Con le lattine, tutto scorre

Rotola, rotola, rotola,

strada facendo rotola,

gira, rimbalza e rotola

come il mio amore inutile

dove mai finirà

(G. Meccia – Il barattolo)

Si chiude ufficialmente oggi una fase della mia vita. Ho cercato fino all’ultimo di rimandare la questione, ma il mio era solo accanimento terapeutico.

Nell’ennesima ricerca di spazio domestico, ho fatto quello che mia madre mi dice di fare da almeno quindici anni. Ho eliminato l’intera collezione di lattine. Ho azzerato anni e anni di meticolosa custodia, quasi duemila pezzi, tutti diversi, ognuno con una storia particolare. Le prime lattine prese alle feste dell’Acr, poi quelle setacciate nei cestini di mezza Europa e i souvenir dai viaggi di amici e parenti. Le più belle, certamente sono quelle delle birre belghe e dell’edizione Coca-cola della Bundesliga; le più brutte rimangono quelle del te e delle birre del Lidl.

Le ho accartocciate una per una, per il gusto di vedermele ripassare tra le mani e per il dovere morale di assumermi in toto la paternità della loro morte. In pochi istanti ho ricordato le vacanze con gli amici, spese per riempire i sacchetti di barattoli da riportare a casa. Le vecchie Pepsi, le introvabili San Pellegrino azzurre, i pompelmo Misura e le indimenticabili One&One. Ma anche la celeberrima dr. Pepper, la Spezi e le acque minerali americane. Per ultima, ho schiacciato con le mani una IsoRiver, zuccheratissima bevanda tedesca fuori produzione da parecchi anni.

6 Commenti

Traviati

Dicono che la Traviata sia stata uno splendido spettacolo. Non ho partecipato per problemi dell’ultim’ora, ma era mia fervida intenzione assistervi. Fondamentalmente perché un evento simile era davvero la “prima a Volta”. E poi perché la musica classica in una serata d’estate, e in una cornice così suggestiva, ammaliano a prescindere. Ci sono stati, riferiscono, spiacevoli problemi nell’assegnazione dei posti e nella gestione delle file. Capita, soprattutto le prime volte, ma va comunque segnalato a chi si prende l’onere e l’onore di un’organizzazione come quella.

Il punto vero è un altro: può o meno un Comune di settemila abitanti permettersi di spendere 30.000€ per un evento del genere?

La spesa è tanta e sarebbe stato perlomeno opportuno cercare di rientrare un po’ col debito. È assurdo pensare che la vendita dei biglietti potesse, da sola, ripagare i costi. Ma aggiungere qualche migliaio di euro per pubblicizzare la serata attraverso agenzie specializzate non sarebbe stato male. Non si può pretendere che Voltapagina e la mail della biblioteca raggiungano chiunque. Per fare uno spettacolo “grande”, ci vuole la pubblicità “grande”. Altrimenti si rischia il buco nell’acqua.

Detto ciò, non è obbligatorio che un evento culturale debba ripagarsi da solo. Un Comune dovrebbe destinare parte delle proprie spese alla cultura e alle manifestazioni. Mediando e usando equilibrio, è ovvio. Non sperperando, né tentando l’avido guadagno, ma usando il semplice buonsenso.

Si può essere d’accordo o meno, ma la Traviata a Volta è stata un evento innovativo e di alta caratura. Discutibile nel contenuto, migliorabile nella forma. Certamente meglio degli insensati “Racconti di Moda”. No?

Traviati dalla Traviata

4 Commenti

Caccia alle streghe

Angelino Jolino Alfano, che di (in)giustizia se ne intende, dice che “non si può fare la caccia alle streghe”.

Non è ben chiaro se voglia limitare le licenze dell’attività venatoria o se sia più preoccupato per la specie “strega”, in evidente via di distinzione.

Ultimamente, tutti i ministri e i sottosegretari accusati  sono stati prima difesi a spada tratta, poi costretti a goffe dimissioni. La cricca degli appalti, invece, è sempre più simile ad un’associazione massonica a delinquere. E la macchia, come il petrolio nel Golfo del Messico, s’allarga di giorno in giorno. Streghe, orchi, mostri infernali.

Per i numeri che emergono, quest’epoca di corruzioni e malcostumi non ha precedenti. La “manipulite” della Prima Repubblica diventa una bazzecola al confronto.

Sull’argomento Voltaire diceva che “le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. Io inizierei con un bel falò.

Nessun commento

Ferrata delle Taccole

Un’escursione nata all’improvviso, solo per non accettare l’invito del Cesco ad un sabato di canyoning con l’incubo di dover viaggiare con due macchine in tre (occorre lasciare un auto al ritorno e andare con un’altra alla partenza).
Io, il Cesco e Gianluca… parecchie imprese comuni alle spalle. Con loro la montagna è una bellezza; innanzitutto perché hanno un senso dell’orientamento e una conoscenza geografica migliori dei miei, e poi perché con loro condivido da sempre esperienze, viaggi e aneddoti piacevolissimi.
Partenza alle ore 7, ma dopo qualche chilometro mi accorgo di aver dimenticato i calzini. Qualche rimprovero e timida ramanzina (“sei sempre il solito”), poi inversione di marcia… Vabbè.
Per la prima volta nella vita, con loro due ho scelto io l’itinerario: cima Telegrafo e ferrata delle Taccole.
Inizia il tormentone: un sole cocente, che brucia le spalle e che ogni quarto d’ora fa sbottare il Cesco: “E pensare che potevamo essere al fresco, nell’acqua”.
La ferrata è dritta, fa quasi impressione e si snoda seguendo una fessura verticale della parete, da cui esce una gradevolissma aria fresca.

I compagni di viaggio e la fessura gelida della parete

Il Cesco sta davanti; Gianluca chiede di stare in mezzo, ma la sua è più una paranoia psicologica: continua a blaterare “guardate che non riesco”, “attenzione che io non sono allenato”, “ ma io non sono capace”, “ecco, adesso dove vado?”. Poi sale come tutti quanti, da perfetto finto piagnone.
La via è impegnativa e abbastanza tecnica, ma tutto sommato piuttosto breve: in un’oretta siamo fuori.

L'inizio della ferrata

Un leggero pasto al Telegrafo e subito la proposta del Cesco di raggiungere Cima Valdritta, vetta del Baldo. Serve un’altra ora di cammino, ma le nostre perplessità sono legate al fatto che la nuova metà ci porterà lontano dal sentiero di ritorno. Riusciamo a malapena ad obiettare che lui è già partito. Lo seguiamo e dopo un’ora raggiungiamo la cima, che il sottoscritto conquista per primo.

Cima Valdritta

Il tempo di una foto e ci muoviamo velocemente per la discesa, attraverso un ripido sentiero che spacca le ginocchia. Siamo costretti a “tagliare” per i prati che costeggiano la strada, improvvisando un percorso di fortuna.
Alla fine, dopo sei ore e mezza di cammino, una birra in compagnia suggella la magnifica giornata.

3 Commenti

Io, loro e Lori

Osannare Lori, dopo il fallimento del Mantova? Si può.

Un anno senza stipendi (degli operai prima, dei giocatori poi), la retrocessione, la mancata iscrizione alla Lega Pro, lo scioglimento della società. La Giuliana De Sio mantovana, che portò il Mantova in B e che volava avida di gloria sotto la curva, ora è l’ombra di se stessa. Sbatte le ali fino all’ultimo, ma solo in una grottesca inquietudine, nel vano tentativo di rimettere a posto le cose. Cose irrimediabilmente storte, dunque impossibili da raddrizzare.

Se fossi un ultrà, sarei molto arrabbiato. Invece per i tifosi l’onta del fallimento societario e l’ingiuria di aver fatto evaporare una squadra intera, sembrano cose da nulla di fronte a qualche annata discreta nella serie cadetta.

Loro, i tifosi, non sembrano affatto scossi e anzi… Sentitamente ringraziano.

Giuliana De Sio

Nessun commento

Predestinato

Ieri il mio fabbro mi ha fatto notare che Brancher, oltre ad essere un encomiabile ed inossidabile ministro è anche un verbo francese. Significa: allacciare, attaccare, collegare. Sempre il fabbro, certosino osservatore, mi anche fatto notare che più o meno lo stesso verbo, “brancà”, esiste anche nel nostro dialetto. Significa prendere, accaparrare, afferrare. Qualcosa, insomma, che è molto vicino all’appropriazione indebita e alla ricettazione. Invece “banchèr” è il banchiere, con il quale si possono allestire loschi affari e diabolici patti. Un destino segnato dal nome, insomma. Poveretto, non è tutta colpa sua.

1 commento

Five lands

Lo dicono tutte le guide: il miglior modo per visitare le Cinque Terre è il treno, oppure il battello. Noi siamo partiti in auto.

I cinque paesini colorati, appesi agli scogli e nascosti tra le insenature, sono raggiungibili anche dai tanti sentieri che scendono dal crinale. Crudezza montana, fascino marino. Sembra un po’ di essere tra le viuzze in riva al Garda, ma appena si esce dai centri abitati ci si accorge che l’ambiente è tutt’altro. Salite e discese, scalinate lunghissime, terrazzamenti ad ogni altitudine. La Liguria, e le Cinque Terre, sono essenzialmente questo: verticalità su ogni versante.

Vernazza, Manarola, Monterosso, Corniglia e Riomaggiore, in rigoroso ordine di bellezza, sono riusciti a conservare un ottimo equilibrio urbano. Gli scempi edili, che in genere affondano le periferie dei centri storici, qui non esistono. Qualche terrazzone abnorme s’affaccia sul porticciolo, ma poco più. In generale i piccoli centri sono rimasti se stessi.

Vale la pena imboccare i sentieri aspri e anche gettarsi tra le acque del mare cobalto. Fatica della salita, ozio del bagno. Ma da queste parti è soprattutto doveroso gustarsi del buon pesce, perdendo lo sguardo nel mare e assaporando un Vermentino dei Colli di Luni a temperatura artica. Consiglio il ristorante Marina Piccola, direttamente sul porticciolo di Manarola.

Manarola ai tempi del Vermentino di Luni

Barche a Vernazza

Geometria claustrale a Genova

Geometria claustrale

Ciclo sospeso

Liquidità

1 commento

Ciao Pina

La Pina ci ha lasciato stamattina, dopo un anno di tribolazioni ed inutili attese. Voleva solo arrivare al traguardo del matrimonio dell’Andrea, ma non ce l’ha fatta. Speravamo e forse ci siamo illusi, come quando il cuore non vuole fare i conti con la ragione.

Anche se ultimamente si era aggravata, lasciando intendere quello che sarebbe accaduto a breve, la sua scomparsa è di quelle che lasciano sbigottiti e stupefatti. Si sapeva, ma ugualmente non ci si dà pace. “Non mi sembra vero” è l’unico commento banale che mi viene in mente.

Per me è stata la madre di un amico carissimo, ma anche la “madre” di molti di noi. Ricordo la sua casa come un porto di mare e la sua ospitalità come un gesto naturale del suo essere “mamma”. Negli anni in cui bazzicavamo dal piazzale della chiesa alle case di ognuno, il suo soggiorno col tavolo rotondo era sempre pronto a riceverci ed ad accoglierci. Si è sempre fatta in quattro per il suo Andrea e per tutti noi, che vivevamo all’ombra. Si è sempre dannata l’anima per cucinare suntuosamente o solo per offrirci un rapido boccone.

L’ultimo bellissimo ricordo che ho di lei, è la sera della finale mondiale del 2006. Una cena a casa sua, così come era stato per la finale del ’94 e per altri mille appuntamenti sportivi. Poi la vittoria, i baci, gli abbracci e le immancabili battute.

La Pina era una donna di grande spirito e di innata verve. Aveva sempre l’ultima parola e anche oggi sicuramente risponderebbe con un sorriso beffardo al nostro malinconico “ciao”.

L'ultima foto scattata alla finale mondiale del 2006

 

1 commento

Siamo usciti subito…

Girone proibitivo, lo sapevamo fin dall’inizio. Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia… esistono forse squadre più forti?

Vi do dieci alibi che ascolteremo al bar, per evitare di accettare il fatto che uno juventino dall’ego smisurato abbia messo insieme una squadra di bardotti e si sia fatto ridere dietro anche dalle peggiori casalinghe slovacche.

1- “Siamo usciti subito perché mancava Cassano”. D’altronde se doveva sposarsi… neanche Rodella è andato al Mondiale.

2- “Siamo usciti subito perché mancavano Miccoli e Balotelli” e Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea…

3- “Siamo usciti subito perché i giocatori guadagnano troppo”. Eh, e allora?

4- “Siamo usciti subito perché si sono infortunati Buffon e Pirlo”.

5- “Siamo usciti subito perché dieci milioni di padani gufavano contro.

6- “Siamo usciti subito perché Marchisio giocava fuori posizione”. Anch’io penso che quello non era il suo posto e che dovrebbe giocare in carcere.

7- “Siamo usciti subito perché forse c’era un gol sulla linea che ho visto un’immagine che poteva sembrare che era quasi dentro…

8- “Siamo usciti subito perché guarda che la Slovacchia sembra sembra… ma invece è fortissima”.

9- “Siamo usciti subito perché Marchetti non ha esperienza”. Ma dai? E cosa fa di mestiere? La guardia giurata?

10- “Siamo usciti subito dal mondiale, ma Berlusconi ci ha detto anche che siamo usciti dalla recessione”. Peggio dubitare della prima o credere alla seconda?

Nessun commento

Nel mezzo del cammin di nostra vita

L’inizio della Divina Commedia è una perifrasi dei trentacinque anni. Riflettevo la notte scorsa, o meglio: elucubravo, sul fatto di essere giunto al fatidico giro di boa. Almeno in senso dantesco.

Questo effetto poetico rende i trentacinque anni migliori dei trentaquattro o dei trentasei, restituendo dunque al festeggiato una discreta consolazione. Per la proprietà commutativa però, dicono i matematici, la somma non cambia.

Al di là del fatto che potremmo discutere per ore sul concetto di “metà ” della vita, e sull’idea di “presunzione di metà”, uno comunque si chiede che cos’abbia combinato fino a questo punto. Ben poco, in effetti. Rimane l’altra metà, dicono gli ottimisti. Ci sentiamo a settanta per il primo consuntivo.

6 Commenti