Pane, amore e fiorentina
(da un commento in rete al ristorante Bottega dei Portici)
Alcuni dicono che le colline dolci dell’appennino tosco-emiliano ricordano un po’ le nostre zone, ma non è vero. Altri dicono che è una “finta” Toscana, meno bella e meno seducente della Toscana ufficiale, ma non è vero neppure questo.
Le alture di Imola e le dorsali che segnano il confine tra l’Emilia Romagna e la Toscana, a me fanno venire in mente i partigiani. Quando vedo quei boschi, quei sentieri, quei poggi e quei crinali, penso subito alla Resistenza e alla guerra. Zone teatro di combattimenti, battaglie, persecuzioni, ma sicuramente anche zone buone per ambientarci romanzi e racconti gialli. Paesini come Brisighella o Palazzuolo meritano di essere visitati. Ma è anche bello vagare tra i boschi di lecci, alla ricerca della piccola cresta che schiude lo sguardo sulle innumerevoli valli.
E poi si mangia bene. Se qualcuno dovesse capitarci vale la pena fare una sosta all’enoteca Bottega dei Portici di Palazzuolo sul Senio. I comenti in rete sono spaventosamente estremi e ciò è dovuto al carattere poco diplomatico del padrone di casa. Però fa delle buone fiorentine e può offrire (quasi) qualsiasi etichetta.
La via delle Bocchette
(commento di un alpinista qualunque su www.vieferrate.it)
Finalmente.
Due splendide giornate d’agosto hanno coronato il sogno di percorrere una delle ferrate più belle delle Alpi: la via delle Bocchette sulle Dolomiti di Brenta.
Nella prima giornata, dopo aver lasciato l’auto a Vallesinella (mt 1500), abbiamo raggiunto il rifugio Brentei e da qui la via delle Bocchette Centrali (mt 2700). Il percorso, semplice nella sua architettura, regala panorami unici. Si è sempre a ridosso delle guglie dolomitiche, tra cengie esposte e ripide scale. Si passa ad un soffio dal Campanile Basso e la veduta sulle valli sottostanti non ha eguali. La ferrata è semplice e la percorriamo quasi tutta “in libera”, assicurandoci raramente al cavo d’acciaio. Il Rifugio Alimonta, ideale base d’appoggio per questo giro, è esaurito e dobbiamo ripiegare sul meno quotato Brentei, molto più in basso. La sera scivola comodamente tra salsicce con polenta e grappe all’asperula. La notte, nonostante le oltre sette ore di cammino, trascorre insonne. Complice l’altitudine e soprattutto i limitati comfort.
Ripartiamo di buon mattino dal Brentei (2100 mt) e alle 8 siamo già in direzione delle Bocchette Alte, che raggiungono i 3000 mt. Prima però c’è tempo per la ferrata Detassis, vertiginosa e tra le più impegnative della zona. Raggiungiamo le Alte dopo qualche sforzo di troppo perché il peso deli zaini inizia a farsi ingombrante. Ancora una volta ci aggiriamo tra guglie imponenti e pareti a picco, spigoli che strapiombano, paesaggi da cartolina e tante, tante scale. Sullo sfondo, il lago di Molveno appare piccolissimo. Scenari che lasciano esterrefatti. Quassù, almeno quassù, Dio sicuramente esiste.
La discesa dalla Bocca di Tuckett è un calvario, perché il ghiacciaio è ripido, non c’è traccia del sentiero e non abbiamo i ramponi. Ma è solo l’ultima odissea. Arriviamo alle auto dopo otto ore e mezza di tragitto. Siamo due stracci, ma la gioia dell’impresa compensa ogni sforzo. Ringrazio Simone Salvaterra, che ha accettato di venire sin quassù.
Da Pirlo a pirla
(M. Mari, in un recente post su Facebook)
Dice bene il Michele Mari. Ultimamente è di moda il “cucchiaio”, capace di emozionare in modi diversi il pubblico che assiste alla suspense del rigore. Come quello gelido e vincente di Pirlo o come quello clamorosamente goffo di Maicosuel, pochi giorni fa ad Udine.
Pochi sanno però che la regola del calcio di rigore, oltre al tiro diretto in porta, ammette anche il passaggio in avanti ad un compagno di squadra. Non se ne vedono mai, perché un’esecuzione del genere implica una grossa sincronia.
Però ne ho scovato uno eccezionale, che merita di essere rivisto anche a distanza di trent’anni.
1982, la partita è Ajax – Helmond Sport, del campionato olandese. Il grande Cruyff è sul dischetto pronto a calciare il rigore. Invece di tirare direttamente in porta, passa la palla all’accorrente Jesper Olsen che attira verso di sé il portiere dell’Helmond liberando lo specchio della porta. Olsen restituisce il pallone a Cruyff, che segna a porta vuota. Guardate qua:
A spasso sul Brenta
(I. Kant)
Altra bella gita, stavolta nel comprensorio delle Dolomiti di Brenta. Partenza da Andalo, dal maso Pegorar (1050mt) e arrivo alla Malga Spora (1854 mt). Il percorso si snoda tra un ripido bosco di larici secolari, una cengia esposta e panoramica e dei pascoli pianeggianti. Un’ottima escursione di media difficoltà, in luoghi non troppo frequentati.
Plauso alla mia assortita compagine che ha superato brillantemente la prova.
Sonno di una notte di mezza estate
Posted by Giullare in Cose di paese on 20 agosto 2012
(R. A. Heinlein – Lazarus Long l’Immortale)
A Volta Mantovana, in agosto, le temperature notturne sono poco clementi. Non ci sarà l’umidità di Comacchio, ma vi assicuro che è faticoso prendere sonno la notte. Se poi si dorme al secondo piano in “centro”, la vita è ancora più dura che nelle fresche taverne d’aperta campagna. Essendo poco più d’un villaggio poi, di notte le zanzare mordono e i cani abbaiano. Talvolta i cani mordono e le zanzare abbaiano, ma fa poca differenza.
Oltre al caldo però, le notti voltesi sono disturbate da un altro simpatico animale del buio: l’ambulanza.
Ogni notte, meglio se tra le 2.00 e le 3.00, da Sassello passa un’ambulanza a sirene spiegate. Le sirene sono spiegate, ma bisognerebbe spiegare anche a chi guida che alle 3 di notte in una via a senso unico, la necessità della sirena è praticamente nulla.
L’altra sera mi sono alzato (perché io la sento quando è ancora in Piazza Italia, dunque faccio in tempo ad alzarmi, guardarmi dieci minuti di “Un giorno in pretura”, mettermi il tight, pettinarmi e poi affacciarmi alla finestra coi pop corn) e l’ho guardata. Scendeva ai 15-16 km/orari e le ruote giravano più lente del lampeggiante.
Ora, delle due l’una: o la corsa era urgente, ma non mi spiego l’imbarazzante pigrizia della vettura (povero passeggero, sarà morto); oppure la corsa non era affatto impellente e dunque la sirena serviva solo a svegliare i pochi che riescono ancora a riposare.
Chi sa parli. Mentre chi può, continui a dormire.
Olandesi volanti
“Sono un giocatore normale che ogni tanto fa cose eccezionali”
(L’olandese M. Van Basten)
Nonostante l’asfissiante calura d’agosto, il vicino Baldo ha permesso ai miei cugini olandesi di conoscere la gioia della ferrata.
Partenza all’alba in direzione Avio, per la nota via Gerardo Sega. Avvicinamento lunghissimo e impegnativo che rende la meta poco ambita e poco affollata. Elena ed Erik salgono col piglio deciso di chi vuole conquistare la vetta. Nessuna insicurezza, tanta attenzione.
Alla fine “l’anello” che ci porta alla cascata Preafessa, al percorso ferrato e alla Madonna della Neve, dura sei ore e mezza: un’infinità, ma tanta soddisfazione per questa “prima volta”.
Gli olandesi appaiono soddisfatti del battesimo e rilanciano la sfida alle Bocchette per il prossimo anno. È un augurio che raccolgo volentieri. Bravi.
Buona forchetta – La Fragoletta
Posted by Giullare in Buona Forchetta on 10 agosto 2012
Uno dei migliori localini della città. Ci sono stato svariate volte, ma la recensione riguarda l’ultima cena, pagata per la scommessa persa da Rodeo.
Ambiente curato, da mantovabene ma non troppo. Piatti della tradizione mantovana, ma non solo. Ricette creative e ingredienti di prim’ordine. Quasi tutto buonissimo, anche se i piatti sono sempre gli stessi… Spiccano i bigoli al guanciale e aceto balsamico, i ravioli alle melanzane, menta e basilico, il carpaccio di manzo, la tagliata d’angus, le selezioni di formaggi. Buoni anche i dolci. Tante le etichette dei vini, soprattutto locali.
Antipasto, primo, secondo, acqua, Falcone della Prendina, dolce, amaro: 40 euro.
Voto: 7.5
Osteria La Fragoletta – Piazza Arche 5, Mantova
Elbachiara
(G. Panariello – Bagnomaria)
Il bello dell’Elba sono sicuramente le spiagge. Cavoli (che non è una casta esclamazione), Biòdola (che non è un tipo di foraggio), Fetovaia, Pomonte, Paolina, Galenzana, Sansone… sono per citarne alcune. Sabbia, sassi, scogli: all’Elba c’è tutto. Anche il mare.
L’acqua è limpidissima ed è un piacere fare il bagno. E poi si mangia divinamente. Su tutti, va annotata l’Osteria del Noce a Marciana Alta. Il paesello a 400mt d’altitudine è semplicemente fantastico e questo locale cucina in modo ottimo il pesce, con ricette innovative come il il tonno con pinoli, cannella e cipolla rossa.
Ringraziamo pubblicamente Annalisa e Federico per la generosa ospitalità.
Croce “verde”
Posted by Giullare in Cose di paese on 29 luglio 2012
(F. Tricarico – 3 colori)
Mi è capitato di andare al Pronto Soccorso della vicina Castiglione. Città dalla forte influenza bresciana, storico avanposto leghista in territorio mantovano.
All’accetazione mi ha accolto un infermiere rumeno. Fino a ieri pensavo che i rumeni facessero solo i muratori. Questo aveva sì l’aspetto del muratore, ma è parso abile e celere nel compilare le scartoffie a computer. Poi la visita di un medico siciliano, meno professionale ma comunque efficace. Sembrava Montalbano appena uscito dalla Trattoria di Caloggero: “Ah… cosa minchia abbiamo qua, ah?”
Infine e l’iniezione operata da un infermiere calabrese, rigonfio di Capicoddhu: “Si può hhirare sul hhianco?”
Ma i leghisti di Castiglione dove vanno a curarsi?
Un caffè forte
(E. Cioran – Squartamento)
Oggi mi sono tolto uno sfizio. Ho assaggiato il caffè più costoso del mondo, il caffè della scimmia, il Kopi Luwak.
Dicono che una tazzina possa arrivare a quindici euro. Forse in Finlandia, perché io qui l’ho pagato due euro e mezzo. Sempre ammesso che non mi abbiano cazzato su un Lavazza dek.
Comunque… il caffè della scimmia deve il suo nome al luwak, o “civetta delle palme”, un animale selvatico, a metà tra scimmia e panda, proveniente dall’Indonesia. La bestia è ghiotta di caffè, ma non mastica i chicchi. Mangia le bacche migliori delle piantagioni, digerisce i chicchi e li espelle nelle feci, senza trasfomarne le caratteristiche essenziali. I chicci vengono poi raccolti dal terreno, privati dell’involucro esterno e tostati. Proprio così: raccolgono gli escrementi, li puliscono e tostano il caffè. Fico eh?
Dicono che il gusto sia più dolce, perché gli enzimi presenti nel tratto intestinale del luwak distruggerebbero le proteine del chicco, riducendone l’amaro. Non so se sia vero. Io l’ho trovato molto buono e saporito, complice l’effetto psicologico indotto dal prezzo e dalla nomea.