La strega cattiva

“La strega fuggì felice: l’unico antidoto era il primo bacio d’amore,
ma credeva che credendola morta i nani l’avrebbero sepolta”

(G. e W. Grimm – Biancaneve)

Qualche giorno fa Travaglio ha indicato i motivi per cui la Bonino non potrà essere il nuovo Presidente della Repubblica. Fondamentalmente perché per dieci anni si è candidata col suo partitino, al fianco di Forza Italia sostenendo talvolta battaglie insostenibili. È vero, per molto tempo il Partito Radicale ha mostrato il tipico limite di chi, essendo troppo piccolo per contare qualcosa, si affida alle braccia di chiunque possa sollevarlo dal guano in cui è solito sguazzare. Pannella & Co avrebbero fatto qualunque patto con qualunque diavolo, pur di entrare dalla cruna del Parlamento. È questo un peccato inespiabile? Forse sì, ma onestamente abbiamo visto anche di peggio.

Travaglio poi tende a confondere la condotta radicale (voto in Vigilanza Rai per imporre la par condicio tv, approvazione dell’intervento in Iraq, negazione dell’arresto di Cosentino) con la morale personale di Emma Bonino.

Emma Bonino si batte da tempi non sospetti per quello in cui crede davvero. Senza proclami falsi, senza scandali personali, senza compromessi in nome del tornaconto privato. È esponente dell’unico partito italiano veramente europeista e veramente transnazionale ed è forse l’unica a non aver mai piegato la schiena di fronte alle stringenti pressioni del clero. Condivido poco del suo pensiero, ma stimo molto la sua caratura e la sua appassionata vita politica.

Navigata senatrice ed europarlamentare, Vicepresidente del Senato, Ministro, Commissario europeo…l’esperienza c’è.

In tutti i sondaggi che interpellano gli Italiani, lei appare sempre ai primi posti. Forse perché in molti, su quello scranno la vedrebbero bene.

Ma Emma Bonino non sarà mai Presidente della Repubblica. Perché non stringe l’occhio a nessun partito importante, perché detesta gli ambienti democristiani e le stanze vaticane, perché non ha nessun pacchetto prezioso da portare in dote.

E dunque al posto di questa terribile strega, attendiamo fiduciosi un fantoccio con accontenti tutti.

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Quello che la musica può fare

“Una musica può fare, cambiare nininni o nananna”

(M. Gazzè – Una musica può fare)

Per andare fino a Corte Maggiore, in provincia di Piacenza, a vedere un concerto di Max Gazzè, ci vuole del buontempo. Mi ci hanno quasi trascinato, ciononostante sono felice di esserci stato.

Pensi di conoscere due canzoni di Gazzè, ma poi man mano che il concerto prende quota, scopri che le stai canticchiando quasi tutte. L’orecchio associa i vari pezzi ai momenti della vita che più li ricordano. Adoro i testi, divertenti, ricercati e mai banali.

Qualcuno balla, qualcuno salta, qualcuno urla. Gazzè suona benissimo il basso e il concerto assume subito un’impronta originale. Acustica un po’ scarsa, che però non rovina l’atmosfera di allegra spensieratezza che si è creata.

Corte Maggiore, almeno questa sera, sembra vicinissima a noi. È questo, quello che la musica può fare.

Su_le_mani

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Buona forchetta – Germano Reale

Agriturismo disperso nella palude di Rivalta, tra canneti e cavedagne a poche centinaia di metri dal Mincio. Con la nebbia dell’autunno e dell’inverno sembra di stare in un libro di Baldini.

Nell’edificio completamente ristrutturato, campeggiano ovunque le immagini di germani reali. Una trentina i coperti.

La premessa basilare per entrare in questo locale è che non si può decidere il menu. Le portate sono uguali per tutti, a seconda della disponibilità degli ingredienti e dell’ispirazione del cuoco. I piatti seguono dunque la stagionalità dei prodotti, come dovrebbe avvenire ovunque nel mondo. Chi vuole scegliere “alla carta”, può evitare di entrare.

L’azienda coltiva ortaggi e alleva animali propri (pollame, suini, maiali). Ne scaturisce una cucina buona, assolutamente casereccia, che raramente però si rivelerà leggera.

Vini sfusi poco convincenti, meglio optare per qualche bottiglia.

Non ci si scappa: antipasto, due primi, secondo e dolce… 25€.

Voto: 7

Agriturismo “Germano Reale” – via Camignana, Rivalta sul Mincio (Mn)

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XXVI° Consiglio (26 marzo 2013)

Se volete sapere cosa si dice di voi in vostra assenza,
ascoltate ciò che si dice degli altri in vostra presenza

(J.B. De La Borde, Pensieri e massime, 1791)

Il Consiglio Comunale della scorsa settimana ha riguardato l’adozione di due Piani Attuativi per l’area adiacente a Via Sordello. Si tratta di variazioni che sanano alcuni vizi di forma evidenziati nei mesi scorsi e divenuti oggetto di accese polemiche da parte della Minoranza.

Minoranza che in fase di adozione di queste adozioni non ha proferito verbo.

Paradossalmente la Gazzetta, pur non essendo presente alla seduta, ci ha fatto un bell’articolo. Sballato, parziale, costruito probabilmente racimolando qua e là informazioni di terza mano, inviate da qualche consigliere deluso. Professionalità di provincia.

La Gazzetta scrive che l’Opposizione ha espresso voto contrario ai provvedimenti, in realtà si è astenuta. Fa poi la morale alla Maggioranza, elencando i consiglieri assenti ma dimenticando le defezioni della Minoranza.

A Francesco Romani, che firma gli articoli della Gazzetta di Mantova su questo argomento, suggerisco di partecipare al Consiglio per dare più attendibilità alle informazioni (qualcuno potrebbe addirittura leggerle). A chi gli passa il temino da pubblicare per conto terzi, suggerisco di non tralasciare troppi dettagli… c’è sempre qualcuno che poi pensa male.

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Compagnia delle Indie

Uè bèlo, sta mia far l’indiàn

(Autista di pullman in gita delle superiori,

quando portai sul veicolo lo zaino,

nonostante lui l’avesse esplicitamente vietato – primi anni ‘90)

“Fare l’indiano” significa fingere di non sentire o di non capire quello che viene detto, ordinato o consigliato. Si usa per additare il finto tonto, lo gnorry della situazione, colui che pure sapendo ci prova, perché “non si sa mai…”. L’espressione fa evidentemente riferimento allo stereotipo del pellerossa indiano d’America, che nell’immaginario e nel pregiudizio popolare mostra spesso un atteggiamento di generale indifferenza e apatia, proprio di chi non capisce quello che sta realmente accadendo.

Il modo di dire può forse applicarsi anche agli indiani non americani, alla combriccola dei marò, dell’ex Ministro degli Esteri (per conto) Terzi, e a tutta la carovana italiana della Compagnia delle Indie. Come italiani, abbiamo fatto un po’ gli indiani.

Innanzitutto abbiamo rimpatriato i due marò per farli votare alle elezioni politiche. Assodato che i loro due voti non sono risultati determinanti per la formazione del Governo, è bene ricordare che qualsiasi cittadino italiano può votare dall’estero, senza necessariamente rientrare in patria. Ma probabilmente la legge sul diritto di voto si applica a qualsiasi italiano, purché non sia un marinaio pugliese nato negli anni 1977-78, accusato di omicidio in India.

Non domi, abbiamo promesso al Governo indiano che i due marinai sarebbero rientrati in India. Poiché il Governo indiano non conosce il detto “fare promesse da marinaio”, si è fidato ciecamente, non immaginando che per rivedere i due soldati avrebbe penato le pene del Mahadma. Potevamo completare l’opera omnia, convocando i due marò per le consultazioni da Napolitano, giusto per prendere altro tempo.

A parte le varie mosse da avanspettacolo con cui abbiamo gestito la circostanza, spesso si tende a sorvolare un piccolo dettaglio della vicenda, ovvero che i due presunti patrioti integerrimi hanno innanzitutto ammazzato due pescatori senza motivo.

È comprensibile il tentativo di ricercare un giudizio partigiano e casereccio, ma questo non deve eludere il fatto che i due soldati debbano essere innanzitutto processati.

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Prassi istituzionale

Il medico accorto, se gli avviene di sbagliare la cura,
non farà male a cercare chi, chiamato a consulto,
lo aiuti a portare la bara del paziente”.

(Baltasar Gracián y Morales, Oracolo manuale e arte della prudenza, 1647)

 In questi giorni tutti si chiedono che Governo avremo. È facile. Nella migliore delle ipotesi un manipolo di personaggi pro tempore, probabilmente rispettabili e anche capaci, che per qualche mese raccoglierà il supporto del Parlamento su alcuni punti programmatici chiari, elementari, indiscutibili. Seguiranno elezioni nel giro di un anno. Nel peggiore dei casi nessuno appoggerà nessuno e, dopo un mese di paralisi e di Rigor Montis, avremo le elezioni di maggio.

Intanto Re Giorgio avvia timidamente le consultazioni. La prassi costituzionale prevede che il Presidente della Repubblica individui il potenziale Presidente del Consiglio, in grado di ottenere la fiducia dalla maggioranza del Parlamento e di formare un Governo.

Al di là delle pletore di illazioni, sensazioni, ipotesi e commenti (spesso banali) che accompagnano le cronache di queste circostanze, l’elemento più interessante è rappresentato dai tecnicismi e dalle regole che governano questi giochi. Mi annoia la domanda: “Bersani riuscirà a fare un Governo?”. Mentre mi intriga la circostanza che Grillo vada a parlare con Napolitano.

Ho studiato Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico, ma non riuscivo a spiegarmi perché Napolitano abbia convocato proprio Grillo per le consultazioni con il Movimento 5 Stelle. Perché lui e non i capigruppo grillini di Camera e Senato? Perché non invitare un esponente parlamentare del partito, preferendo un leader esterno ufficioso ad uno ufficiale?

La risposta è che questa fase della vita istituzionale del Parlamento è disciplinata soltanto dalla consuetudine e dal galateo istituzionale. Non esiste una normativa precisa in materia, la Costituzione non ne fa menzione. Il tutto è affidato alla sensibilità e al buonsenso del Capo dello Stato che potrebbe chiamare anche Pozzetto, Villaggio, Gigi e Andrea. Dire che non è una regola, ma solo una prassi significa accettare che Napolitano potrebbe anche farne a meno. Se ad esempio in questi giorni avesse voglia di starsene barricato in casa a guardarsi le repliche di Derrick su ClassTv, potrebbe dire alla signora Clio: “se suonano al campanello dì che non ci sono”, e nessuno potrebbe obiettare. Nei milioni di leggi italiane che regolano ogni aspetto della vita, non ce n’è una che sancisca con chiarezza inequivocabile chi deve parlare con il Presidente della Repubblica per fare il Governo. È pazzesco.

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Certificato Unico Dipendente

Riforma delle pensioni:
dal prossimo anno andrà in pensione
solamente chi ha capito come si fa

(D. Luttazzi)

Da quest’anno ai pensionati non viene più inviato il Cud a domicilio. La spending review impone di tagliare i costi di stampe e spedizioni. Giusto. E poi è inutile mandare il Cud al pensionato, tanto dopo un po’ muore…

Per il pensionato che volesse presentare la dichiarazione dei redditi 2013, ci sono diversi modi per ottenere il Cud. Lasciando perdere quelli più complicati come avere la posta elettronica certificata, oppure un master alla Columbus, un diploma a Masterchef o un negozio di slitte a Roccella Ionica, la via più semplice ed economica rimane quella di “stampare il proprio CUD direttamente dal sito istituzionale www.inps.it”. Uno pensa: “mi collego e stampo un file”. Più o meno. Per fare ciò, il pensionato deve semplicemente avere un PIN, un computer e una connessione, ed essere capace di assemblare le tre cose insieme, altrimenti iniziano i problemi.

– Occorre fare la domanda per avere il PIN. La domanda si fa on line, cercando bene su un link semitrasparente scritto in arial 6. Basta avere il codice fiscale a portata di mano e compilare un format inserendo un indirizzo mail e un numero di cellulare. Ogni pensionato, che durante il giorno ha tempo per cazzeggiare, ha per definizione un computer, una mail e un cellulare.

– Presentata la domanda, ti vengono fornite immediatamente solo le prime 8 cifre del PIN, mediante l’invio di un sms.

– Per avere le ultime 8 cifre del PIN devi attendere la spedizione postale a casa. Qua la spendind review chiude un occhio e ti inviano una bella letterina a colori con le cifre rosse e blu mancanti.

– Ricomposto finalmente il PIN (8 cifre dell’sms + 8 cifre colorate della lettera) sei pronto per ricollegarti e… richiedere un altro PIN. Non è infatti possibile ottenere alcun documento con il vecchio PIN (quello di mezzora fa), che serve solo per farsi dare un nuovo codice. Lo chiamano “controllo di sicurezza”, probabilmente perché c’è pieno di pensionati in rete che cercano di prendere fraudolentemente i Cud di altri pensionati. Le famose “prese per il Cud”.

– Una volta collegato con il nuovo PIN, devi cercare il tuo Cud. È semplice ed intuitivo, basta sapere che non devi cercarlo nella voce Cud, ma in “Fascicolo previdenziale per il cittadino / Modelli”.

– Poi, se ti è arrivata la pensione da poco, ti devi comprare una stampante e stampare il pdf (pensionato, sai cos’è un pdf?)

Io l’ho fatto per i miei genitori e vi assicuro che è più semplice ottenere una concessione edilizia in Nuova Zelanda.

Questo processo dovrebbe snellire la burocrazia, ma al contempo incrementare i suicidi dei pensionati.

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PM

Sì, bello il Project Management, però noi finiamo già in ritardo i nostri progetti,
se ci mettiamo anche a pianificare e controllare… non li finiamo più

(da un blog, in rete)

Per me la sigla PM ha sempre avuto il significato di “Piccolo Missionario”. Almeno da quando all’elementari il parroco mi iscrisse contro la mia volontà a questa rivista per ragazzi delle Edizioni Paoline. Non che fossi obbligato a leggerla, ma mi dava  sui nervi che a settembre regalassero sempre il diario Piemme. Io volevo un diario diverso, magari del Milan o della Ferrari, ma i miei genitori non me lo compravano dicendo: “ma dai, hai già quello bellissimo del Piemme…”. Probabilmente anche per questo la mia infanzia è stata difficile. Certamente per questo l’immagine della sigla PM mi ha sempre lasciato nello sconforto più totale.

Anni dopo, al lavoro, mi hanno proposto l’esame per la certificazione internazionale di PM. Stavolta significa Project Manager, e si fa sul serio. Millantano fin da subito che il 50% dei candidati non supera l’esame. Libri in inglese, qualche formula matematica, un po’ di dura teoria. Seguono mesi di studio. Non un’impresa, ma certamente un grande sforzo. Non impossibile, ma complicato. Non esageriamo, un medio esame universitario.

Il giorno dell’esame, mentre raggiungiamo la sede della prova, incrociamo un’anziana donna che porta la spesa recitando al contempo delle preghiere. Come se anche quel PM fosse davvero un tutt’uno con le Edizioni Paoline e con chi le governa.

Mentre ci incrocia recepiamo chiaramente l’invocazione: “e splenda ad essi la luce perpetua…

Ci interroghiamo, per decidere se si tratti di una premonizione di gloriosa luce eterna o piuttosto di un segnale d’inevitabile e imminente trapasso.

Ringraziando il cielo, dunque, è andata bene.

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La storia (siamo noi)

Un caro amico mi ha sottoposto questa citazione, evidenziandone la profonda attualità. Agghiacciante.

Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuol rappresentare.”

E. Morante – 1945

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Ruzz…oloni lessicali

Le mie parole son capriole
palle di neve al sole
razzi incandescenti prima di scoppiare
sono giocattoli e zanzare, sabbia da ammucchiare

(S. Bersani – Le mie parole)

Giusto perché non seguiamo le mode, a casa mia è arrivato Ruzzle. Pazzi.

Potrebbe dimettersi il Papa che non se ne accorgerebbe nessuno, siamo impegnati a giocare a Ruzzle. Mi sento idiota, ovviamente.

Per i pochi digiuni, ricordo che Ruzzle è un videogioco comunemente diffuso tramite un’app di smartphone. Gareggiando on line, bisogna riconoscere il maggior numero di parole possibili, all’interno di una scacchiera di lettere. Dicono che derivi dal comune gioco da tavolo “Il Paroliere”, ma mi sembra che nei libretti di enigmistica l’avessero inventato parecchio tempo prima. Ricordate il gioco “trova la parola”, dove bisognava cerchiare insieme le lettere che componevano un termine in italiano?

La storia dell’applicazione Ruzzle è un po’ curiosa. Nasce all’inizio del 2012, ma viene subito snobbata. A fine anno però si registra un repentino incremento di download in un piccolo villaggio nei pressi di New Orleans, dove c’è un college. Velocemente, in poche settimane, la mania degli studenti si propaga nel pianeta.

La scorsa notte ho dormito pochissimo, interrogandomi sull’utilità di un gioco come questo. È innegabile la sua funzione sociale di aggregazione, condivisione, divertimento… Ma può uno strumento del genere migliorare anche la comprensione della lingua italiana? Si può, seppur per gioco, migliorare il proprio personale vocabolario, ampliarlo, affinarlo? Ruzzle può evitare i ruzzoloni lessicali?

Sicuramente strumenti come questo possiedono un’innegabile valenza linguistica. Ingegnarsi per trovare la parola più strana o più lunga, vedere le possibili soluzioni, è certamente un miglioramento per il linguaggio limitato di molti di noi. Le stesse considerazioni però si possono fare per gli sms e le email. Se consideriamo questi strumenti “scrittura”, allora possiamo dire che scriviamo molto di più che in passato.

Ma sulla qualità nutro ancora grossi dubbi.

 

ruzzle

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