lui sarei diversa.
    Lui è una grande persona.

(non verrà pubblicata)

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