Archive for category Sport

Vaio stretto

“Una montagna è come l’istruzione: quanto più alta l’ascesa, tanto più esteso il panorama”
(C. Barnard e C.B. Pepper, Una vita)

Le chiamano Piccole Dolomiti perché queste montagne, nel loro piccolo appunto, ricordano la bellezza unica delle Dolomiti, con guglie, pareti scoscese e gole profonde. È proprio in una di queste gole nei pressi del Pasubio che prende forma la semplice ferrata del Vaio stretto. È di difficoltà tecniche elementari, ma le scenografie che regala meritano il viaggio. Dal buio del profondo vaio si transita attraverso uno stretto pertugio e si giunge sino alla sommità della cima del Cornetto, lambendo le strade e le postazioni militari della prima guerra.

Vajo

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Uomo modello

“L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”
(G. Armani)

La nota marca di abbigliamento sportivo Nordsen ha assunto un modello d’eccezione. Spulciando tra i seguaci di facebook, limbo in cui i segreti non sono ammessi e tutto è alla mercé di tutti, hanno trovato una mia vecchia foto sulle Dolomiti di Brenta. Poiché indossavo un capo Nordsen, mi hanno chiesto il permesso di entrare nel wall of fame della pagina ufficiale. Questo è il risultato. Sono pronto per le sfilate.

Modello

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Terzo tempo

“Ho messo la testa dove gli altri non osavano mettere nemmeno i piedi”

(J.P. Rives – Terza linea della Francia dal 1975 al 1984)

Il bello del rugby è che è l’unico sport di squadra profondamente autentico, di regola il più etico tra le discipline non individuali. Finzione, isteria, ozio, indolenza, lussuria, avidità, analfabetismo…sono i sette vizi capitali che si trovano a tutti i livelli del calcio professionistico. Qui non ci sono.

Il test match Italia – Sudafrica, però, è stato un’altra cosa. Quando la nazionale di rugby scende in campo, migliaia di cialtroni pensano che sia come guardare Buffon e Balotelli. In queste occasioni la ritualità dello sport anglosassone lascia il posto al fracasso dello stadio di calcio. Il pubblico delle tribune non sa distinguere una mischia da una touche, ma ogni momento è buono per sostenere l’inesauribile ola che passa dagli spalti. Snervante.

Viene spontaneo il paragone con l’RDS Arena, tempio sacro del rugby di Dublino. Là, un anno fa, il silenzio dei calci piazzati faceva accapponare la pelle, qui il frastuono impedisce ogni conversazione. Là gli inni incitavano le squadre ad affondare la baionetta nell’avversario, qui si canta la canzone dei mondiali 2006 anche quando entra il massaggiatore.

Per fortuna Padova è stata anche altro. Un lungo aperitivo in centro ed una degna cena ci hanno fatto dimenticare l’impalpabile partita. Per fortuna che esiste il terzo tempo.

Piloni di mischia

Piloni di mischia

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Apparizioni

Il posto fisso per tutti è un’illusione

(E. Fornero)

L’ultimo esonero in casa Inter ha riportato in auge il vecchio adagio dell’agognato posto fisso, sempre più chimera dei tempi moderni.

Pensando alla girandola di destituzioni nerazzurre, ho cercato un po’ di numeri. Impietosi. Nel ventennio dell’era Moratti si sono avvicendati 19 allenatori (22 se si contano i rimpatri).

Scorrendo la lista si trovano guru incompresi e meteore in caduta libera, ma poco importa. Una panchina che sembra la hall di un motel a ore, dove in tanti vanno e vengono e in pochi lasciano il segno.

Non c’è una morale conclusiva, né un finale ad effetto. È solo che questa cosa fa un po’ sorridere.

Dal 1994 ad oggi, in ordine di apparizione:

Ottavio Bianchi
Luis Suárez
Roy Hodgson
Luciano Castellini
Luigi Simoni
Mircea Lucescu
Luciano Castellini
Roy Hodgson
Marcello Lippi
Marco Tardelli
Héctor Cúper
Corrado Verdelli
Alberto Zaccheroni
Roberto Mancini
José Mourinho
Rafael Benítez
Leonardo
Gian Piero Gasperini
Claudio Ranieri
Andrea Stramaccioni
Walter Mazzarri
Roberto Mancini

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Grole run

Se desideri vincere qualcosa puoi correre i 100 metri.
Se vuoi goderti una vera esperienza corri una maratona

(E. Zatopek)

“Grole run” sarebbe una mia allitterazione idiota per indicare la 34° Passeggiata dei Colli Morenici partita domenica dalla località Grole. Siccome nella vita bisogna romanzare un po’ tutto, fa brutto dire che si è partecipato ad una “passeggiata”. D’altrocanto anche lo speaker continuava a parlare di “entroterra gardesano”, ma eravamo solo a Solferino, posto dimenticato da Dio e dall’Apam.

Ad ogni modo, domenica abbiamo percorso questi dodici chilometri di corsa, in un ambiente sorprendentemente bello. Non solo campi e cavedagne, ma soprattutto colline, crinali, borgate sconosciute, boschi e rivoli nascosti…. Oltre duecento metri di dislivello.

Complimenti agli organizzatori dell’evento, per la minuziosa attenzione che hanno riservato al tracciato. E anche al ragazzino che ci ha fatto la foto: il pilastro dell’Enel non ha corso, ma lo consideriamo comunque uno di noi.

Per la cronaca ho battuto Bertagna, precedendolo di qualche minuto sul traguardo.

GroleRun

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Ferrata Favogna, per ringiovanire

La vecchiaia è un alibi

(L. Scutenaire, Mes inscriptions)

La ferrata Favogna si trova in Val d’Adige, poco dopo Mezzocorona. Ottima da fare in giornata, magari evitando i momenti più torridi dell’estate.

Bellissimo l’incipit verticale della via che a metà si perde in un lungo e noioso sentiero boschivo. La via ferrata poi riprende e nel complesso raggiunge gli 800 mt di dislivello; l’uscita è in un bellissimo e vasto bosco di larici, buono per ambientarci qualche romanzo fantasy. Il giro è di circa quattro ore e l’unica vera pecca è che l’arrivo del sentiero non coincide con il punto di partenza, quindi occorre lasciare l’auto ad indebita distanza.

Alla fine della ferrata si trovano due discreti approdi gastronomici: il rifugio Plattenhof e il Kirche. Noi abbiamo provato le fettuccine ai funghi e lo stinco della prima meta. Non eccelsi, ma sempre meglio di una rustichella a Paganella Ovest.

Prima di riprendere l’auto, mentre mi bevo il meritato birroccio della staffa, una signora ottantenne attacca bottone e mi chiede informazioni sul percorso appena compiuto.

E la ferrata? È difficile?”, mi domanda.

No, signora, non è difficile, è solo un po’ lunga.”

Eh… io non l’ho ancora fatta, quindi non so come sia.

Non si preoccupi signora, ha ancora tempo.

Alla partenza

Alla partenza

All'opera

All’opera

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Cesare Brandelli

“Ave, Caesar, morituri te salutant”

(Ave, Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano)

Chissà se prima di Italia Uruguay, qualcuno ha rivolto al nostro Cesare Prandelli il celebre saluto che i gladiatori indirizzavano all’imperatore prima dell’inizio delle lotte.

È curioso. A sentire Svetonio, il motto non sarebbe stato utilizzato tanto dai gladiatori, quanto dai condannati a morte. Ciò renderebbe il parallelismo con la nazionale ancora più calzante.

Dopo l’amara sconfitta, tutti lì a commentare cosa non è funzionato, a trovare il capro espiatorio, a spiegare cosa abbiamo sbagliato. Col senno di poi, insomma, avremmo vinto il mondiale. Un’Italia finita a Brandelli, che nel popolo bue ha diffuso più malumore della Tasi o della disoccupazione. Perché si può perdere il lavoro, ma per carità… non una partita con l’Uruguay.

Della penosa uscita di scena mi dispiacciono due cose. La prima sono tutti quei bambini che sanno ancora nutrire un entusiasmo genuino di fronte ad una partita della nazionale. Saperli delusi mette la depressione. La seconda è che tutte le tragedie del nostro paese perdono improvvisamente interesse. Una riforma becera del Senato, ad esempio, suscita meno interesse di un tweet di Balotelli.

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Fucine

Senti ma chi se ne frega, il mondo è un parco giochi.
Uno lo sa da ragazzino, ma poi strada facendo tutti se lo scordano.”

(da un dialogo del film Yes Man)

Il Parco delle Fucine di Casto è un ambiente escursionistico delle Prealpi bresciane, a pochi chilometri dal Lago di Garda. È costituito da sentieri e percorsi di trekking, ponti tibetani, canyon, cascate e piccoli laghetti. Nelle vicinanze ospita anche un vecchio distretto industriale, composto da fucine, forno fusorio, mulino, etc… La cosa più strabiliante di tutte però, sono le tredici ferrate, che si snodano sulle pareti del parco. In totale raggiungono i 1700 metri di lunghezza e i 500 metri di dislivello, ma possono essere affrontate anche separatamente. Tecnicamente sono le più difficili che io abbia mai fatto. Brevi, comode da raggiungere ma estremamente difficoltose. Il sito vieferrate.it le definisce implacabilmente “Difficili con alcuni passaggi molto difficili”. Davvero un bel posto, ad un tiro di schioppo da casa.

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Nella mischia

“Volevo solo sfogarmi e bere qualche birra con gli amici.
Invece il rugby mi ha tolto dalla cattiva strada, mi ha dato tutto”

(S. Chabal)

Sugli spalti di una partita di rugby i tifosi sono tutti intenditori. Questo è un dogma degli sport che vanno di moda: siccome la maggior parte della gente non li conosce, è assolutamente  fondamentale per la propria autostima fingersi navigati intenditori. Se dalla curva non vedi nemmeno dove è finita la palla, c’è sempre qualcuno che urla “No, non di lì, apri il gioco dall’altra parte”.  Se l’arbitro fischia qualcosa che non capisce neppure lui, c’è sempre un panzone barbuto col cappello da giullare che grida: “Ovvio dai… IN AVANTI!” Se c’è un placcaggio appena appena rude e l’arbitro non interviene, tre quarti della curva inveisce: “È fallo! Espulsione!

È un universo strano quello dei tifosi di rugby. A Cremona ho visto pensionati con la faccia dipinta di bianco, rosse e verde, senza dignità alcuna. Ho visto bambini più piccoli delle trombe che reggevano tra le mani. Ho visto donne che sapevano distinguere il drop dalla touche, Furno da Allan.

Come richiesto dal protocollo del rugby, la trasferta cremonese ha regalato un ottimo terzo tempo: Trattoria dell’Alba a Piadena, per la quale seguirà degna e appropriata recensione.

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L’”importante”… è partecipare

Prima giornata di Serie A, buon campionato a tutti. Un caro amico mi ha segnalato un bellissimo articolo di Tommasi Pellizzari, dal titolo Frasi fatte, retorica inutile, parole tuttofare. Al via anche il campionato del bla bla bla, apparso sul Corriere del 22 agosto. Fotografa alla perfezione il connubio tra il mondo dello sport e la lingua italiana.

 

Supercoppa italiana e preliminari di Champions League ci hanno dato la prima rinfrescata. E adesso torna il campionato a completare il ripasso del vocabolario parallelo delle nostre giornate (e serate) di spettatori: quello del calcio parlato. Un vocabolario limitatissimo, spesso surreale e per questo irrinunciabile che ha una precisa e semplicissima modalità di creazione e trasmissione.

IN PRINCIPIO – Tutto comincia con un giornalista che utilizza una determinata parola o un determinato modo di dire, spesso nella convinzione di essere forbito ed elegante. Il calciatore e l’allenatore, in genere (e quasi mai per colpa) sono cresciuti senza mai potere studiare troppo (a differenza, in teoria, dei giornalisti) e quindi senza poter cogliere l’assurdità quando non l’inappropriatezza di un determinato termine. E così lo ripetono a loro volta nelle interviste (o nelle telecronache, per i calciatori che hanno la fortuna di diventare seconde voci), autorizzando gli utilizzatori iniziali e quelli successivi a convincersi che quel modo di esprimersi sia corretto, efficace e pure raffinato. Il risultato finale, di cui si fatica a rendersi conto per la decennale abitudine delle nostre orecchie, è una lingua di assurdità omerica, cioè con un linguaggio formulare tutto suo, fondamentalmente riassumibile in due modalità principali.

DUE GRUPPI – Da un lato l’utilizzo continuo di parole ormai sparite dal linguaggio di tutti i giorni. Se ci esprimessimo così in famiglia o sul lavoro – giornalisti sportivi a parte – chi ci ascolta ci chiederebbe se ci ha dato di volta il cervello. Dall’altro lato, trionfano termini e locuzioni che avrebbero un preciso significato e che, invece, da un momento all’altro vengono usati in modo inspiegabilmente errato. Nonostante questo, l’uso improprio di questi termini viene accolto con una sorta di entusiasmo e replicato all’infinito.

NEORETORICI – Il primo gruppo, piuttosto numeroso e noto come quello dei neoretorici, è popolato da utilizzatori massicci di parole il cui impiego persiste ormai solo nel calcio. Ne fa parte per esempio il rammarico. Termine usato sempre, senza alcuna eccezione, al posto di dispiacere. Chi di noi tornerebbe a casa la sera dalla moglie (o dal marito) dicendosi «rammaricato» per il mancato aumento di stipendio? Chi spiegherebbe che «resta il rammarico» per un viaggio rimandato all’ultimo momento o per un arrosto riuscito male? Eppure, calciatori e allenatori non sono mai dispiaciuti, solo rammaricati. Quando si è dispiaciuti ci si lamenta. Che cosa si fa, invece, quando si è rammaricati? Facile: si recrimina. Per un rigore non dato, per qualsiasi decisione arbitrale subìta, per un infortunio. Ma con una raccomandazione, meglio ancora se un’esortazione: che la cosa per cui si recrimina «non sia un alibi». Non una scusa o una giustificazione, sempre un alibi. Anche perché il rischio è che poi i giocatori si facciamo influenzare, e alla gara successiva che cosa potrebbe succedere? Che qualcuno di loro sia evanescente. Anche qui: quante volte vi è capitato di definire così un vostro collega pigro o che tende a imboscarsi quando il lavoro si intensifica? Quando mai vi è venuto in mente di dire che il ragazzo o la ragazza che state corteggiando (e che tende a sfuggirvi) è appunto evanescente? Ma pazienza, l’importante è che al momento di stringere non vi presentiate con atteggiamento rinunciatario. Meglio, molto meglio, essere sempre manovrieri, termine con cui nessuno definirebbe mai un imprenditore particolarmente creativo (o anche semplicemente una squadra di pallacanestro…). Se poi si riesce a dimostrarsi addirittura volitivi, si rischia addirittura di finire sugli scudi… Può sembrare un’operazione molto snob scrivere di tutto questo, ma non è il caso di farne una questione di blasone, favoloso termine – insieme all’aggettivo «blasonato» che ne deriva – indefettibilmente utilizzato per indicare una squadra di grandi tradizioni vittoriose (ma non un giornale, un marchio industriale, ormai nemmeno più i casati nobiliari…).

NEODISTORSORI – Nessuno snobismo, per carità. Al massimo l’intenzione di far partire una piccola riflessione su come (diavolo) parliamo quando parliamo di calcio, sperando che – direbbero i nostri eroi – questo articolo sia un buon viatico per il dibattito, così come una vittoria lo è per il prosieguo del cammino in campionato o un buon primo tempo lo è per un successo finale. E così, un passo dopo l’altro, eccoci arrivati al secondo gruppo di parlanti (i neodistorsori), che usano ripetutamente parole che avrebbero un determinato significato ma che invece hanno finito per diventare dei passepartout per situazioni che nulla avrebbero a che vedere con il loro utilizzo originario. Negli ultimi tempi la regina di queste parole è «importante». Una volta c’era un giocatore importante, una partita, al limite una squadra. Ora è importante quasi tutto: una situazione di gioco, come per esempio una punizione importante; un’occasione da gol importante; un momento della partita importante; un ruolo in campo importante. Ma anche il ritmo: «Abbiamo dato un ritmo importante alla partita», ha di recente spiegato un portiere di serie A. Meglio di lui ha fatto un medico sportivo, l’anno scorso, intervistato sulle trasferte invernali di Milan e Inter in Russia e Azerbaigian: «Sono viaggi importanti», disse per rendere l’idea del rischio-infortuni.

TUTTOFARE – E poi c’è il «dove», l’avverbio di luogo che (probabilmente per necessità di sintesi) ormai accoglie dentro di sé ogni possibile costruzione di frase. Secondo gli storici della materia, l’inventore della formula è un ex campione del mondo del 1982 che, raccontando come gli capitava di passare il suo tempo libero, parlò di «un gruppo di amici dove usciamo spesso a cena». L’involontario anacoluto ha fatto parecchio scuola, come dimostrano tre fra gli infiniti esempi forniti solo dalla scorsa stagione: da «Si crea un 3 contro 2 dove non lo stanno gestendo molto bene» sentito in una telecronaca a «Io penso al settore giovanile, dove avevate detto che puntavate su una squadra giovane e poi l’avete costruita per vincere subito» di un’intervista a un allenatore nel dopopartita. Per chiudere con un altro allenatore, che così ha spiegato una sconfitta: «Oggi è una giornata dove potevamo avere i denti, a un certo punto son caduti e abbiamo azzannato il pane». O forse è di una vittoria che stava parlando. Ma forse.

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