Archive for category Cose di paese

Lele… Il vecchio nome familiare

Per me il Lele è soprattutto la bellezza di un ricordo solido ed indelebile. Questa poesia riassume perfettamente il mio pensiero.

La morte non è niente

La morte non è niente. Non conta.
Io me ne sono solo andato nella stanza accanto.
Non è successo nulla.
Tutto resta esattamente come era.
Io sono io e tu sei tu
e la vita passata che abbiamo vissuto così bene insieme è immutata, intatta.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il vecchio nome familiare.
Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
Non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.

Sorridi, pensa a me e prega per me.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.
Pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto.
È la stessa di prima,
C’è una continuità che non si spezza.
Cos’è questa morte se non un incidente insignificante?
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Va tutto bene; nulla è perduto.
Un breve istante e tutto sarà come prima.
E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo!

Henry Scott Holland, Maggio 1910

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Caccia al tesoro, in palio uno sciroppo

“Il crimine contiene l’enigma, così profondo come la salvezza medesima“
(H. Miller)

Un venerdì sera, dopo le 18.30, mi è capitato di dover raggiungere urgentemente una farmacia e che la stessa fosse chiusa. Un biglietto perentorio recitava senza appello: “Non suonare, telefonare”. La virgola tra i verbi l’ho messa io, ipotizzando, con la saggezza di cui sono dotato, che il senso dell’avviso fosse quello di non suonare il campanello, ma di contattare la farmacia tramite cellulare.

In realtà, per come era scritto (“Non suonare …… telefonare”), il biglietto poteva anche esprimere un divieto multiplo sia di suonare che di telefonare, oppure una generica interdizione ai rumori (non fare baccano suonando la tromba o ascoltando telefonate ad alto volume).

Lasciamo perdere questi superflui cavilli interpretativi, e badiamo alla sostanza. Benché il farmacista abitasse sopra l’esercizio commerciale, dopo la chiusura l’invito era esplicitamente quello di non usare il campanello, ma di telefonare. Mancava tuttavia il numero da contattare e la copertura internet in quella zona era molto scarsa. Difficile dunque avere tutte le informazioni per obbedire all’ordine. Il chiaro significato del biglietto era dunque “Chiuso, ciao. Buona fortuna” .

Più in basso, un altro cartello mostrava gli orari della farmacia sostitutiva di turno. “Farmacia di turno XXX, aperta dalle 8 di venerdì, alle ore 8 del venerdì successivo”. Senza date e senza riferimenti a precise settimane di calendario, per me il senso letterale era “farmacia di turno aperta 24 ore”.

Impossibile, avrebbero scritto “sempre aperta”, o “aperta h.24”. Cerco dunque info su internet e trovo le medesime indicazioni, urlando al complotto.

Non mi resta che farmi mezzora di auto per recarmi alla sopra citata farmacia di turno XXX e scoprire che al venerdì sera anche questa era chiusa. Tuttavia un nuovo cartello, stavolta scritto meglio, rimandava ad una nuova farmacia di turno, come in un succulento enigma da risolvere.

Alla fine, dopo lotte con i draghi e sfide ai mostri alati, sono riuscito a trovare il mio sciroppo.

dav

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Luce su Lucia

Santa Lucia bella

dei bimbi sei la stella

pel mondo vieni e vai

e non ti fermi mai

(Filastrocca popolare)

 

Oggi Gabriele festeggia la sua prima vera Santa Lucia “consapevole”.  Non è il primo anno che allestiamo l’arrivo di Lucy e del suo asinello, ma è certamente la prima volta che ciò avviene nella piena e vigile cognizione del nostro bimbo, che ora di fronte all’evento inizia a capire, desiderare, attendere, fremere, gioire.

Abbiamo rispettato i dettami del rituale classico, o almeno… di quel rituale che si inscenava a casa mia e che mi persuado essere il più fedele alla tradizione.

Scampanellate e piccoli doni nelle sere precedenti, giusto per accrescere l’attesa e plasmare il mito. La sera del 12 dicembre, allestimento di libagioni per l’asinello (carote, pane, biscotti), per trasmettere bontà e magnanimità nei confronti del regno animale sempre vessato e servizievole. Pressioni psicologiche in stile Guantanamo per guadagnare presto il letto e addormentarsi nella trepidante attesa di un mondo nuovo all’indomani.

Una liturgia che si consuma pressoché uguale in tutte le famiglie di Volta, di Mantova, di Verona, poiché questo è quello che si conosce di Santa Lucia e della sua generosa folata di regali. Pochi invece conoscono l’origine della tradizione, che affonda i piedi un po’ nella storia e molto nella leggenda.

Siamo a Verona, in un inverno qualunque alla fine del XIII° secolo. Una grave epidemia colpisce gli occhi di molti bambini. La città, impotente di fronte agli insuccessi della medicina, chiede una grazia con un pellegrinaggio a piedi scalzi alla chiesa di Santa Lucia, protettrice degli occhi. Data la rigida temperatura, i bambini inizialmente si lamentano e rifiutano. I genitori promettono allora giochi e dolci, come ricompensa tangibile per il duro pellegrinaggio da compiere. La leggenda vuole che a processione conclusa, l’epidemia venga sbaragliata. Da allora inizia la tradizione di portare ogni anno i bimbi in chiesa il 13 dicembre, per ricevere una benedizione agli occhi. La sera prima rimane l’usanza di aspettare la Santa e, con essa, i doni che si portò appresso.

Santa Lucia in Svezia

Santa Lucia in Svezia

Dal ‘700 in Svezia si festeggia il giorno di Santa Lucia, come  passaggio delle ultime due settimane di Avvento. La mattina del 13 dicembre, la primogenita femmina si veste di bianco con una corona di rami e candele e porta  la colazione a letto ai genitori.

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Questione di dettagli

“A volte un dettaglio può distruggere una poesia”

(E. Ruggeri, Il futuro è un’ipotesi)

Quando ti dicono che basta poco per fare le cose fatte bene. Un piccolo, banale particolare per decretare la perfezione o il fastidio perenne. Da un insignificante gesto conclusivo, a volte può dipendere la gloria o la dannazione di un lungo lavoro. Puoi sforzarti di eseguire un’opera d’arte, un semplice lavoretto, un’imponente manufatto o un futile bricolage, ma quel che conta è il tassello conclusivo. Alla fin fine, quel che conta è proprio la fine. Ecco, io non potrei mai fare quello che chiude i tombini.

Dall’album” Fastidio”, tutte scattate tutte a Volta Mantovana

Dall’album” Fastidio”, tutte scattate a Volta Mantovana

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Ferragosto mantovano

Il folklore, nelle sue varie forme,

non deve essere concepito come una bizzaria,

una stravaganza o un elemento pittoresco,

ma come un’espressione spirituale da prendersi sul serio

(G. Gozzi, Superstizioni? Credenze, Ubbie, Incantesimi, Magie)

 

Ieri mi trovavo in piscina e non ho potuto fare a meno di ignorare la conversazione tra alcuni ragazzini vicini. Un gruppetto di quindicenni  stava organizzando l’imminente giornata di Ferragosto. Ad un certo punto il più loquace della schiera lancia, con claudicante cadenza mantovana, un’imbarazzante domanda: “Oh ragàs, ma che festa è Ferragosto? Seriamente, dai… che festa è? Cosa si festeggia?” Le ragazze ridono, i ragazzi rispondono oscenità prive di senso, ma nessuno azzarda la minima risposta. Anche l’artefice del dibattito desiste dal cercare argomentazioni pertinenti. Tabula rasa: il quesito rimane sospeso, astruso, irrisolto. Vien voglia di alzarsi ed improvvisare una sintesi, dall’Editto di Costantino ai giorni nostri. Ma fa troppo caldo, è quasi Ferragosto dicono.

Invece per i mantovani più colti, Ferragosto significa soprattutto “Fiera delle Grazie”. Oltre al celebre Santuario Mariano, il mantovano ruspante medio è legato alla tradizione del cotechino, che qui si degusta anche con trentacinque gradi.

Il Santuario della Madonna delle Grazie è celebre soprattutto per il suo coccodrillo imbalsamato, appeso al soffitto. Al di là delle tante e suggestive leggende, si tratta di un’offerta ex voto, probabilmente proveniente da qualche viaggio in Africa. Il coccodrillo, alla stregua di un serpente o di un drago, era simbolo del demonio ed il fatto di appenderlo al soffitto di una chiesa rappresenta inevitabilmente la vittoria di Dio su Satana, del bene sul male. Tuttavia, quello che mi ha sempre affascinato molto di questa chiesa non è tanto il suo coccodrillo, spauracchio affascinante di ogni bambino, quanto piuttosto i numerosi manichini che ne riempiono i lati. Fantocci di cartapesta, gesso, legno e altri stravaganti materiali dell’epoca, costruiti come preghiere ex voto, per ringraziare la Madonna delle svariate grazie ricevute. Ogni statua riporta un’iscrizione, la metopa, che ne chiarisce la ragione d’essere. Sotto l’impiccato, ad esempio, è scritto: “io veggo e temo ancor lo stretto laccio, ma quando penso che tu l’hai disciolto, ribenedico il tuo prezioso braccio”. Ogni manichino ha evidentemente una storia, ogni storia una suggestione. È il fantastico mondo di superstizioni, credenze, ubbie, incantesimi, magie e… religione.

manichini_grazie-di-curtatone

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Notte priva degli esami

Eravamo trentaquattro e adesso non ci siamo più e seduto in questo banco ci sei tu

(A. Venditti, Giulio Cesare)

È da questa canzone pubblicata su Facebook che è nato tutto. Un post di un’amica con un semplice tag è stata la scintilla iniziale. Poi la caccia serrata tra tutti contatti, la ricerca in rete di chi occupava l’ultimo banco, i giri di domande tra i conoscenti per scovare anche la secchiona della prima fila.

In pochi giorni ci siamo riusciti: dopo vent’anni abbiamo ricostruito buona parte del gruppo della Terza A. Insegnanti, bancari, consulenti e funzionari d’ogni risma e foggia, accanto a chi non ha ancora capito cosa fa nella vita. Il bello del Liceo Classico è anche questo… non sai mai come va a finire davvero.

È stato fantastico ritrovarsi. Una serata in bilico tra aneddoti e memorie, tra risate e malinconia, tra passato ignorante e senno di poi.

Personalmente porto nel cuore un ottimo ricordo di quegli anni, tra i più belli e spensierati della mia vita. Riviverli insieme è stato meraviglioso. Bravi ragazzi.

Beato tra le donne

Beato tra le donne

Gruppone

Gruppone

Maschi di mischia

Maschi di mischia

La lettura del Bestiario

La lettura del Bestiario

La Trinità

La Trinità

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Osteria tour 2

“Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta, ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta.

Qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore, e insegue una maturità, si è sposato fa carriera ed è una morte un po’ peggiore”

(F. Guccini, Canzone delle Osterie di fuori porta)

Secondo “Osteria tour” nel centro di Verona. Un pellegrinaggio in chiave allegorica, perdendosi nel centro storico con la scusa di un buon bicchiere. Chiacchiere, risate, spensieratezza… tutto quel che si confà ai buoni amici.

Ogni osteria, una stazione; ogni stazione, una foto; ogni foto, un’emozione. Come sempre, per ogni tappa ho annotato la sensazione che vino, luoghi e persone mi hanno trasmesso.

1 Le Piere – Primi schiamazzi e primi starnazzi: non è un’osteria, è un bar. Prosecco Bonfanti, per un’apertura leggera. Adagio… ma non troppo.piere

2 Osteria a la Carega – Lugana di facile beva, fagiana di facile bava. L’atmosfera s’accascia perché non c’è nulla da mangiare. Però nelle orecchie arriva un provvidenziale Van De Sfroos.carega2

3 Osteria le Petarine – Ovvero la piacevole sorpresa. Qui il tempo si è fermato e varcata la soglia si cambia dimensione. Da trascorrerci pomeriggi interi.petarine

4 Il carrarmato – Variazione al tema, con l’escursione in Sicilia. Etna di Planeta e tante ciarle. Probabilmente il vino migliore della serata.carrarmato

5 Osteria al Duomo – Lunga attesa, dieci minuti per un Valpolicella Superiore di dubbia moralità.duomo1duomo2

6 Enoteca Dal Zovo – Ammaliati più dai racconti della cameretta di Sixty che dal fiacco Merlot Elena Walch.zovo

7 Osteria del Bugiardo – Amnesia. Difficile ricordare.bugiardo

8 Vini Zampieri la mandorla – Filosofia, ciance e tanti vaniloqui. Ed è subito sera.mandorla

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Caro amico, ti scrivo

È bello scrivere perché riunisce le due gioie: parlare da solo e parlare a una folla

(C. Pavese, Il mestiere di vivere)

 

Ho chiesto a qualche amico di scrivere la prima cosa che vorrebbe dire al Lele. Senza alcuna regola.

Questo è il risultato dei loro contributi. Di questo pubblicamente li ringrazio.

“Caro Lele sono già passati 10 anni e sembra ieri che te ne sei andato… sarebbe stato bello discutere animatamente dei risultati di Inter e Juve … sarei stato preso in giro per il triplete del 2010 e poi mi sarei rifatto in questi ultimi anni… mi sarebbe piaciuto vedere la tua faccia all’arrivo di Tohir.. non oso pensare le battute sul suo conto 😂😂😂  sento la mancanza di queste piccole cose..  spero che lassù ti possa divertire come facevi tra noi.  Ciao Lele sarai sempre nei miei ricordi.

“Ciao Lele come va? Stai bene li?” E aspetterei la sua risposta! Gli direi “Ciao Lele è passato un po’ di tempo ma qui a Volta non ci siamo dimenticati di te, della tua esilarante voglia di scherzare, di stare insieme agli altri. L’incontro quotidiano inoltre dei tuoi amici, dei tuoi familiari per le vie del paese è motivo di ricordo e di preghiera per te e per noi, affinché da lassù tu sia ancora fiero di noi e noi possiamo ricordarti come sarai sempre, vivo in mezzo a noi.”

“Ringrazio spesso chi da lassù mi e ci protegge. Sono convinto che tra quelle persone ci sia anche tu… grazie, Lele!”

“Ciao bidone. Tutto bene?? È un po’ che non usciamo. Organizzo per sabato??”

“Ciao Lele! Quale commedia stai preparando adesso? Ti vedo bene come attore!”

“Grazie Lele…e lo sai che è un grazie dal cuore…L’arrivo di un bimbo è un dono…se poi è cosi desiderato, lo è ancora di più…Ero certa che il filo dell’affetto e dell’amore con chi se ne è andato non si interrompe…ma oggi lo sono ancora di più…Ti ho sognato ormai 8 mesi fa…eravamo in montagna di sera e passeggiavamo…mi sembrava la strada di Montagne…ma a dirti la verità ero cosi sorpresa che non la guardavo…parlavamo…e tu mi hai detto…che stavi bene…adesso eri sereno…il tuo sguardo era sereno…mi hai messo una mano sulla spalla…poi non ricordo cosa ci siamo detti…ma è stata una lunga chiacchierata….poi mi hai detto…salutami tanto Silvio e Massimo…e poi mi sono svegliata…Il giorno dopo ho scoperto di aspettare un bimbo…e credo che sia stato un segno del cielo per me…forse ti ha mandato il mio papà…per questo ti devo dire grazie…e grazie a Silvio che mi ha permesso di condividerlo…per me è una cosa preziosissima forse una delle più belle della mia vita… non credo sia una coincidenza…non ti sognavo da tantissimo tempo…forse anni…il filo dell’affetto resta anche se sei nella porta accanto… c’è e io sono certa che hai la mano sulla spalla di tanti tuoi amici…grazie Lele…di cuore…”

“Io ti giuro che la prima cosa che farei è un’asta del fantacalcio noi quattro”

“Caro Lele, il tuo ricordo mi accompagna ogni qualvolta percorro la strada che da Pozzolo porta a Roverbella, e la domanda finale è sempre la stessa: quale era il vero Lele? Quello che si prendeva gioco degli altri (che confesso talvolta mi metteva in imbarazzo) o quello che, quasi timidamente, raccontava alcuni suoi aneddoti o storie? Io amo pensare che dietro questa apparenza tu non eri altro che un ragazzo fragile con una grande sensibilità… e hai lasciato in tutti quelli che conoscevi un grande sorriso.”

“Minchia, anni e anni a seguire l’Inter e poi ti sei perso il Triplete. Mai na gioia…”

“Avrei un sacco di cose da dirti e da raccontarti. Dio solo sa quanto avrei voluto sedermi al banco del bar con te, con un buon bicchiere e un confronto schietto. Mi manca da morire questa cosa. Ho pensato a cosa dirti nelle notti insonni degli ultimi dieci anni. Ti ho cercato con la mente nei miei periodi più bui. Ho sperato di sognarti e di parlarti nel mondo irreale del sogno. Ma non ti ho mai trovato, tu non c’eri mai.”

“Di cose da dirgli ne avrei tante, anche se nn lo conoscevo come voi… Avrei voluto vederlo ubriacarsi ai nostri matrimoni (sicuramente l’avrebbe fatto) e cantare… sarebbe stato uno spettacolo vederlo arrabbiarsi per rilanci dell’ultimo minuto di Andrea all’asta del fantacalcio…gli direi che Francesco è interista come noi… Gli aperitivi a casa nostra sarebbero stato un appuntamento fisso del venerdì…magari Andrea l’avrebbe convinto a giocare a calcio, ma considerando che è lui il preparatore atletico avrebbe detto di no… E poi gli direi che gli voglio bene…
<<Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico>>.
(Albert Camus)”

“Quel giorno qualcuno ha pensato di strapparlo alla nostra compagnia per rallegrarne un’altra! Ogni volta che ci troviamo nessuno lo dice ma uno dei primi pensieri è come sarebbe bello averlo ancora con noi! Passa il tempo ma non dimenticheremo mai un grande amico! Ciao Lele!”

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Caro amico m’indigno…

Un caro amico mi inviato il suo sfogo per le reazioni delle gente comune ai sentimenti di insicurezza diffusa. Gli ho risposto d’istinto, senza pensare troppo al bon ton o alla grammatica e senza pretendere di pontificare. È solo uno spunto di riflessione di fronte ai mali gravi del nostro tempo: la superficialità e la pochezza d’animo.

In alcune zone del mio paese sono comparsi dei cartelli che indicano che si sta entrando in una zona di controllo del vicinato. In poche parole, gli abitanti di una determinata area, fanno squadra per comunicare attraverso i social (facebook, whatsapp, twitter, ecc.) la presenza di situazioni a rischio per la sicurezza pubblica.

Faccio due esempi. Oggi, alle 11.37 è arrivata la segnalazione (con foto) di un motorino lasciato fermo a 15 metri dalla casa di un partecipante. “Di chi è? Perché è lì fermo? Perché è stato abbandonato?”. Alle 11.41 (quattro minuti dopo) arriva la rettifica: “E’ arrivato il proprietario, lo conosco, era rimasto a piedi con la moto”. Ieri, invece, si discuteva di due persone, maschio e femmina, che, camminando fianco a fianco in una via, si fermavano di tanto in tanto a guardare le case. Probabilmente due ragazzi che stavano fantasticando sulla casa dei loro sogni (chi non l’ha fatto?).

A me sembra che proprio non ci siamo. La paura, mi pare, che faccia brutti scherzi. Non giudico e non critico, ognuno ha la propria storia ed esperienza. Quello che mi dà fastidio è l’approccio alla questione, quel partire già prevenuti nei confronti di quello che sta fuori dalla propria casa. Pensare che ci possa essere sempre qualcosa di pericoloso in quello che è oltre alle nostre quattro mura. Costruire dei castelli di paura (e di prevenzione) dove ci sono semplicemente fatti di normale vita quotidiana.

Io voglio uscire per strada e continuare a guardare l’altro prima di tutto con occhi di fiducia e questa iniziativa non aiuta, anzi, ci costringe alla diffidenza e alla ulteriore chiusura dentro casa. Forse la soluzione sarebbe diversa: uscire noi nelle strade per riappropriarci del nostro territorio, con i sorrisi e i giochi, i “buongiorno” e i “come stai”. Ma è meno impegnativo chiudersi dentro, nascondersi dietro ad una finestra, guardare il mondo con diffidenza. E mandare un whatsapp.

Il problema è che la gente non ha un cazzo da fare e deve crearsi degli artifici per fingere di essere viva. È la pochezza culturale di cui siamo vittime inconsapevoli (mi ci metto un po’ anche io) in questo mondo di merda. Non sono un sociologo, ma sta storia di anteporre i social alla vita vera è pericolosa. Bisogna creare il bisogno del social. Creare argomenti, polemiche, nemici… per poi fingere un impegno culturale, ideologico, politico, che in realtà non esiste. Sai che quando c’è un incidente al Piccard, fanno a gara per dare la notizia con foto su Facebook? É la convinzione che sia autopromozionale mostrarsi in prima linea, più avanti di altri rispetto ad un problema, un nemico, una gioia, un evento. Veri o finti che siano, poco importa: mi mostro davanti a tutti, perché così valgo. Ed è un circolo vizioso, perché poi si usa lo stesso metro per valutare gli altri. È impegnato perché condivide i post di Salvini o perché ha postato la foto dell’aperitivo a Roma. Figo.
Ma si perde di vista la realtà. È più importante far vedere che ci si è accorti per primi del motorino sospetto (e si prega il Signore che appartenga davvero a un ladro, a un terrorista o a un assassino), che cercare la spiegazione più logica che motivi la presenza del motorino stesso.
Condivido il tuo disgusto e la tua paura. Ho sempre snobbato questi atteggiamenti, ma ora li temo. Temo che mio figlio possa vivere in un mondo ancora più esasperato di questo.

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Il circo massimo

Circo. Luogo in cui è consentito a cavalli, pony ed elefanti di vedere uomini, donne e bambini fare i pagliacci

(A. Bierce, Dizionario del diavolo)

 

Venghino, signori, venghino!

Stiamo assistendo al circo dell’assurdo. Ho ascoltato un’amministrazione che raccontava di un bilancio profondamente in rosso. Ho visto, di conseguenza, la stessa mano aumentare pesantemente le tasse. Ho sentito poi che dopo appena un anno sono magicamente apparsi 800.000 euro. Ho letto che quegli stessi soldi saranno investiti per rifare un’altra volta (sic!) la pavimentazione delle stesse piazze, che pochi anni prima la stessa amministrazione aveva costruito e rattoppato.

E alla fine di tutte queste acrobazie, ho sentito anche il pubblico della cittadinanza applaudire. Cittadinanza ammaliata davanti al funambolo del trapezio, inebetita di fronte al domatore di leoni, allocchita dinanzi alle sparate del clown.

Standing ovation. Io di fronte a tutto ciò mi tolgo il cappello e mi inchino. La realtà del circo massimo supera ogni più allegra ed azzardata fantasia.

Circus

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