Ritorno alla vigna
A 65 anni, avevo ancora i brufoli”.
(G. Burns)
“Persona che nel prossimo futuro si troverà senza stipendio, senza ammortizzatori sociali e senza pensione. Persona che è stata incentivata a lasciare volontariamente il posto di lavoro, magari perché l’azienda era in crisi”.
Stando alla definizione di Wikipedia, tecnicamente Papa Ratzinger può dunque definirsi un “esodato”.
Sulle sue dimissioni, tutti parlano di grande responsabilità, perché con “un gesto di coraggio ha saputo rinunciare al proprio beneficio personale, in favore del bene della Chiesa”. Non ho dubbi sul fatto che se fosse rimasto al suo posto “avrebbe compiuto un grande sacrificio, anteponendo il bene ultimo della Chiesa al proprio interesse privato”. Insomma, era impossibile che sbagliasse. Infallibilità papale.
Razzy in pensione non giocherà certo coi nipotini. Forse però “l’umile servo nella vigna del Signore” incontrerà la sua gemella. La cosa che più ricorderò del suo pontificato è quella contadina galiziana nella vigna, che sembra davvero la gemella del Papa.
Latte alla ginocchia
(P. Cevoli)
Gli allevatori e i contadini sono una razza strana. Gente schietta, con un senso pratico e un cervello veramente “fino”. Genuini, e depositari delle cose semplici. Ma per via di attaccamento ai soldi… sono una roba brutta. Sempre lì a piangere miseria e poi girano con dei Jonh Deere che sembrano ville in Val Gardena. Diciamo che, loro malgrado, non sempre risultano simpatici.
Nei giorni scorsi, ad esempio, è emerso l’ennesimo conto da pagare per le quote latte. Robe da matti.
Un po’ di storia. Nel 1983, per paura che un’eccessiva produzione determini il crollo dei prezzi del latte, la Commissione Europea stabilisce delle quote nazionali e delle multe per gli inadempienti. Gli Scandinavi sono subito ligi e prima di mungere una vacca, telefonano al commercialista. In Italia, quasi chiunque sfora il patto e dopo dieci anni l’ammontare delle multe è di due miliardi di euro. È l’inizio della fine e l’Europa è già parzialmente cremata.
Nel 1996 giro di vite (o di vitello). Il Governo propone una specie di sanatoria: il conto del latte l’avrebbe pagato lo Stato, cioè anche i “non allevatori” (impiegati, operai, casalinghe… che in effetti il latte lo bevono), ma da quel momento in poi si sarebbe fatto sul serio e gli allevatori birichini avrebbero pagato di tasca propria. Niente da fare. Pantalone continua a fare credito a tutti: moltissimi allevatori perpetrano nello sforamento delle quote e lo stato paga il conto all’Europa.
Nei giorni scorsi la Corte dei Conti quantifica che dal 1996 al 2010 le multe ammontino ad altri due miliardi e mezzo di euro. Totale: quattro miliardi e mezzo. Soldi che gli allevatori disubbidienti avrebbero dovuto restituire alla collettività, e invece…
Ma oltre ai soldi delle multe pagate all’UE, nel tempo si susseguono sperperi burocratici per gestire ricorsi amministrativi, agenzie di riscossione, procedure di verifica e normative per le proroghe. Il latte non finisce in un caseificio, ma in un casino. È l’anarchia totale.
Nel 2009, ci pensa il Ministro dell’Agricoltura Zaia a mettere ordine, risolvendo il problema alla radice. Priva Equitalia del potere di riscossione e gli allevatori, immersi nel latte fino al collo, applaudono.
E qui che il debito diventa a lunga conservazione.
Dalla bidella alla brace
Posted by Giullare in Cose di paese on 29 gennaio 2013
(S.O. Skardy – Bideo)
Possiamo anche fare gli ipocriti e dire che la bidella ha la stessa importanza della deputata. Possiamo anche dire che le bidelle dovrebbero stare a Palazzo Madama e le senatrici relegate nelle portinerie delle scuole elementari. Applausi.
Probabilmente è vero che la bidella è mediamente più dignitosa della parlamentare, ma sul fatto che al vertice dell’impiego pubblico ci stia il politico di professione e alla base il custode della scuola, non ci piove.
Insomma il lapsus della Finocchiaro (“Qua stiamo parlando di parlamentari della Repubblica, non stiamo parlando di bidelle”) è una gaffe fino ad un certo punto.
In ogni caso, io ho scarsi ricordi delle bidelle. Tranne di due.
La prima è la bidella delle medie, la Maria. La Maria me la ricordo perché era la moglie del Giovannibidello (si scrive tutto attaccato, perché si pronuncia sempre così, anche adesso che ha superato gli ottanta). Marito e moglie, entrambi bidelli. Credo che il Giovannibidello fosse l’abbreviazione del soprannome “Giovanni del bidello”, perché il Giovanni è figlio d’arte, anche suo padre faceva il bidello. Col Giovannibidello abbiamo fatto tantissime raccolte della carta da riciclare per la parrocchia: lui guidava il furgone e noi caricavamo la carta, passando di famiglia in famiglia. Ero uno spettacolo, perché ci lasciava sedere nel cassone del camion anche se era pieno zeppo di carta. In realtà qualche perplessità sul livello di sicurezza gli sorgeva, ma poi lo convincevamo che non sarebbe successo niente e lui bofonchiando diceva: “Va bè, però attaccatevi bene, che se cadete per strada vi lascio lì”.
La seconda bidella della mia storia si chiamava Maria anche lei, ed era al liceo. Era alta un metro e trentacinque e pesava approssimativamente centotrentacinque chili. Un figurino. Non avevo un particolare feeling, ma la ricordo bene perché si arraffò le galline che portammo a scuola in occasione del I° aprile. Avevamo pattuito con l’allevatore che se gliele avessimo riportate integre dopo lo scherzo, non le avremmo pagate. Ma la bidella Maria se le portò a casa. Sono certo che le galline finirono alla brace. Non potemmo né rivendicarle come nostre, perché avremmo ammesso pubblicamente di essere gli autori dello scherzo, né convincerla a regalarcele. Fummo costretti dunque a pagarle per intero all’allevatore. In quel momento insultai la bidella molto più di quanto ha fatto la Finocchiaro.
I viaggi della speranza
Non so se sia più fastidioso pensare a Corona latitante a Lisbona o a Scilipoti candidato in Calabria. Il primo che cerca di far parlare di se il più possibile prima di andare in carcere, il secondo che si augura di rientrare in Parlamento dalla porta di servizio. Si chiamano “viaggi della speranza”.
Le vicende di Corona e Scilipoti sono ormai note e disgustose, non vale certo la pena ricordarle. Nell’immaginario comune sono diventati il paradigma classico della nefandezza italica. Presunti vip dalla facile commozione (celebrale), protagonisti tv che giocano a fare le vittime del sistema, falsi personaggi in cerca d’untore.
Oltre che dalla passione per i viaggi, i due sono accomunati anche da una discreta cultura. Tra le svariate finezze e sobrietà, dicono che Corona si sia tatuato sull’addome Leonardo di Noblac, perché è il protettore dei carcerati (forse sperando di essere invulnerabile alla gabbia?). Leonardo di Noblac però è anche il protettore dei minatori, professione che molti di noi auspicherebbero con gioia per il buon Fabrizio.
Scilipoti invece “stà con gli italiani”, come scrisse a suo tempo sul suo sito, forse pensando che l’accento sulla parola “sto” potesse rafforzare l’enfasi con cui condivide le sorti del popolino e non l’ignoranza che alberga nella sua mente parlamentare.
Super Size Me
(C. Lamb, Saggi di Elia, 1823)
L’ultima volta che ho mangiato al McDonald’s è stato nel 1999. Quella volta avevo vomitato la cena e da allora: mai più cibo Mc. È una mia regola.
Ieri sera ho visto il film documentario Super Size Me, che racconta l’esperimento di un regista americano, nutritosi per un intero mese solo da McDonald’s.
Nel 2002 due ragazze citano in giudizio la catena di fast food, per aver provocato la loro obesità. Mancano però le prove di questa relazione tra cibo servito e obesità acquisita, e la causa penale si dissolve.
Il regista Spurlock decide allora di testare la questione. Ha 33 anni e prima di iniziare gli viene certificata una piena salute ed una perfetta forma fisica. Pesa 88 kg ed il suo colesterolo è di 165 mg/dl, quando generalmente la soglia critica è attorno ai 200 mg/dl.
Durante il mese dell’esperimento, Spurlock impone alcune precise regole:
- mangiare esclusivamente tre pasti al giorno da McDonald’s (colazione, pranzo e cena) per trenta giorni consecutivi;
- assaggiare almeno una volta ogni opzione dei menu;
- non acquistare nulla che non sia sul menu;
- accettare di prendere il menu Super Size (quello più grande) solo se invitato a farlo;
- effettuare solo 2500 passi al giorno, che corrispondono alla percorrenza quotidiana di un americano medio.
Vomita il secondo giorno. Ingrassa di cinque chili nella prima settimana. Attorno al ventesimo giorno avverte la tachicardia. Si sveglia di notte con l’affanno respiratorio. Secondo il medico che lo visita, “il fegato si sta trasformando in paté”, e gli viene consigliato di interrompere l’esperimento per evitare irreversibili problemi cardiaci.
Spurlock termina vivo la prova. Dopo trenta giorni è ingrassato di 11 chili, il suo colesterolo supera i 250 mg/dl. Durante l’esperimento ha anche provato improvvisi e repentini cambi di umore, oltre a disfunzioni sessuali certificate dalla sua compagna. Ha manifestato forte stanchezza, che gli rendeva difficile persino salire le scale all’interno della sua abitazione.
Spurlock, con una dieta ferrea disintossicante, impiega oltre un anno per recuperare il suo peso e per riacquistare i valori del sangue precedenti all’esperimento.
Adesso andate a festeggiare con i vostri figli da McDonald’s. Oddio, esiste anche gente che ci va quotidianamente e che non è ancora morta. È il caso di Don Gorske, un americano che dal 1972 ad oggi ha consumato oltre 23.000 Big Mac (una media fantastica, di oltre due panini al giorno). Lui è ancora vivo, ma non ha una bella cera.
Personaggi reali
(L. Ligabue – Dove fermano i treni)
La notizia che arriva da Pechino riguarda la condanna a morte di un serial killer, accusato di aver fatto a pezzi le sue vittime e di averle vendute al mercato locale come “carne di struzzo”.
Come sempre, la tragicità della vicenda è mitigata dalla lontananza siderale del suo svolgimento. Rimane infatti vero l’assurdo assunto secondo cui: più una tragedia è distante da noi, meno grave è il suo impatto. Riflessione banale e dunque mediocre, me ne rendo conto.
La notizia dell’omicida e dell’arte culinaria dei resti però, mi ha riportato alla mente due vicende italiane, molto simili e molto vicine ai nostri luoghi.
Leonarda Cianciulli, meglio nota come la saponificatrice di Correggio, bolliva i cadaveri delle proprie vittime per ricavarne sapone e con il sangue preparava gustosi pasticcini da offrire alle amiche. La famiglia Da Tos, invece, rivendeva i tranci delle vittime nella macelleria di Alleghe. Ottimizzazione nei costi di smaltimento.
Vicende angoscianti, che però suscitano morboso interesse. Questi personaggi sono perfetti per scriverci libri o costruirci narrazioni thriller. E questo infatti è ciò che è stato abbondantemente fatto.
Evidentemente non c’è nessuna morale finale, nessuna chiusura. Continueremo a leggere di notizie simili e a romanzarne gli accadimenti, compiacendoci dell’inquietudine che suscitano.
Chirurgia estesticola
In Italia siamo abituati ai lifting dei personaggi famosi. Ho visto le ultime foto di Naomi Letizia: a 22 anni sembra Patty Pravo. Ogni vip dello spettacolo, o della politica, che si rispetti deve giocoforza ricorrere al restauro coatto. È normale, è tutto l’ambiente che li spinge a farlo: si chiamano “incentivi alla ristrutturazione”.
Ma in America fanno di più, molto di più. George Clooney ha dichiarato di essersi sottoposto al lifting dei testicoli. A Hollywood, dice, lo fanno tutti. Un bell’uomo, aitante e famoso, che ricorre alla chirurgia “estesticola” per mostrare più vigoria, o per far bella figura con se stesso al bidet. Gli Americani intendono quello, quando parlano di “diritto penale”?
Facebluff
Come ogni capodanno, cerco di trattenere i conati di vomito. Non tanto per i bagordi e le gozzoviglie (ormai sempre più rari) del cenone e dei suoi strascichi, ma per gli auguri impersonali, retorici e angoscianti che inevitabilmente giungono un po’ da tutti. In questo panorama, Facebook spadroneggia alla grande, con immagini e frasucole che meriterebbero di entrare nel collezionismo più morboso. Inutile dire che scagliarsi contro il mezzo, o contro chi lo frequenta, è sbagliato in partenza. Facebook è innanzitutto quantità, immondizia, carriolate di materiale inerte e inutile. Chi ci entra lo sa bene. Mi ricorda quando da piccolo andavo con mio padre al Trovatutto di San Biagio: lui cercava materiale per la pesca, ma io sapevo che c’erano anche i giocattoli. Si chiamava Trovatutto anche per quello, perché entravi per cercare qualcosa e uscivi con tutt’altro. Facebook è così.
Non potendomi dunque lamentare per gli auguri sbrodolanti e seriali, nei giorni scorsi mi sono limitato a scovare una bufala. Da uno dei contatti mi arriva l’ennesima lamentela demagogica sui politici mangioni. Eccola.
Mi salta subito all’occhio una cacofonia di numeri. 257 voti favorevoli più 165 voti astenuti farebbero un totale di 422 senatori. Ma i senatori sono 315. Vado sul sito del Senato e nell’elenco dei Senatori, non c’è alcun Cirenga. La bufala è servita.
È sufficiente cercare su google il fantomatico disegno di legge Cirenga per capire che il bluff è già stato scovato da gente più veloce e più sveglia di me.
Queste robe non le sopporto, dunque il mio è un augurio di moralità: evitate di inoltrare appelli falsi, belli da leggere, appetibili da condividere, ma pur sempre infondati. Al giorno d’oggi basta pochissimo per verificare la fondatezza di una notizia, ma ancora meno per propagare idiozie. Un po’ più di buonsenso. E Buon 2013!
Saranno famosi
Posted by Giullare in Cose di paese on 26 dicembre 2012
(U. Foscolo – Ultime lettere di Jacopo Ortis)
A Volta ci sono tre modi per diventare famosi.
Metodo del “campione” rappresentativo. Consiste nell’eccellere nello sport, diventare un vero e proprio campione e rappresentare il proprio paese a livello nazionale. È quello che è successo a Matteo Cressoni, che ha vinto un campionato italiano automobilistico e si è conquistato una pagina intera su wikipedia. Questo metodo è efficace, ma necessita di un piccolo, quasi trascurabile, requisito: è necessario possedere del talento innato.
Metodo del “ventennio sfascista”. Consiste nell’amministrare in maniera dittatoriale per circa vent’anni. Prevede il culto della personalità ma, contrariamente al primo metodo, non necessita di alcun talento di base. Anzi, meno talento si ha, e più semplice diventa il raggiungimento dell’obiettivo. Qui il problema è un altro: per i prossimi lustri ci sono già parecchie prenotazioni e la lista d’attesa è molto lunga.
Metodo della “copertina del Time”. Consiste nel veder pubblicato un articolo su di sé, in uno dei volantini mensili della Minoranza. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il “volantino dei Minoritari”, da non confondere con i Minorati, non è un depliant pubblicitario sulla frustrazione e sulla mancanza di vigoria. Si tratta di un periodico d’alto livello, a tiratura limitata, basato sull’approfondimento culturale delle biografie più illuminate. Apparire qui equivale a conquistare una copertina del Time.
Io sono riuscito a raggiungere la fama grazie al terzo metodo. Un’intera pagina sul mio personaggio non si era mai vista! Non so se merito tanto, in ogni caso: grazie. Ringrazio tutti coloro che l’hanno permesso e vorrei dividere il successo e la celebrità con chi ha creduto in me in tutti questi anni.
Mi rimane però un dubbio: in tutto l’articolo che mi celebra non si smentiscono le mie due affermazioni fondamentali. Cioè:
1- che la Minoranza ha espressamente richiesto di non scrivere più su Voltapagina, nonostante un costante coinvolgimento da parte della Redazione;
2- che la Minoranza stessa ha protestato contro le vicende Vannini e Farmacia di Cereta, senza mai presentare interrogazioni scritte al Sindaco su questi argomenti.
Il resto è fuffa.
A PARER MIO – Rumore sui colli
Posted by Giullare in Cose di paese on 21 dicembre 2012
Per qualche tempo, questo giornale ha cercato di proporre ai cittadini l’”Arena del dibattito”. Un contenitore semplice, dove Amministrazione ed Opposizione hanno cercato di confrontarsi pubblicamente, talvolta imbeccate dalle domande del Direttore, sugli argomenti più caldi dell’agenda comunale. Sembrava la maniera più diretta e trasparente per offrire al pubblico i propri punti di vista, assicurando al pubblico stesso la garanzia parallela dell’”altra campana”. Gli argomenti del dibattito, suggeriti in Commissione, sono sempre stati condivisi preventivamente dai rappresentanti di entrambe le fazioni, in modo da non imporre nulla a nessuno.
Ciononostante, da qualche mese la Minoranza ha deciso, legittimamente intendiamoci, di sottrarsi a questo confronto. Un “Aventino” (il riferimento è alla celebre reazione dei deputati antifascisti, dopo l’assassinio Matteotti del ’24), dove disertare le colonne di Voltapagina dovrebbe assumere la connotazione della protesta eclatante. Ma ciò, evidentemente, non giova a nessuno. Non giova alla Maggioranza, impossibilitata a ribattere puntualmente alle critiche rivoltele. Non giova alla Minoranza, costretta a lanciare le proprie invettive con volantini da marciapiede. Ma non giova neppure al cittadino, sempre più confuso e sempre meno attratto dalla voglia di capirci qualcosa.
Dalla carta stampata all’aula. Il mese scorso la Minoranza ha abbandonato i lavori del Consiglio Comunale, ritirandosi nel suo secondo “Aventino”, stavolta meno giornalistico, ma decisamente più politico. Colpa, dicono, di un’Amministrazione che non dà risposte alle questioni critiche evidenziate nei volantini delle scorse settimane. Eppure basterebbe, se solo si volessero risposte ufficiali, presentare un’interrogazione scritta al Sindaco, il quale sarebbe obbligato a rispondere al Consiglio. Ma ciò, evidentemente, non avviene. Come mai?
I manifesti di propaganda, gli scioperi della parola e gli aventini di campagna poco aiutano ad ottenere efficacemente risposte. A meno che l’obiettivo non sia quello di portare chiasso e rumore sui colli.
Sui colli, appunto. Dalle proteste dell’Aventino alle Oche del Campidoglio il passo rischia di essere troppo breve. A Roma il fragore delle oche destò i Romani dell’imminente arrivo dei Galli. A Volta lo schiamazzo sembra solo generare confusione.
Ahinoi, la campagna elettorale è già iniziata.
(Editoriale pubblicato su Voltapagina n.44)