Dulcis in mundo


Poiché questo blog non produce solo critica retorica o noiosa polemica, ma è permeato anche dalla cultura, oggi parliamo di un dolce tipico del carnevale.

I dessert del periodo carnevalesco traggono origine dalle frictilia degli antichi romani, nate alcuni secoli prima di Cristo. Per le Liberalia, le feste dedicate alle divinità del vino e del grano, i Romani friggevano nel grasso di maiale dei preparati di farina di mais e poi li ricoprivano di miele. Le Liberalia si celebravano il 17 marzo: è curioso scoprire che già oltre duemila anni fa questa data era festa “nazionale”.

Le lattughe, come si chiamano a Volta, sono uno dei dolci di carnevale più comuni in Italia. Di certo sono il dolce con il maggior numero di appellativi regionali. Paese che vai, nome che trovi.

A Volta, dicevo, e in molte parti della Lombardia, si chiamano lattughe. Il nome deriva dalla somiglianza con le foglie dell’insalata lattuga, a sua volta derivante dal latino lactuta (cioè, che secerne latte). Alcuni vedono la somiglianza con la gorgiera, detta anche lattuga, cioè con quella gala di merletto, quel drappo di tela che si portava un tempo sopra la camicia, al posto della cravatta. Ma in Lombardia, come in molte parti d’Italia, prendono anche il nome di chiacchiere, dalla sineddoche legata alla loro forma, simile ad una lingua.

In Veneto abbiamo le gale o i galani, proprio in riferimento alla sopracitata gala di merletto, che a sua volta discende dallo spagnolo gala (lusso, eleganza).

In Toscana la gala diventa popolarmente il cencio, perché il merletto appartiene ai nobili, mentre lo straccio è più vicino al popolo: dal latino cencium (pezzo di stroffa, straccio). Sempre in Toscana si chiamano anche donzelle, perché le donne amano spesso agghindarsi con merletti e pizzi vari, oppure crogetti (da crogiolare, cioè cuocere lentamente).

A nord, verso il Trentino e nel Friuli, semplicemente rimandando ad un’idea di friabilità e croccantezza, prendono il nome di cròstoli.

I Piemontesi e i Liguri li chiamano bugíe (in ligure böxie) o rosoni: il nastro di pasta appare avvolto in maniera concentrica, tondo come il piatto di un portacandele (bugia) o intricato come un rosone.

In Emilia Romagna, oltre a chiamarsi lasagne, dal latino lasanum (pentola, vaso), si trovano spesso con il nome di frappole, o sfrappole, dal francese frapper (battere, stendere la pasta). E così è a Roma o nel Lazio: le frappe.

Nel riminese si chiamano fiocchetti, dal latino floccus, a Reggio Emilia sono detti intrigoni (da intrigare, cioè avviluppare insieme) e a Piacenza sprelle. In Abruzzo si chiamano cioffe, da un termine greco che significa cosa leggera.

Al sud, in Puglia, il dolce prende il nome di pampuglia, ovvero truciolo (dal latino pampinus, tralcio di vite).

I fantasiosi campani invece, osservando la forma allungata della pasta che richiama l’invadenza della suocera, nonché i contorni frastagliati che ne ricordano la scontrosità, hanno coniato il nome di… lingue di suocera.

 

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